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RIDUZIONE DEI PARLAMENTARI: UN’OCCASIONE MANCATA
(11 Giugno 2019)

ROMA. Da qualche mese è in discussione in parlamento una proposta di legge costituzionale che, se approvata,

ridurrebbe il numero dei parlamentari da 945 a 600 unità: 400 deputati e 200 senatori.

Il progetto elaborato dal Ministro per i Rapporti col Parlamento Riccardo Fraccaro non sembra aver altro obiettivo.

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IL DISEGNO DI LEGGE.

Nel dettaglio, il disegno di legge Fraccaro intende modificare gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione.

L’art. 56, modificato dalla Legge costituzionale N. 2 del 1963 prevede che i componenti della Camera dei Deputati

siano 630. Di essi 618 eletti in Italia e 12 scelti dagl’Italiani residenti all’estero.

L’Art. 57, anch’esso modificato dalla L. C. N. 2/63 dispone che il Senato della Repubblica sicomponga da 315

membri, eletti a base regionale. In Italia sono eletti 309 senatori, sei vengono scelti dagli elettori residenti

all’estero.

L’art. 59 prevede che il Presidente della Repubblica possa nominare cinque senatori a vita scegliendo persone che

abbiano illustrato la Patria per meriti speciali, inoltre sono senatori a vita gli ex Capi dello Stato.

Il disegno di legge Fraccaro prevede che la Camera dei Deputati scenda, con la prossima Legislatura a 400 membri,

di essi 392 scelti in territorio italiano e 8 all’estero.

Il Senato passerebbe a 200 membri, di essi 196 eletti in Italia e 4 all’estero.

L’art. 3 del DDL prevede ce il capo dello stato possa nominare al massimo 5 senatori vitalizi a cui si dovrebbero

aggiungere i membri di diritto, ossia i Presidenti emeriti. Il numero dei senatori così dovrebbe arrivare ad un

massimo di 206.

Con questa riforma numerica della composizione delle due Camere, acquisirebbero maggior peso i delegati regionali

in occasione della riunione del parlamento in seduta comune per l’elezione del presidente della Repubblica.

Attualmente, il numero dei “grandi elettori” è fissato a 1003 (630+315+58), pari al 5,78% del corpo elettorale. con

la nuova configurazione i “grandi elettori” sarebbero 658 (400+200+58) ed il peso dei rappresentanti delle regioni

ascenderebbe al 9,66%.

anche la maggioranza con cui potrebbe esser eletto il futuro inquilino del quirinale cambierebbe: oggi nelle prime

tre votazioni occorre ottenere almeno 670 voti e dalla quarta in poi 502. In futuro, come si legge nei documenti

parlamentari, nelle prime tre votazioni si necessita di 439 voti, dalla quarta in poi 330.

In questi calcoli non sono inclusi i senatori a vita che al momento sono 5, per cui la camera alta si compone oggi

di 320 membri.

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UN’OCCASIONE MANCATA

Eppure questa avrebbe potuto essere l’occasione per ripensare e ridisegnare l’assetto istituzionale dello Stato

italiano. Si poteva modificare le norme in modo da abbandonare definitivamente il bicameralismo paritario per

approdare ad un modello, come vedremo diffuso in Europa, di bicameralismo complementare.

Si poteva riconoscere all’assemblea di Montecitorio il ruolo di camera politica;

si potevano coinvolgere le Regioni e gli enti locali nel lavoro legislativo, riducendo i conflitti d’attribuzione

tra gli uni e gli altri;

si poteva fare del Senato una camera di controllo, riducendone anche ulteriormente il numero dei componenti.

In realtà, se il progetto Fraccaro andrà in porto, continueremo ad avere lo stesso Parlamento di oggi, solo con

meno membri.

Però quest’operazione nasconde dei rischi che non vanno sottaciuti:

1. svincolare del tutto gli eletti dal rapporto con gli elettori, perché inevitabilmente i collegi elettorali

saranno ampliati e comprenderanno centinaia di migliaia di abitanti;

2. accrescere i costi delle campagne elettorali per le ragioni sopraindicate, rischiando d’agganciare ulteriormente

la sorte dei candidati ai loro finanziatori;

3. lasciare comunque ai partiti la potestà di designare per le diverse aree del Paese i concorrenti più affidabili

ed emarginare le voci critiche.

La gente comune potrà avere l’impressione, una volta varata la riforma, che l’Italia abbia un parlamento più snello

e meno costoso: in realtà, date le circostanze sopraenunciate, potrebbe esser vero l’esatto contrario.

Intendiamoci, lasciare le cose come stanno, ossia continuare ad avere 945 parlamentari, pare al giorno d’oggi una

follia, ma compiere semplicemente una sforbiciata come quella ipotizzata dal progetto Fraccaro, non modificando la

struttura altrettanto barocca dello Stato italiano, appare una pura operazione cosmetica.

La riforma Fraccaro è stata approvata da entrambi i rami del parlamento in prima lettura: come indica l’art. 138

della Costituzione vigente perché la legge giunga in porto occorre che vi sia una seconda e definitiva lettura in

ambedue le camere ed è necessario che i sì siano almeno la maggioranza assoluta dei componenti delle due assemblee.

Di più, entro tre mesi dalla promulgazione della nuova legge costituzionale  500mila cittadini o 5 consigli

regionali possono chiedere il referendum confermativo, a meno che in sede parlamentare i sostenitori del PDL siano

pari ai due terzi (420 su 630 alla Camera e 210 su 315 al Senato, cui vanno aggiunti i senatori a vita).

Risale al 2001 l’ultimo referendum costituzionale confermativo riuscito: quelli del 2006 e 2016 fallirono venendo

bocciati a larga maggioranza.

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GLI ALTRI IN EUROPA.

Come sempre in questi casi, non è inutile fare un confronto con paesi simili al nostro e con una popolazione

numerosa come quella italiana.

Anzitutto, in Europa gli Stati più popolosi hanno parlamenti articolati su due camere, mentre le nazioni di più

piccole dimensioni o scarsamente popolate, come in Scandinavia, hanno optato per assemblee monocamerali.

Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna hanno due camere, di cui una completamente elettiva e l’altra o di nomina

o eletta, almeno in parte dagli enti locali.

Il numero dei deputati varia da paese a paese: la Francia e la Gran Bretagna (65 milioni d’abitanti( hanno camere

basse di 577 e 650 membri, la Germania (82 milioni) attualmente 709, la Spagna (47 milioni) 350.

Per quanto si riferisce alle camere alte, paragonabili al nostro Senato, la Francia ne ha uno di 348 membri, il

Regno Unito, 892, la Germania, 69 e la Spagna, 266.

Nella totalità degli Stati membri dell’UE con parlamenti bicamerali, la camera bassa è quella che dà o revoca la

fiducia al Governo ed è eletta a suffragio universale. Le camere alte hanno origini diverse: in Francia il Senato è

rinnovato ogni tre anni per metà dei suoi componenti da un collegio di 170 mila elettori, (consiglieri municipali,

provinciali e regionali e francesi all’estero), in germania i governi dei Länder nominano i propri rappresentanti

al BundesRat, in modo che le regioni più popolose abbiano un numero più alto di rappresentanti; in Spagna il Senato

si compone di rappresentanti eletti a suffragio universale e da delegati scelti dai consigli regionali.

L’House of Lords, la camera alta britannica è di nomina regia, come lo era il Senato del Regno d’Italia: dal 1999 è

stata abolita l’ereditarietà del seggio, ma il tentativo di trasformare la camera alta in un’assemblea elettiva

finora è andato a vuoto.

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QUALCHE PRECEDENTE.

Limitandoci solo alla storia del Parlamento italiano, occorre ricordare che nel 1861 quando fu eletta la prima

Camera del Regno d’Italia i deputati erano 204, ma gli elettori erano 800mila. con le successive riforme che

ampliarono progressivamente la base elettorale si arrivò nel 1921 ad eleggere una camera di 535 membri. Il regime

fascista ne ridusse il numero a 400, fino a quando, col plebiscito del 1939 si abolì la Camera dei deputati per

passare a quella dei Fasci e delle Corporazioni.

Il Senato era di nomina regia e poteva raggiungere i 250 membri.

Pur avendo le stesse competenze, il governo dell’èra prefascista sapeva di poter contare sul sostegno della camera

alta: Depretis andava dicendo che il «Il senato non fa crisi», mentre problemi potevano facilmente sorgere alla

Camera dove erano frequenti i cambiamenti di casacca politica.

Anche la costituzione del 1948 non fissò all’inizio il numero dei componenti del Parlamento: la Legge

Costituzionale N. 2 del 1963 ne definì  una volta per tutte il numero.

Tra gli esempi di riduzione del numero dei parlamentari, è utile notare che attualmente sono in discussione presso

l’Assemblea Nazionale francese tre disegni di legge, di cui uno con valore costituzionale che prevedono la

riduzione dei membri sia della camera alta che di quella bassa.

In passato, in Belgio furono ridimensionati sia la Camera dei Rappresentanti che il Senato: la prima passò da 212

membri a 150, il secondo da 106 a 75.

Però, né in Francia né in Belgio il parlamento è coinvolto nell’elezione del capo dello Stato: il presidente

francese è eletto a suffragio popolare, mentre i belgi hanno un re.

PIER LUIGI GIACOMONI

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