CENT’ANNI FA NASCE IL PCI, MA NELL’89 SI SPEGNE PER CONSUNZIONE
(21 Gennaio 2021)
LIVORNO. Cent’anni fa nasce a Livorno il PCI, ma nel 1989 si spegne per consunzione.
Questo nuovo partito sorge a meno di quattro anni dalla rivoluzione bolscevica avvenuta in russia,mentre a Mosca sta nascendo il Komintern.
Il PCI si stacca dai socialisti, il maggior partito italiano del momento, vincitore delle politiche del 1919, le prime tenutesi col proporzionale e con la partecipazione di tutti gli elettori maggiorenni di sesso maschile.
Il PSI, al momento, è dilaniato da insanabili contrasti tra massimalisti e riformisti: i primi parlano di fare la rivoluzione come in Russia, i riformisti pensano invece all’introduzione di riforme che introducano con gradualità elementi di giustizia sociale nei luoghi di lavoro e nella vita quotidiana e forse vorrebbero impiegare la forza acquisita col voto per governare il Paese.
(Nel luglio 1922, Filippo turati accetta d’incontrare Re Vittorio Emanuele III nell’ambito delle consultazioni che questi sta conducendo per risolvere un’ennesima crisi di governo: i massimalisti colgono l’occasione per espellere turati che darà vita al Partito Riformista).
I comunisti si dichiarano subito a favore della rivoluzione bolscevica ed entrano nel Komintern, allo stesso tempo partecipano alle elezioni politiche del maggio 1921 e dell’aprile 1924, conseguendo una pattuglia di deputati.
Il Partito comunista svolgerà una funzione importante tanto nel periodo della Resistenza, quanto in età repubblicana, non riuscendo però a sciogliere il nodo ideologico: esser un partito rivoluzionario oppure riformista.
di fatto, la questione è messa da parte nei lunghi anni d’opposizione ai governi guidati dalla DC,ma sul piano locale il PCI persegue una linea che potremmo definire socialdemocratica. Nei comuni e nelle regioni in cui governa si conduce una politica volta al miglioramento dei servizi sociali, all’aumento della scolarità. La sanità è un settore ritenuto importante, così come l’inserimento delle nuove generazioni nel mondo del lavoro. Ma i comunisti non governano a Roma, perché l’Italia è entrata nell’orbita degli Stati Uniti e Washington non vuole che un partito che ha legami con l’URSS entri nelle stanze dei bottoni.
Infatti, pur crescendo elettoralmente fino a toccare nel 1976 il 34% dei voti non sale mai al governo. Solo nel marzo 1978 il Partito entra nella maggioranza che appoggia dall’esterno il quarto Ministero Andreotti.
Dopo il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro l’alleanza va in pezzi e il PCI è di nuovo confinato all’opposizione: tra la fine dei Settanta e per tutti gli Ottanta è il declino. Il partito perde voti elezione dopo elezione e nel 1989, dopo la caduta del Muro di Berlino il segretario Generale Achille Occhetto annuncia alla Bolognina che ci sarà una svolta. Il partito cambierà nome, simboli e probabilmente ideologia.
Torna così a galla la questione che per decenni era stata rimossa: partito rivoluzionario o riformista? il PDS che raccoglierà l’eredità del PCI, dopo il congresso del 1991 sceglierà la seconda, i “rivoluzionari” opteranno per altre formazioni politiche di dimensioni e consenso sempre più ridotte.
Col 1989 è morto il PCI e presto sarebbe morto il comunismo in senso più generale: attualmente in Italia esistono oltre 20 movimenti che recano l’aggettivo comunista nel loro nome, ma la loro forza è scarsa.
Perché il comunismo è deceduto? Qui possiamo solo dare alcune rapide risposte.
I comunisti si caratterizzano per la loro ferrea organizzazione e disciplina interna, che è un punto di forza finché ci si trova in clandestinità. Questa formazione però diviene progressivamente sempre più rigida, chiusa, gerarchica ed oligarchica.
Solo se si accettano tutti i principi che l’animano, compresa un’etica piuttosto conservatrice, si può aspirare ad acquisire un ruolo sempre più significativo al suo interno. Il dissenso è scoraggiato e chi l’esprime è presto emarginato. Quindi fanno carriera i conformisti, coloro che si adeguano comunque alle scelte operate dai dirigenti.
Nel 1956 la leadership commette un errore gravissimo: appoggia l’invasione sovietica dell’Ungheria: conseguenza: si rompe il patto d’azione coi socialisti e diverse personalità di punta del PCI l’abbandonano. L’errore non si ripeterà nel ’68 in occasione dell’analogo intervento in Cecoslovacchia, ma il partito si dimostrerà incapace di cogliere i fermenti che animano la società italiana dove agiscono ormai una serie di forze nuove.
Quando negli anni Sessanta emergono nella società i movimenti giovanili di contestazione dello Status quo i comunisti reagiscono con durezza radiando gli elementi che al loro interno ne difendon le ragioni.
Il partito diviene sempre più rigido e sempre meno capace di comprendere quanto di nuovo emerge nella società italiana,perciò alla fine, di fronte al crollo del modello di riferimento, incarnato dal blocco sovietico, è obbligatorio cambiar tutto nella speranza di mantenere intatto qualcosa del glorioso passato.
Oggi, col pretesto del centenario ci ricordiamo della nascita del PCI soprattutto perché in Italia è stato per decenni un partito importante: in questo modo si è riaperto un dibattito che ha qualche importanza sul piano storiografico.
Non ne ha invece nessuna sul piano politico perché il comunismo è morto per autoconsunzione nel senso che alla fine degli anni ottanta ha capito di non aver più nulla da offrire alla società italiana, così come il PCUS non sapeva più che dire a quella russa.
Rimangon nel mondo alcuni paesi che si autodefiniscono comunisti: il più grande è la Cina che però si è trasformata in un regime totalitario dove un capitalismo rampante quasi senza regole si arricchisce sempre di più, sfruttando senza limiti i lavoratori.
In Corea del Nord impera la dinastia dei Kim, una specie di monarchia assoluta, che si passa il potere di padre in figlio: il Paese è rinchiuso in se stesso, praticando una stretta autarchia, e, malgrado la grande povertà della popolazione, spende somme enormi per costruire armamenti nucleari.
A Cuba, quasi esauritasi la dinastia dei Castro, il Paese sta cercando d’uscire dalla sua cronica povertà, riaprendo le porte al turismo: finita l’era Trump che ha introdotto nuove sanzioni contro l’isola caraibica si spera che il nuovo Presidente riprenda il cammino di riconciliazione avviato durante l’amministrazione Obama.
Il Venezuela ha imboccato la strada del “socialismo del XXI secolo”, come lo chiamano a Caracas, ma ciò che emerge è un marasma sociale dove iperinflazione e povertà diffusa spadroneggiano insieme ad un apparato repressivo che non scherza: si calcola che oltre 4 milioni di venezuelani abbiano abbandonato il Paese per cercare altrove una vita migliore.
Cambogia, Laos e Vietnam si dichiarano ancora “paesi socialisti”, ma il loro riferimento ideologico è la cina non certo Marx o Lenin.
PIER LUIGI GIACOMONI