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BREVE STORIA DELLA DEMOCRAZIA DIRETTA
(5 Aprile 2017)

ROMA. Il MoVimento 5 stelle vorrebbe introdurre a Roma la “democrazia diretta”, cioè dare ai cittadini la
possibilità d’inoltrare delle petizioni al Consiglio Comunale e prevedere la convocazione di referendum per
rimettere nelle mani del popolo le decisioni più importanti.

I pentastellati sostengono di voler dare in questo modo maggior potere ai romani e ridurre i poteri degli eletti.
Da secoli, l’uomo aspira a trovare una forma di democrazia che riduca al minimo il potere di coloro che detengono
una carica ed accresca invece le prerogative del popolo sovrano, ma l’obiettivo d’una vera democrazia diretta
appare tutto sommato utopico.

Qui, però, non c’interessa tanto sapere se poi Roma diverrà o meno il “paradiso della partecipazione”, o se alla
fine tutto finirà in niente. Ci pare invece interessante tracciare una breve storia della democrazia diretta,
almeno in Occidente.
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Nell’Antichità. Giustamente i libri di storia si soffermano sull’esperienza ateniese del V secolo a.C. Ad Atene i
cittadini erano chiamati spesso a partecipare a delle assemblee per decidere della pace e della guerra. Tali
assemblee, che si svolgevano nell’agorà, duravano a volte tutto il giorno e si concludevano con delle votazioni per
alzata di mano. La “costituzione” ateniese prevedeva poi una notevole molteplicità d’istituzioni che si
controllavano l’una con l’altra. Quasi tutte le cariche erano elettive o si assegnavano per sorteggio. La durata
del mandato era breve per evitare la concentrazione del potere in poche mani od un’eventuale deriva tirannica.
Solo gli strateghi, cioè coloro che dovevano guidare l’esercito in guerra,duravano in carica a lungo e questo,
progressivamente fece sì che alcuni di loro divenissero gli uomini più in vista della città. Quando, però, un
leader politico diveniva inviso poteva esser convocata una votazione per ostracizzarlo: se più di seimila cittadini
votavano per l’espulsione dalla città, egli doveva andare in esilio per dieci anni.

Un modello simile di democrazia fu introdotto a Roma dal 509 al 27 a.C.: anche qui vennero create diverse
istituzioni per governare lo Stato: tra esse i comizi, che non erano altro che delle assemblee popolari che
adottavano le leggi della Repubblica ed eleggevano le cariche.

Questi due modelli di democrazia furono all’altezza della situazione finché la Polis dirigeva un piccolo
territorio, mentre dimostrò la sua inadeguatezza quando si trattava di gestire un vasto impero,come quello romano.
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Nel Medio Evo. Solo dopo il Mille la democrazia tornò a fare la sua comparsa nell’Europa occidentale. In Italia,
nella Lega Anseatica (Germania) e nelle Fiandre, infatti, sorsero i comuni e queste nuove aggregazioni umane che
crebbero all’interno delle mura urbane si diedero delle istituzioni democratiche. Nelle piazze principali, dove
normalmente si svolgevano i mercati, si riunivano al suono della campana civica le assemblee popolari che
eleggevano a scadenza regolare le cariche di governo e prendevano per alzata di mano le decisioni principali.
Questo modello di “democrazia diretta” subì diverse modificazioni nel corso dei secoli, anche perché spesso
scoppiavano in città scontri armati, tra fazioni, gruppi familiari, potentati economici. Alla fine in molte città
per porre fine alle discordie si preferì rinunciare alla democrazia in favore o d’un governo oligarchico o d’un
potere affidato ad un signore, cui eran delegate le decisioni principali.
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Nell’età moderna. Con la nascita degli Stati nazionali si crearono delle istituzioni rappresentative delle tre
classi sociali principali: in Spagna, Francia ed Inghilterra i re convocarono delle assemblee di cui facevano parte
il clero (coloro che pregano), la nobiltà (coloro che combattono) e la borghesia (coloro che lavorano), secondo la
descrizione della società fatta nell’XI secolo da Adalberone di Laon. Questo fu il modello del Parlamento inglese,
degli Stati Generali francesi e delle Cortes spagnole che coadiuvavano i monarchi nel governo.

Il Parlamento inglese, che successivamente si sarebbe suddiviso in due camere distinte, divenne fin dal XIV secolo
l’istituzione più forte ed i re dovettero fare sempre più i conti con esso. Nel XVII secolo i sovrani tentarono di
concentrare nelle proprie mani un potere sempre più vasto e provarono a mettere la sordina ai Parlamenti: vi
riuscirono sostanzialmente in Francia e Spagna, non in Inghilterra, dove nel 1642 il Parlamento si ribellò a Carlo
I Stuart e nel 1649 lo fece decapitare.

Il Bill of Rights emanato nel 1689, impose al re di governare col parlamento e rese le elezioni della Camera
obbligatorie, quando se ne fosse disposto lo scioglimento. La Camera dei Comuni, eletta a suffragio censitario da
un elettorato ristretto, tra Sette ed Ottocento dovette far i conti con la Camera dei Lords composta da Pari
nominati dal re.

La Rivoluzione Francese del 1789 mise fine all’assolutismo monarchico ed aprì la strada ad una serie di
sperimentazioni: prima la monarchia costituzionale, poi la repubblica e l’obiettivo dei Giacobini era quello di
giungere ad una democrazia diretta su ispirazione degli scritti di Jean-Jacques Rousseau (1712 – 1778) che nel
“contratto sociale” aveva ipotizzato un sistema politico nel quale il popolo prendesse le decisioni principali che
lo riguardavano, senza delegare tale facoltà a nessuno.

Il modello rousseauiano, però, pareva adatto più a dei piccoli villaggi rurali che a delle grandi città o a degli
Stati con milioni di abitanti.
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Tra Otto e Novecento. Se nell’Ottocento le esperienze democratiche furono sostanzialmente limitate a pochi casi e
l’elettorato coinvolto era soprattutto quello che aveva un reddito relativamente alto, col Novecento si assistette
ad un allargamento del numero dei Paesi retti a regime democratico, anche se tra il 1920 ed il ’45 parve che la
democrazia fosse un modello di governo in difficoltà di fronte all’avanzare dei totalitarismi.

Dove resistette ai colpi della crisi economica e delle ideologie totalizzanti, si allargò progressivamente la massa
dei votanti, giungendo al suffragio universale sia maschile che femminile.

E la democrazia diretta? Per lo più il modello seguito fu quello della democrazia rappresentativa, cioè
dell’elezione periodica di rappresentanti a scadenza regolare, delegati dalla cittadinanza a prendere le decisioni
ai diversi livelli. Tuttavia, non mancano esempi di “democrazia semidiretta”: in svizzera e in diversi Stati
americani i cittadini vengon regolarmente convocati per esprimersi su questioni d’interesse generale. In alcuni
Cantoni Svizzeri sussiste tuttora l’istituzione medievale della Landsgemeinde: una volta all’anno, la popolazione
viene convocata tra aprile e maggio per approvare per alzata di spade alcune delibere proposte dai governi di
alcuni piccoli Stati della Svizzera tedesca (Glarona, appenzello Interno, ad esempio).
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Non di solo voto è fatta la democrazia. La democrazia considera il momento elettorale o referendario la
manifestazione massima della sovranità popolare e tuttavia non è solo quello. In una democrazia la gente, il
singolo può aver accesso ad un sacco di diritti e di libertà tra cui ci possiamo mettere la possibilità di pensare
con la propria testa, la possibilità d’esprimere pubblicamente le proprie idee, la facoltà d’associarsi insieme ad
altri per rivendicare dei diritti e via elencando. Inoltre, vi è il diritto di manifestare per le strade o le
piazze contro veri o presunti soprusi: anche questa è democrazia e può esser esercitata direttamente in prima
persona. In questi decenni, però, queste forme di “democrazia diretta” vanno infiacchendosi, perché la gente
preferisce rimanersene a casa e delegare ad altri. Forse chi oggi propone il voto elettronico, il referendum
permanente, l’assemblea giorno e notte non ha vissuto l’epoca tra il 1968 ed il 1977 quando enormi energie furono
dissipate in raduni pubblici, spesso molto chiassosi, dove dopo discussioni accanite si decideva qualcosa per
alzata di mano. Ad un certo punto, le sale di riunione rimasero semideserte e vi fu il riflusso nel privato. E’
forse proprio per questo che la democrazia diretta è un’utopia, perché richiede a tutti noi non solo lo sforzo di
votare, alzare una mano o pigiare un pulsante, ma ci obbliga anche allo studio ed all’autodocumentazione continua.
In più, modelli come quello ateniese o medievale oggi paiono inadeguati per società complesse, multiformi, molto
articolate, dove esprimersi con un sì od un no può non esser sufficiente a risolvere i problemi che ci portiamo
dietro.

PIER LUIGI GIACOMONI

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