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STATI UNITI

DOPO BIDEN, KAMALA HARRIS
(24 Agosto 2024)

WASHINGTON D.C. Dopo il ritiro di Joe Biden, 81 anni, dalla corsa alla Casa Bianca, spunta il nome della sua vice, Kamala Harris, 59 anni, che il 22 Agosto accetta formalmente la candidatura democratica per la presidenza degli Stati Uniti.

La svolta avviene il 21 Luglio, quando il Presidente, cedendo a fortissime pressioni, provenienti dal partito, dalla stampa e da uomini di spettacolo, getta la spugna: «Voi sapete che avrei voluto esser rieletto – scrive in una lettera – ho deciso però, nell’interesse del mio paese e del mio partito, di rinunciarvi, concentrando tutte le mie forze sull’adempimento di quanto resta del mio mandato.»

Con un messaggio su X, già Twitter,, dichiara che appoggerà Kamala Harris come aspirante presidente.

L’uscita di scena dell’anziano leader, in politica da più di cinquant’anni, proietta i democratici in una nuova prospettiva: prima eran sicuri di perdere, ora sanno che se la posson giocare da pari a pari coi repubblicani. .

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IL DISASTRO

La crisi diviene evidente a tutti il 27 Giugno 2024, quando la CNN ospita il primo dibattito tra i due in corsa per la Casa bianca: Joseph R. Biden Jr. e Donald J. Trump.

In passato, “gole profonde” rivelan che Biden lavora dalle 10 alle 16, che dopo è stanco e raramente prende impegni per la sera: in altre occasioni, si assenta, non concede conferenze stampa e non prende la parola, come d’abitudine quando si gioca il superbowl di football.

Il 27 Giugno, mentre Trump è frizzante, pieno di battute, Biden è incerto, farfuglia, ha dei vuoti di memoria: insomma, un disastro.

Nei giorni successivi, si presenta in alcuni comizi in migliori condizioni, tuttavia è chiaro che quando parla leggendo un gobbo si esprime più chiaramente, mentre se deve parlare a braccio va in confusione.

A Luglio sparisce dalla circolazione, si ritira a Wilmington, Delaware, perché ha il Covid.

In queste condizioni, i democratici si allarmano perché i sondaggi son impietosi, mentre il New York Times avvia una campagna per convincere il leader a farsi da parte.

Nelle settimane che precedon la pubblicazione della già menzionata lettera diversi prendon la parola per consigliargli la rinuncia. Tra questi anche George Clooney che dice: «Joe, non puoi vincere la lotta contro il tempo!».

Alla fine, dopo che a Milwakee, Trump è stato incoronato candidato del GOP, arriva la lettera che i big dem aspettano: le pressioni han dato esito positivo.

Qualcuno però storce il naso per l’endorsement dato dal Presidente alla sua vice. Obama, ad esempio, dichiara: Il partito democratico è entrato in un territorio inesplorato». Cosa intende dire? Forse che a poche settimane dalla Convention dovrebbe riaprirsi la corsa per la nomination? Non è chiaro: di fatto, Kamala Harris diventa presto la guida dell’Asinello e guadagna consensi e quattrini, quegli stessi che eran mancati a Biden.
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KAMALA HARRIS

Figlia d’un’indiana e d’un giamaicano, Kamala Harris studia legge e diventa avvocata. Quindi si candida per la procura distrettuale di S. Francisco e successivamente diventa Attorney General della California[1]. Nel 2016 diventa membro del Senato di Washington e nel ’19 pone la sua candidatura per la nomination democratica alla Casa Bianca, ma ancor prima che prendan il via le primarie si ritira per mancanza di fondi.

Nell’estate di quell’anno è scelta da Biden come sua vice: «La scelta migliore – dice – che ho fatto negli ultimi tempi».

Come numero due della Casa Bianca Harris non è particolarmente appariscente e sembra che il Presidente la emargini dall’attività del governo. Le vien delegata l’immigrazione e i rapporti col Centro e il Sud America.

Come presidente di diritto del Senato, però permette a diversi provvedimenti legislativi di passare col suo voto decisivo[2].

Del resto, Biden che in un primo momento si era autodefinito colui che avrebbe traghettato i democratici dalla vecchia alla nuova generazione, cammin facendo accarezza l’idea di correr per un secondo mandato: «Ho battuto Trump una volta, posso batterlo nuovamente», ripete.

L’errore commesso dalla totalità dei big democratici è di non averlo fermato in tempo perché, come dice Clooney, non si può combatter la battaglia contro il tempo.

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CORSA CONTRO IL TEMPO

Quando, però, il Presidente si fa da parte mancano 107 giorni alle elezioni e la corsa per la sua successione appare quasi disperata, considerato che Donald J. Trump è in campagna già da mesi ed ha il vento in poppa.

Per di più, le primarie e i caucus han incoronato quasi all’unanimità il vecchio Joe, perché nessun altro aspirante se l’è sentita d’opporglisi.

Quindi occorre convincere quasi 4.000 delegati ad appogiare la vice: così, tra l’1 e il 6 Agosto vien organizzata a tambur battente una votazione on line per domandare a coloro che parteciperanno alla Convention di Chicago se son d’accordo d’investirla. Il voto è quasi unanime e ciò permette ai maggiorenti dell’asinello di lanciare ufficialmente la campagna.

In vista poi delle assise democratiche occorre scegliere un numero due: poiché la californiana è nera e donna, occorre che il suo ticket sia integrato da un maschio bianco proveniente da un’altra area geografica: il Midwest, ad esempio.

Alla fine, la scelta cade su Tim Walz, 60 anni, Governatore del Minnesota, ex militare, già allenatore di football, padre di due figli avuti con l’inseminazione artificiale…

Walz può esser quel politico che permette ai democratici di riguadagnare dei consensi appunto nel Midwest in parte deindustrializzato, conquistato da Trump nel 2016 o in quegli Stati che a seconda del momento pendono o da una parte o dall’altra.

Normalmente tutto questo lavoro si fa in due anni o anche più: ormai coloro che pensano di correre per la Presidenza preparan per tempo tutto ciò che serve per una campagna elettorale lunga e massacrante: Obama, ad esempio nelle sue memorie racconta d’aver iniziato a lavorare per le elezioni del 2008 poco dopo esser entrato nel Senato di Washington ed aver perso molto tempo nella scelta dei collaboratori, cioè della squadra che l’avrebbe accompagnato fin al traguardo finale.

A Chicago, 19-22 Agosto, alla Convention, Harris e Walz son accolti dall’entusiasmo dei delegati, ad eccezione dei pro Pal che insiston per chiedere alla candidata di schierarsi maggiormente a favore dei Palestinesi.

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DONALD J. TRUMP

Per Donald J. Trump il cambio della guardia al vertice dei democratici è un colpo duro: con Biden in campo, è convinto di vincere a mani basse, anzi crede d’aver già la Casa Bianca in tasca. In realtà, i sondaggi non sono così unanimi.

Comunque, la certezza è così solida che alla Convention repubblicana di Milwaukee, Wisconsin, Trump propone come suo numero due una fotocopia di sé stesso: James D. Vance, Senatore dell’Ohio, su posizioni simili alle sue su aborto, immigrazione, diritti delle donne…

Per di più, il fallito tentativo d’assassinio avvenuto il 13 Luglio ne fa per alcuni giorni un eroe.

Il movimento MAGA (Make America Great Again) è entusiasta, ma presto emergon anche alcuni scheletri nell’armadio di Vance per cui non è detto che non venga collocato in secondo piano nella fase cruciale della campagna.

Trump comunque continua a sviluppare il suo copione: insulti, menzogne, battute sessiste, attacchi personali, ma gli equilibri tra i due contendenti si son riequilibrati.

Tutto risolto allora? per nulla: ora comincia la battaglia più aspra perché i prossimi due mesi e mezzo saranno contrassegnati da una delle campagne elettorali più sporche che la storia americana ricordi.

Anche perché le piattaforme dei due partiti sono estremamente l’una l’opposto dell’altra:

i repubblicani puntano molte delle loro carte sull’agenda elaborata dai cristiani evangelici, aborto ridotto al minimo, pochi diritti riproduttivi concessi alle donne, radicale opposizione alla comunità LGBTQ+…

Sul piano economico il GOP propone le ricette tradizionali: diminuzione delle tasse ai più ricchi, tagli ai servizi pubblici, alla sanità…

Contro l’espansionismo cinese propone la strategia dell’isolazionismo, corredata da un graduale ritiro da NATO, G7 ed altre istanze multilaterali: tra l’altro nei confronti dell’Europa Trump è deciso ad imporre dazi doganali molto alti per ridurre le importazioni.

Altro capitolo di punta della propaganda rep: forte limitazione dell’emigrazione dal resto del mondo, col completamento del muro al confine col Messico.

I democratici invece intendono proseguire sulla scia dei provvedimenti assunti durante il quadriennio Biden: aumento degl’investimenti pubblici, regime fiscale più equo, interventi legislativi per consentire l’aborto, sovvertendo la sentenza della Corte suprema del 2023 che di fatto ha delegato agli Stati la disciplina legislativa di questa pratica, per cui in molti luoghi l’interruzione della gravidanza è proibita o fortemente limitata, indipendentemente da ciò che l’ha causata.

L’Asinello vorrebbe anche attuare una politica di graduale integrazione degli immigrati in modo da farli uscire dalla clandestinità e dalla sudditanza da chi ne sfrutta le condizioni d’emarginazione.

In politica estera una nuova amministrazione dem promette d’esser vicina agli alleati di Washington, all’Ucraina e ad Israele, ma potrebbe anche far più energicamente pressione su Gerusalemme affinché riesamini la propria condotta nei confronti dei Palestinesi.

Come finirà? Non lo sa nessuno: i sondaggi di oggi dan in vantaggio Harris su Trump, ma la corsa è lunga, dura ed estenuante.

PIER LUIGI GIACOMONI[3]

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NOTE:

[1] Negli Stati Uniti i procuratori distrettuali son eletti ogni quattro anni, così come l’Attorney General statale: i candidati a queste cariche son espressi dai partiti e quindi gli eletti posson esser repubblicani o democratici.
[2] Il vice presidente, che guida le sedute del Senato, ha diritto di voto sui progetti di legge in esame: durante il quadriennio Biden i rapporti di forze alla camera alta son stati in perfetta parità: 50 rep e altrettanti dem.

Così, il voto di Harris ha consentito l’accoglimento di molti progetti governativi.
[3] Nella storia americana, son stati diversi i Presidenti che alla fine del primo o del secondo mandato[4] han deciso di non correre di nuovo. In tempi recenti, clamoroso è il caso di Lyndon B. Johnson che a marzo ’68 si fa da parte: gli Stati Uniti son impegnati nella lunga guerra del Vietnam e ormai sono molto attivi i movimenti che chiedon il ritiro delle truppe. L’offensiva del Tet (Gennaio ’68) e i successivi bombardamenti su Hanoi diffondon soprattutto fra i giovani la voglia di pace.

Johnson, che avrebbe voluto competere per un nuovo mandato, rinuncia e punta le sue carte su Robert F. Kennedy, fratello del defunto JFK.

Il 5 Giugno a Los Angeles, però, il senatore di New York cade vittima d’un attentato e quindi, i dem si trovan senza un nome da opporre a Richard M.Nixon.

Ad agosto, a Chicago, il partito è diviso: alla fine la scelta cade sul vice Presidente Hubert Humphrey che a novembre è battuto.
[4] Fin dai tempi di George Washington il presidente trascorre alla Casa Bianca al massimo due mandati consecutivi di quattro anni.

In teoria nella costituzione non vi sono limiti alla rielezione, infatti Franklin D. Roosevelt si candida ben quattro volte consecutivamente tra il 1932 e il ’44.

Negli anni 50 del 900 è approvato un emendamento costituzionale che consente una sola rielezione.

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