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LA FLAT TAX
(13 Gennaio 2018)

ROMA. Come sempre, la campagna elettorale è il momento in cui si avanzano proposte per la riduzione del carico

fiscale: accade dappertutto e non ci si deve stupire.

Dopo tutto, una campagna elettorale assomiglia molto ad una qualunque campagna pubblicitaria nella quale chi

reclamizza un prodotto cerca di propagandarne gli effetti, anche al di là della loro reale efficacia.

Il Centro-destra, ad esempio, propone d’introdurre la flat tax per le imposte sui redditi sia delle persone fisiche

(IRPEF), sia delle imprese (IRES).

Di cosa si tratta?
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La flat tax. In italiano, tassa forfettaria, la flat tax è un sistema fiscale proporzionale e non progressivo.»

Solitamente, lo Stato fissa un’aliquota unica che viene applicata a tutti i redditi, prevedendo per le famiglie più

povere una fascia di non prelievo fiscale, detta  “no-tax area”.

«Un’imposta sul reddito “flat rate” – precisa lavoce.info – prevede sostanzialmente un’aliquota legale unica da

applicare alla base imponibile. È di solito accompagnata da una detrazione o deduzione di entità variabile a

seconda delle proposte, per rendere progressivo il sistema fiscale.
Avete letto bene: un sistema fiscale a scaglioni, come è l’Irpef, non è il solo modo per ottenere la progressività.

Grazie alla deduzione o detrazione infatti anche un sistema ad aliquota unica può in linea di principio riuscire a

ottenerla, dal momento che uno sconto fiscale di importo fisso pesa relativamente di più su un reddito basso che su

uno più alto. Con deduzioni di importo sufficientemente elevato, il sistema potrebbe infatti garantire che

all’aumentare della base imponibile il debito di imposta (cioè ciò che è dovuto al fisco) cresca più che

proporzionalmente. E cioè che, in gergo tecnico, l’aliquota marginale sia maggiore dell’aliquota media.
In sostanza, progressività non significa solo “far pagare più i ricchi” – obiettivo che in valore assoluto può

essere raggiunto perfino da un’imposta regressiva – ma farli pagare relativamente di più.

Il modello “flat rate” può essere progressivo, anche se il grado dipende dal sistema di deduzioni e detrazioni, e

può dunque essere determinato solo in presenza di proposte politiche definite.»

Detto in altri termini: un conto è dire “introduciamo un’aliquota unica per tutti”, un altro è definire i criteri

per i quali alcune fasce di reddito possono beneficiare di deduzioni e detrazioni che eliminino i rischi di un

sistema tributario che colpisce allo stesso modo chi ha mille e chi uno.
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Effetti della flat tax. Con la flat tax si può verificare un calo delle entrate dello stato e, se non s’interviene

sulla spesa pubblica, potrebbero verificarsi squilibri di bilancio. Diventa strategico, allora, riqualificare la

spesa pubblica, tagliando le spese clientelari e gli sprechi.

La sua introduzione potrebbe favorire la riduzione del fenomeno dell’evasione fiscale, incoraggiare gli

investimenti e favorire la crescita del PIL. In alcuni Paesi che l’hanno introdotta, la flat tax è servita a

rilanciare l’economia.
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La flat tax oggi. Nella seconda metà degli anni 2000 la flat tax è stata introdotta in diversi Paesi dell’Europa

orientale, sia per stimolare la crescita, sia per attirare investimenti dall’estero.

Nei Paesi baltici, a partire dagli anni Novanta, fu istituita un’aliquota fissa: in Estonia si paga un’imposta del

25%, in Lettonia del 24%, mentre in Lituania, lo Stato preleva fino al 33%.

La Russia dal 2001 applica una flat tax sui redditi del 13%, l’Ucraina del 15%, la Romania del 16%, la Macedonia,

l’albania e la Bulgaria del 10%.

La Slovacchia aveva introdotto la flat tax al 19%, ma poi il governo di robert Fico nel 2013 è tornato ad applicare

l’imposizione progressiva.
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La flat tax in Italia. La Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 dispone all’art. 53, comma 1:

«Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.»

Tuttavia, il 1° gennaio 2004, è entrata in vigore, al posto dell’IRPEG, l’Imposta sul reddito delle società (IRES)

con un’aliquota definitiva del 24%, a decorrere dal 2017.

Tale imposta non applica il principio della progressività, sancito costituzionalmente.
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La flat tax è stata sempre un cavallo di battaglia del centro-destra: silvio Berlusconi, nel 1994, in occasione

della sua “discesa in campo” propose la fissazione d’un’aliquota fissa del 33% per tutti i redditi, salvo prevedere

una no-tax area per i redditi più bassi.

Dopo la vittoria elettorale del 13 maggio 2001, il Governo Berlusconi avviò, nel corso della XIV Legislatura (2001

-2006), un piano di riduzione delle imposte, abbassando la pressione fiscale fino al 40,6% nel 2005 (“minimo

storico” degli ultimi decenni); rispetto a quanto pagato nel 2001, il risparmio per i contribuenti italiani fu di

13,7 miliardi di euro (a fronte dei 24 promessi nel programma elettorale), anche se il taglio fu finanziato

attraverso un condono fiscale tombale e l’aumento del deficit pubblico, che nel 2005 salì al 4,4% (“massimo

storico” dal 1996), in violazione dei parametri di Maastricht che fissano un limite del 3%.

Il taglio dell’IRPEF avvenne gradualmente nel 2002, 2003, e 2005.

Il successivo governo Prodi, in carica dal maggio 2006, modificò la legislazione precedentemente adottata,

bloccando le successive riduzioni d’imposta già approvate con la finanziaria 2005.

Nel 2014, la proposta d’una flat tax del 15% è stata rilanciata dal Segretario della Lega Matteo Salvini, che ha

preteso, come scrivono i giornali in questi giorni, che sia inserita nel programma comune della coalizione di

centro-destra.
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Dopo il jobs act. Dopo l’introduzione  del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (oggetto del Jobs

Act), il sito economico lavoce.info suggerisce una riforma dell’IVA e dell’IRPEF, i cui obiettivi principali sono:
• far scendere le aliquote marginali e medie per i lavoratori con redditi bassi e medi;
• avere un sistema di aliquote marginali crescenti e uguali per tutti;
• sostenere i carichi familiari attraverso un sistema di trasferimenti monetari che elimini il grave problema

dell’incapienza;
• ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, attenuare il problema sociale dei nuovi lavoratori poveri o degli esodati
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La sinistra e la flat tax. Generalmente, la sinistra guarda con molto sospetto la flat tax, perché ritiene più equa

una tassazione applicata con aliquote progressive, per cui chi ha di più o ottiene utili più alti dalle proprie

attività imprenditoriali, deve pagare allo Stato una percentuale più alta, secondo scaglioni di reddito stabiliti

per legge.
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Come s’è visto, però, anche con la flat tax ed appropriati sistemi di detrazioni e deduzioni si può arrivare a

garantire:
• una certa redistribuzione del reddito;
• una correzione delle distorsioni provocate dall’aliquota unica.

Sicuramente, l’Italia dovrà affrontare il duplice problema d’una tassazione molto pesante e e d’una

razionalizzazione della spesa pubblica, che garantisca i servizi, ma tagli gli sprechi.

Inoltre, sulla strada della ripresa della nostra economia vi sono altri due grossi scogli da affrontare:
• la riduzione dell’evasione tributaria e dell’elusione contributiva;
• il peso del debito pubblico che oggi si aggira attorno al 130% del PIL.

Il futuro Governo se vorrà davvero introdurre la flat tax, così come brevemente illustrato qui, dovrà dimostrare

che essa garantirà un vero aumento delle entrate, un’emersione del sommerso e, quindi una soddisfacente riduzione

del debito, altrimenti l’Unione europea che ci guarda sempre con un certo sospetto non permetterà che la proposta

vada in porto, se non in misura trascurabile.

PIER LUIGI GIACOMONI

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