IL PAKISTAN DOVE VIGE ANCORA LA SCHIAVITU’ PER DEBITI
(15 Agosto 2017)
ISLAMABAD. Il Pakistan è il Paese dove si può divenir schiavi per debiti, come accadeva ad Atene ai tempi di Solone
o nell’antica Roma.
La raccapricciante rivelazione è contenuta in un articolo apparso sul quotidiano cattolico Avvenire che ne ha fatto
un dossier lo scorso 30 luglio.
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I fatti. «Un debito senza speranza di remissione – scrive Avvenire – tiene da un decennio in sostanziale schiavitù
una famiglia cristiana di sette persone.»
Non solo: gli schiavi, come accadeva nell’antichità, sono divenuti «merce di scambio tra facoltosi possidenti
musulmani.»
Nadeem Masih e sua moglie, analfabeti , sono impiegati in una fabbrica di mattoni della provincia del Punjab: un
giorno chiedono un prestito di 42.000 rupie (poco meno di 350 euro) al loro datore di lavoro: si tratta d’un fatto
abituale perché quando arrivano le piogge monsoniche non è possibile lavorare per chi opera nell’edilizia.
Tuttavia, col tempo, il prestito s’ingigantisce perché scattano gl’interessi: il padrone dei Masih versa ai suoi
dipendenti un salario talmente basso che non è sufficiente né per far fronte alle necessità di tutti i giorni, né
per ripagare il debito che di conseguenza s’ingigantisce.
Così, i Masih, col tempo, devono rimborsare 215.000 rupie, una cifra enorme.
Conseguenza: anche i cinque figli divengon schiavi e tre anni fa tutti e sette son stati venduti ad un padrone
ancora più malvagio che ha minacciato la moglie di ritorsioni se non si presentava al lavoro.
di recente, altra vendita ad altro padrone
Il contratto, firmato da Nadeem Masih con l’impronta dell’indice, prevede clausole capestro: tutta la famiglia è
ridotta in schiavitù fino a quando non avrà prodotto abbastanza mattoni per risanare il debito che, peraltro,
continua a crescere esponenzialmente.
«Una situazione che – aggiunge Avvenire – non solo pone a rischio la salute e la sicurezza dei bambini – due maschi
e tre femmine – ma che impedisce loro di frequentare la scuola.»
Per fortuna, questa vicenda sta interessando gruppi impegnati per la fine della schiavitù nel Paese asiatico.»
La legge sull’abolizione del sistema di lavoro forzato del 1992 prevede pene severe ma resta spesso lettera morta.
Anzi, il continuo riferimento a questo provvedimento da parte delle autorità , criticano gli attivisti sociali, non
fa altro che evidenziare i limiti della sua applicazione in un Paese che è il terzo al mondo come entità del
fenomeno.
Si calcola che in tutto il Pakistan siano 2,3 milioni gli schiavi, appartenenti per lo più alle minoranze etniche e
religiose, nettamente più povere e meno istruite, rispetto alla maggioranza musulmana.
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Il Pakistan. Nato nel 1947 dalla spartizione dei territori dell’India britannica, era suddiviso all’inizio in due
territori ben distinti e separati: il Pakisstan occidentale ed orientale.
La spartizione aveva tra l’altro comportato lo spezzettamento delle due province più floride della colonia: il
Punjab ad occidente ed il Bengala ad oriente.
Ne seguì, com’è noto, il trasferimento dei musulmani dall’India e degli indù dal Pakistan, perché nelle intenzioni
dei negoziatori, l’Unione Indiana sarebbe divenuto lo Stato degli Indù, mentre il Pakistan quello dei musulmani.
La realtà però fu diversa ed ancora oggi sussistono nei due Paesi vicini e nemici forti minoranze etnico-religiose.
Nel 1971, a seguito d’una guerra, si staccò dal Pakistan il Bangladesh, mentre perdura l’inimicizia con l’India a
proposito del Kashmir, l’unico Stato della federazione indiana a maggioranza musulmana.
Sul piano interno, in Pakistan si sono succeduti lunghe dittature militari, caotici governi civili: tutti
accomunati dall’accusa d’incapacità e d’arricchimento illecito a causa della diffusa corruzione.
Il Paese spende molte delle proprie risorse in armamenti e dispone della bomba atomica: Islamabad non ha mai
firmato il trattato sulla non proliferazione atomica ed ha effettuato in passato esperimenti per l’uso dell’ordigno
nucleare in funzione antiindiana. Inoltre, è pienamente coinvolto nell’annoso conflitto interno in Afghanistan ed è
accusato di foraggiare il terrorismo sunnita.
C’è da sperare che, grazie all’impegno di gruppi della società civile, si possa un giorno metter fine alla piaga
della schiavitù che condiziona la vita di tante persone.
PIER LUIGI GIACOMONI