IL MONDO SECONDO DONALD TRUMP
Pubblico qui di seguito un mio scritto del 2016, quando questo blog muoveva i primi passi.
In esso tratteggiavo le prospettive della politica estera che avrebbe condotto Donald J. Trump se fosse stato eletto Presidente degli Stati Uniti.
Come si vedrà, pur essendo passati tanti anni, ciò che scrivevo allora è ridiventato attuale: anzi, oggi trova conferma nei primi atti della sua seconda amministrazione.
PLG – 3 Marzo 2025
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WASHINGTON D. C. Il messaggio che Donald J. Trump lancia tutte le volte che interviene sulla politica estera è intervenire solamente dove gli Stati Uniti possano guadagnarci, disimpegnarsi dai teatri più caldi, dare più responsabilità agli alleati, secondo Trump, troppo “coccolati”.
Questo è il canovaccio dentro cui si muove l’uomo che ha sbancato il Grand Old Party e che spera di divenire il prossimo Presidente degli stati Uniti d’America.
Questo ha fatto dire a qualche commentatore e, come vedremo, anche ad alcuni super esperti, che DJT non ha una visione di politica estera e che, se eletto, non saprebbe che pesci pigliare, nel momento in cui si trovasse a prendere decisioni importanti sia per l’America che per i suoi alleati.
A noi, detto con modestia, pare invece che il repubblicano abbia una visione piuttosto chiara del ruolo degli Stati Uniti nel XXI secolo.
Ciò non significa che la sua strategia di politica internazionale non sia pericolosa e non possa arrecar danno alla comunità umana, ma una sua più completa comprensione è indispensabile, soprattutto nel caso in cui l’uomo di New York diventi il prossimo inquilino della Casa Bianca.
Prima, però, d’esaminare com’è il mondo oggi, secondo Trump, ci paiono doverose alcune premesse:
1. Ricordiamoci sempre che siamo in piena campagna elettorale: una campagna lunga e massacrante che dura ormai da più d’un anno e che richiede ormai una programmazione di lungo periodo.
In campagna elettorale è molto più importante far passare degli slogan che “buchino lo schermo” che formulare dei ragionamenti complessi che non raccoglierebbero nessuna audience.
2. In periodo elettorale è anche molto importante far leva sull’orgoglio nazionale, sul concetto che l’America è un grande Paese, che è il centro del mondo. E’ altresì molto importante, per galvanizzare i propri suporter sottolineare che se si vincerà le cose cambieranno rispetto all’oggi.
Naturalmente non è affatto detto, ma è normale che sia così, che una volta vinte le elezioni tutto quanto è stato promesso non venga attuato, se non altro perché la realizzazione pone degli ostacoli invalicabili.
3. La linea di pensiero di DJT si iscrive nel più classico filone ideologico dell’isolazionismo americano e nella convinzione jeffersoniana che lo stato deve costare il meno possibile e deve pesare sulle spalle del cittadino lo stretto indispensabile.
Questa duplice linea di pensiero costituisce l’armamentario ideologico e propagandistico di numerosi presidenti americani, democratici e repubblicani, anche se poi, soprattutto dal 1941 in avanti è stato quasi impossibile per Washington isolarsi dal contesto mondiale, com’era accaduto nell’Ottocento e nel primo Novecento.
4. Per l’americano medio che, più o meno legge i giornali e guarda la televisione, il mondo è una cosa piccola nella quale al centro ci sono gli Stati Uniti ed un gruppo assai limitato di altri Paesi.
Naturalmente, ci sono gli amici, cioè gli Alleati (l’Europa occidentale, Israele, il Giappone, l’Australia…), i nemici (la Cina, il mondo arabo-islamico, la Russia) e le nazioni da cui ci si possono attendere sgradevoli sorprese, come l’America Latina.
5. Da ultimo, occorre anche ricordarsi che, contrariamente a quanto è accaduto in Europa, devastata nel XX secolo dalla Prima e, soprattutto, dalla Seconda guerra mondiale, il territorio degli Stati Uniti non è stato coinvolto in conflitti dalla guerra di secessione (1861-1865) e ciò contribuisce a fomentare la condizione psicologica d’essere una specie di “isola felice” o, se si preferisce, di “fortezza inattaccabile” da tutti i possibili avversari presenti e futuri.
Detto ciò, proviamo a tratteggiare come dev’essere il mondo secondo Donald Trump.
Prima di tutto, il candidato repubblicano ha promesso che gli Stati Uniti, sotto la sua presidenza, non firmeranno alcun trattato commerciale internazionale che vada contro gl’interessi dell’America, come se gli accordi di libero scambio, firmati in questi decenni, fossero stati tutti dannosi per il Paese.
In realtà, queste parole non corrispondono alla verità dei fatti, perché, come ad esempio nel caso dei trattati di libero commercio stipulati negli anni scorsi coi Paesi del Pacifico chi ne ha tratto finora maggior beneficio sono stati proprio gli Stati Uniti e la loro economia.
La stessa cosa, non pochi temono, accadrà col TTIP, in avanzata fase di negoziazione con l’unione Europea.
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NATO ed EUROPA
L’Europa, per Trump, si riduce a quattro stati da considerare: Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna. Ovvero l’ossatura dell’Alleanza. La NATO, secondo “The Donald”, è un affare a perdere, troppo l’impegno economico Usa, spesso a senso unico. Nazioni come Italia, Germania e Francia devono dare e fare di più, anche se per gl’Inglesi il discorso è diverso, sono alleati privilegiati e soprattutto impegnati in prima istanza dai tempi della Guerra Fredda.
Questa tesi non è nuova: già altre amministrazioni repubblicane in precedenza hanno detto cose simili. Sia Bush padre che figlio hanno più volte accusato l’Europa di comportarsi sempre come il gregario dell’America. Washington vorrebbe, almeno in teoria, che i principali paesi europei spendessero di più per la propria difesa e vorrebbero che se si creassero dei teatri di crisi in una qualche area prossima al “vecchio continente”, intervenissero direttamente senz’attendere le forze armate americane.
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STATI BALTICI E RUSSIA
Su quest’aspetto Trump è chiarissimo: in caso d’invasione russa dei Paesi baltici non sarà automatico un intervento americano al fianco della Nato, come sancito dall’articolo 5 del trattato d’alleanza degli stati dell’Atlantico settentrionale che Estonia, Lettonia e Lituania hanno sottoscritto dopo la loro uscita dall’Unione Sovietica.
Inoltre, Il Nostro è pronto a riconoscere l’acquisizione della penisola di Crimea, strappata nel 2015 dai russi all’Ucraina. In questo caso sarebbbero annullate le sanzioni che UE ed USA hanno decretato l’anno scorso nei confronti di Mosca.
Nei fatti, per Trump, la NATO dovrebbe disinteressarsi di ciò che accade nello scacchiere ex sovietico, lasciando campo libero all’espansionismo di Putin.
Il Kremlino non fa mistero d’apprezzare la linea sostenuta dal miliardario repubblicano e spera in una sua vittoria l’8 novembre.
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GIAPPONE, CINA ED ASIA
Per gli Stati Uniti, dal 1945, il Giappone non è considerato Asia ma appendice occidentale. Motivo per cui Trump non avrebbe difficoltà a dotare i giapponesi di deterrenza nucleare per contrastare la Cina e bilanciare gli equilibri con Pechino. I trattati di non proliferazione nucleare non sono un problema per il magnate newyorkese, che in linea di principio non è contrario nemmeno all’ atomica nord-coreana. Chiunque vinca le elezioni americane avrà come obiettivo primario il contenimento cinese, motivo per cui la Us Navy ha già in cantiere le nuovissime super portaerei nucleari. La Cina per gli Usa sarà nel prossimo quadriennio il competitor principale. I Cinesi hanno dimostrato di non essere ancora all’altezza come super potenza, molte le crepe nelle quali gli Usa contano d’inserirsi. La Cina attualmente si comporta come grande potenza regionale, tollera l’India, bisticcia col Giappone, non è sempre in linea con Mosca e soprattutto non ha una visione strategica globale e lungimirante. Gli americani proveranno ad approfittarne cercando di mettere sotto pressione Pechino nei rapporti con vicini ingombranti come India e Pakistan. Il Giappone in questo scenario si doterebbe d’armi atomiche a corto e medio raggio, rappresentando una vera e propria spina nel fianco per il Dragone cinese.
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TURCHIA E MEDIO ORIENTE
Trump apprezza Erdogan, lo ha dimostrato anche dopo il fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016. Una Turchia forte militarmente, alleata degli Usa, è nei piani dell’amministrazione repubblicana quanto di quella democratica. I Turchi fungono da “tappo” con l’oriente, possiedono un buon esercito ed hanno gli upgrade dei propri armamenti a tutto guadagno statunitense. Trump (ed in questo caso anche Clinton) non si priverebbe mai del “perfetto stato cliente”. Iraq, Siria e Nord Africa invece rappresentano per il candidato repubblicano una scocciatura, per giunta costosa. Aerei, truppe e navi impegnati tra Golfo Persico e Mesopotamia hanno un costo, la soluzione ottimale sarebbe dotare dell’atomica i sauditi ed ovviamente anche l’Iran. In questo modo si verrebbe a creare un equilibrio da deterrenza nucleare, una sorta di Guerra Fredda in seno al mondo arabo. Scenario rischiosissimo, ma presente nell’agenda del candidato repubblicano.
Trump, in sostanza, delinea approcci globali definibili nella “strategia dell’equilibrio delle macro aree”. Il mutamento del contesto strategico è il seguente: creare equilibrio nelle macro aree con deterrenza nucleare, in pratica, armando gli stati regionali più significativi ed in contrapposizione si verrebbe a creare un regime d’equilibrio che garantirebbe un blocco d’iniziativa quasi totale, come appunto successe durante la Guerra Fredda.
Potrebbero avviarsi piccoli conflitti localizzati, ma il rischio di “mutua distruzione” bloccherebbe qualsiasi tentativo di movimento strategico.
In questo quadro, gli Stati Uniti risparmierebbero miliardi di dollari, non avendo più truppe in loco e fornendo armi nucleari, ormai obsolete, ma dall’enorme deterrenza per le zone trattate.
Questa strategia è rischiosissima e va contro la linea comune pluridecennale intrapresa dai governi dei grandi Paesi, anche durante la “guerra fredda”, che hanno sempre cercato di limitare la proliferazione nucleare che sul medio e lungo periodo potrebbe innescare delle reazioni a catena difficilmente controllabili.
si ha l’impressione che DJT ed i suoi consiglieri abbiano perso la consapevolezza del danno che arrecherebbe all’intera umanità l’uso indiscriminato dell’ordigno nucleare, allo stesso tempo traspare da questa visione uno spirito ruvidamente commerciale condotto innanzi senza scrupoli, mirante esclusivamente a realizzare un guadagno anche a spese della sicurezza globale del pianeta e dell’intera comunità umana.
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AMERICA LATINA ED AFRICA SUBSAHARIANA
Sono aree del pianeta completamente assenti dalla visione di Trump che, come altre amministrazioni repubblicane del passato, tenderebbe a disinteressarsi di loro, salvo proclamare ai quattro venti che se sarà eletto Presidente, farà costruire un muro al confine col Messico, per ostacolare l’immigrazione ed espellerebbe tutti i Musulmani dal territorio nordamericano.
In realtà, un muro tra Messico e stati Uniti esiste già da anni, ma l’economia statunitense ha bisogno della manodopera latinoamericana, tant’è vero che nel Paese vi sono oltre 12 milioni di sans papier che vivono e lavorano.
Difficile pensare che il repubblicano possa cacciarli, una volta eletto, più facile immaginare che non verrà regolarizzata la loro posizione, come del resto ha deciso più volte in questi anni il congresso a maggioranza GOP.
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IL PARERE DEGLI ESPERTI
«Donald Trump potrebbe essere il presidente più avventato della storia americana»: l’hanno scritto in una lettera aperta apparsa sul New York Times, cinquanta superesperti in politica estera e sicurezza nazionale d’orientamento repubblicano.
Tutta gente che ha lavorato nelle amministrazioni Bush senior e junior: tra loro ci sono ex consiglieri presidenziali, ex capi della sicurezza interna, nonché dirigenti dell’intelligence ed ex segretari alla sicurezza nazionale.
Costoro si dicono «convinti che sarebbe un presidente pericoloso e che metterebbe a rischio la sicurezza e il benessere nazionale del nostro Paese.»
«Non ha il carattere, non ha i valori e l’esperienza per essere presidente”, dimostra “un’allarmante ignoranza di fatti fondamentali in politica internazionale», scrivono.
Pur essendo un documento importante che getta una luce fosca sulla figura di Donald J. Trump, temiamo che conti relativamente poco nella scelta che farà a novembre l’elettorato nordamericano che pensa poco alla geopolitica e vuole soprattutto credere che esista un mondo in cui l’America ordina e gli altri eseguono senza protestare.
PIER LUIGI GIACOMONI – 16 Agosto 2016
Caro Pierluigi ho letto il pezzo oggi, 6 marzo 2025, e devo ammettere che in molte parti il tuo discorso si è purtroppo dimostrato quasi direi profetico: isolazionismo, disimpegno su alcune aree del globo considerate non utili agli interessi americani, contrario alla integrazione dei tanti immigrati, soprattutto messicani, in realtà necessari come manodopera in tante attività e lavori dequalificati.
Mi chiedo se oggi, con le misure che sta mettendo in atti, soprattutto dazi all’importazione, sia utile proprio agli interessi americano. Questo potrebbe funzionare in un’economia di paese emergente, cioè tassare le importazioni, per aiutare le imprese nazionali, ma in tempi di economie avanzate e fortemente integrate potrebbe rivelarsi un boomerang.
Grazie per l’ospitalità – Luciano Forlì