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VUOLE SUICIDARSI: UCCIDE UN NERO
(8 Marzo 2018)

FIRENZE. Vorrebbe suicidarsi, ma non ne ha il coraggio: allora esce di casa armato e spara ad un nero.

E’ accaduto lunedì 5 Marzo a Firenze presso il ponte Vespucci intorno a mezzogiorno.

«Roberto Pirrone, 65 anni, ha impugnato la pistola semiautomatica, una Beretta Px4, e senza muoverla dalla tasca ha avuto un pensiero diabolico: uccidere la prima persona che avrebbe incontrato», narra il corriere della Sera.

«Ha incrociato una donna di colore con il suo bambino. Li ha guardati entrambi ma non ha avuto il coraggio di sparare. Poi ha visto un altro bersaglio e ha premuto il grilletto.
Idy Diene, 54 anni, senegalese, venditore di ombrelli, moglie e quattro figli lontani, è stato raggiunto da tre colpi in rapida successione. Ha tentato di scappare, ma il killer lo ha inseguito sparando altre tre volte.»

Tra le urla terrorizzate dei passanti, l’assassino ha cercato di fuggire. L’hanno bloccato due paracadutisti della Folgore di guardia davanti al vicino consolato americano e l’hanno consegnato alla polizia.

Ha confessato quasi subito un delitto senza movente. “Non l’ho ucciso perché era un nero”, ha detto agli investigatori. Spiegando poi che, devastato dalla paura di non poter far fronte ai debiti, aveva deciso di farla finita. Voleva uccidersi su quel ponte. “Poi ho deciso di diventare un assassino per finire in carcere e non pesare sulla famiglia” ha spiegato.
Per ore la polizia ha cercato riscontri. Li ha trovati in un biglietto lasciato alla figlia: “Non ce la faccio più, sono stanco, mi uccido”. Nelle sue ultime volontà le ha raccontato anche dell’ennesimo litigio con la moglie per motivi economici (un debito da 30 mila euro). E le sue ultime istruzioni: “Le carte di credito non funzionano più, attenta ai creditori, ritira tu la mia pensione”.»
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Il dolore della moglie. La notizia della tragica fine di Idy Diene giunge in una casa già visitata dalla morte violenta: sette anni fa Rokhaya Kene Mbengue perse il primo marito in un altro raid antistranieri noto come “la strage di via dalmazia”.

La signora prova «un dolore profondo, che si è ripetuto inatteso. Ma che adesso è così devastante che non riesco a combatterlo solo con la mia forza. Mi sento perduta, paralizzata.»

Madre di quattro figli, impegnata nel lavoro di badante, si rivolge a tutti noi dicendoci:

«Voglio parlare agli italiani: Voglio raccontare loro, con rispetto e stima, che noi gente del Senegal non siamo qui per delinquere, per fare male a qualcuno. E voglio anche dire, agli italiani, che non siamo venuti in questo Paese per trasformarci in assassini. Siamo brava gente, che lavora per mandare avanti la nostra famiglia. Lavora, lavora… Noi lavoriamo tanto, facciamo il nostro dovere ogni giorno e allora agli italiani mi permetto di fare un appello con il cuore. Dico loro di smetterla per favore di guardarci come nemici, come diversi. Difendetevi non da noi ma dal demone del razzismo. E vi prego non uccideteci come qualcuno ha fatto con i miei due mariti. Adesso ci sono famiglie non solo nella prostrazione profonda, ma senza più sostentamento. Io ho una figlia in Senegal e Idy aiutava anche lei, mandava soldi, l’aiutava a crescere.
Io spero di vederla presto questa mia figlia unica – continua – e ho un sogno che potrebbe diventare realtà. A dicembre ho ottenuto la cittadinanza italiana e così posso chiedere il ricongiungimento. Però adesso ho paura a uscire di casa, come sono impaurite molte amiche. Quello che mi è accaduto è terribile. E allora dico mai più, mai più.»
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La reazione dei senegalesi. Appena si è diffusa la notizia della morte di Idy, un centinaio di senegalesi ha inscenato una protesta al grido di “basta razzismo”.

«urlano brandendo cartelli stradali usati come bastoni. Spaccano transenne, vasi da fiori, cestini della spazzatura. Cento senegalesi, a poche ore dall’uccisione del connazionale Idy Diene, sfogano la loro rabbia per le vie della città. “Siamo stanchi di questo razzismo: Non possiamo assistere a questi omicidi senza far niente”», si legge sul Corriere.

Mentre una delegazione è a colloquio col sindaco Nardella, le violenze riprendono e si propagano alle vie dello shopping: solo verso sera, arriva anche Pape Diaw, uno degli storici portavoce della comunità. Parla coi suoi connazionali, riportando la calma.
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La banalità del male. Se c’è una banalità del bene, per cui delle persone offron se stesse per aiutare gli altri, c’è anche una banalità del male in virtù della quale ci son persone che fan del male o uccidono altri solo per sfogare le loro frustrazioni. A volte si tratta di soggetti mossi da un fine ideologico, come è stato il caso di Luca Traini, militante d’estrema destra, che un mese fa sparò ad undici persone a Macerata, a volte si tratta di persone depresse, come nella vicenda che abbiamo narrato.

Eppure, tutti questi fatti, ci danno degl’insegnamenti che dobbiamo tutti apprendere:

1. Tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro origine geografica, hanno il diritto di vivere e lavorare dove vogliono e dove possono;
2. Tutti gli esseri umani devono esser rispettati come tali;
3. Non è lecito a nessuno dar la morte ad un altro.

Ed ancora:

• la nostra società come tutte quelle sviluppate devono accogliere ed integrare genti che hanno avuto la sfortuna di nascere in Paesi depauperati. Questi migranti fuggono da situazioni di povertà per noi inimmaginabili e vengono a ricostruirsi una vita qui.

E’ un fenomeno strutturale che ci accompagnerà per decenni e che dobbiamo assimilare, così come in anni non lontani eravamo noi Italiani ad emigrare lontano in cerca di lavoro.

• Noi che siamo in piena decrescita demografica ed invecchiamento della popolazione, abbiamo bisogno dei migranti, non solo perché facciano il mestiere della badante, del cameriere, dell’operaio o del muratore, ma anche perché aprano imprese, come già fanno, in grado d’offrire posti di lavoro.

• Dobbiam prender atto che il futuro sarà multietnico, multiculturale, multireligioso e questo riviltalizzerà delle culture che stanno pericolosamente invecchiando.

• Dobbiamo, infine, abbandonare la cultura dello scarto che ci spinge ad emarginare chi non ci conviene: la nostra società deve essere più giusta, economicamente e socialmente, e molto più inclusiva.

PIER LUIGI GIACOMONI

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