QUIRINALE. I PRECEDENTI PRESIDENTI/1
(6 Febbraio 2022)

ROMA. Si è concluso il primo settennato di Sergio Mattarella e ci par interessante volgere il nostro sguardo alle presidenze che si son succedute dal 1946 ad oggi.

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UN QUADRO GENERALE.

Dei dodici Presidenti, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, son stati eletti due volte, mentre tre han rassegnato le dimissioni in anticipo sulla fine naturale del loro incarico.

le regioni che hanno dato più Presidenti sono il Piemonte (3), la Campania (3), la Sardegna (2), la Toscana (2) seguite dalla Liguria (1) e dalla sicilia (1): finora son state escluse le regioni bagnate dal Mar Adriatico e dallo Ionio, anche se illustri uomini politici vengono dall’italia orientale. Anche il Lazio, regione che ospita la capitale, o la Lombardia, dove si trova il fulcro economico del paese, non hanno mai espresso un Capo di Stato.

Prima d’esser eletti, tre Presidenti hanno guidato dei governi, tre la Camera dei Deputati, due la Banca d’Italia, uno il Senato: molti han avuto precedenti esperienze ministeriali.

Politicamente, sei sono stati iscritti alla Democrazia Cristiana, compreso Sergio mattarella, due sono stati liberali monarchici, ppoi c’è stato un socialista, un socialdemocratico, un ex comunista e un indipendente.

Non vi sono state Presidenti donne.

Due candidati son stati eletti al primo scrutinio, quindi con una maggioranza superiore ai dueterzi degli aventi diritto, gli altri hanno ottenuto il posto anche dopo molte votazioni, come vedremo.

Nessuno è morto in carica, ma uno, come si dirà più oltre, è stato colto da trombosi cerebrale nel terzo anno del suo mandato.

Data l’ampiezza della trattazione, preferiamo dividere il nostro percorso in tre puntate:

Qui parleremo dei primi quattro presidenti; nella seconda tratteremo i secondi quattro; la terza sarà dedicata ai capi di Stato della Cosiddetta “seconda Repubblica”.

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ENRICO DE NICOLA (1946 – 1948).

Enrico de Nicola è l’uomo che l’assemblea Costituente sceglie per il ruolo di Capo Provvisorio dello Stato il 28 Giugno 1946.

all’atto dell’elezione non c’è nemmeno una costituzione, ma un decreto luogotenenziale che regola i poteri dello Stato nella fase transitoria.
De Nicola, che è già stato Presidente sia della Camera che del Senato negli anni Venti, è un avvocato napoletano che nel 1944, durante un drammatico colloquio con Vittorio Emanuele III, che si trova a Ravello, prospetta al sovrano una possibile via d’uscita alla crisi istituzionale in cui è coinvolta l’Italia, dopo l’8 Settembre 1943.
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I re, è la tesi di De Nicola, quando perdono le guerre devono abdicare: così hanno fatto altri illustri sovrani del passato, come Napoleone. Il giurista propone al Savoia d’abdicare, nominando Umberto II, Principe ereditario, Luogotenente del regno finché non sia possibile definire il futuro istituzionale dell’Italia.

Vittorio Emanuele ci pensa un paio di mesi, poi aderisce alla proposta. Dopo il referendum del ’46, in cui la repubblica prevale per due milioni di voti, Umberto II, re dall’8 maggio, abbandona l’Italia per ritirarsi a Cascais dove i Savoia possiedono un palazzo.
Per qualche giorno, Alcide De Gasperi cumula nelle proprie mani il duplice ruolo di Capo dello Stato e del Governo.

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L’ELEZIONE.

Quando il 25 Giugno ’46 L’Assemblea costituente si riunisce per la prima volta deve decidere cosa fare: prima di tutto elegge il proprio presidente per poi passare a designare il titolare del Quirinale, dove fra l’altro De Nicola non abiterà mai.

L’elezione di De Nicola a capo provvisorio dello Stato è il frutto d’un lungo lavoro “diplomatico” fra i vertici dei principali partiti politici, i quali convengono che si debba scegliere un Presidente capace di riscuotere il maggior gradimento possibile presso la popolazione, affinché il trapasso al nuovo sistema non causi traumi all’opinione pubblica divisa tra monarchici, al sud, e repubblicani, al centronord.
Si decide pertanto d’indirizzare la ricerca del futuro primo cittadino su un esponente del Mezzogiorno, possibilmente d’orientamento monarchico, a compensazione della provenienza settentrionale della maggioranza dei leader politici.

L’iniziale contrapposizione delle candidature di Vittorio Emanuele Orlando (proposta da DC e destre) e di Benedetto Croce (proposta dalle sinistre e dai laici) si protrae sterilmente per lungo tempo, per cui ci si orienta su De Nicola, che però è incerto, tentenna, non si fa trovare. Finché De Gasperi ed altri lo convincono ad accettare la candidatura.

L’Assemblea l’elegge il 28 Giugno 1946 al primo scrutinio con 396 voti su 501 votanti e 573 aventi diritto: assume la carica il 1° Luglio ed il successivo 15 invia il suo primo messaggio:

«Per l’Italia – dice – si inizia un nuovo periodo storico di decisiva importanza. All’opera immane di ricostruzione politica e sociale dovranno concorrere, con spirito di disciplina e di abnegazione, tutte le energie vive della nazione, non esclusi coloro i quali si siano purificati da fatali errori e da antiche colpe. Dobbiamo avere la coscienza dell’unica forza di cui disponiamo: della nostra infrangibile unione. Con essa potremo superare le gigantesche difficoltà che s’ergono dinanzi a noi; senza di essa precipiteremo nell’abisso per non risollevarci mai più»

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LA CRISI DI GIUGNO.

L’uomo però è complesso, ha un carattere difficile: quando nel maggio ’47 De Gasperi forma un Ministero senza socialisti e comunisti la prende male, perciò il 25 giugno successivo si dimette, adducendo ragioni di salute. Il 26, l’Assemblea lo rielegge con 405 voti a favore su 431 votanti e 556 aventi diritto.

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LA CRISI DI SETTEMBRE.

La pace tra Capo dello Stato e premier è però di breve durata: a settembre ’47 si rischia un’altra crisi.

De Nicola è contrario al trattato di pace firmato dal governo ed approvato dalla Costituente. Durante un drammatico colloquio col presidente del Consiglio, il capo provvisorio dello Stato scaglia il fascicolo che avrebbe dovuto firmare contro il muro. Invano De Gasperi e il ministro degli esteri Carlo Sforza tentano di spiegare al giurista napoletano che i “quattro grandi” non avrebbero accettato nulla di meno della firma del capo dello Stato per la ratifica dell’accordo:

Finalmente, il consulente storico del Ministero degli Esteri, Mario Toscano, riesce a convincerlo che la sua firma non avrà il valore giuridico della “ratifica”, bensì quello d’una mera presa d’atto di decisioni prese da altri.

Il Presidente si prende un giorno di tempo per rifletterci, poi firma.

Il 27 dicembre ’47, Enrico De Nicola promulga la nuova costituzione repubblicana che entra in vigore il 1° gennaio ’48: dopo le elezioni politiche del 18 aprile spera d’esser rieletto, ma il nuovo parlamento gli preferisce Luigi Einaudi.

De nicola, che nasce nel 1878, muore nel 1959, dopo esser stato per breve tempo il primo Presidente della Corte Costituzionale.

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LUIGI EINAUDI (1948 – 1955)

Il secondo Presidente della Repubblica è il piemontese Luigi Einaudi.

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L’ELEZIONE.

Per l’elezione del 1948, De Gasperi, che ha appena stravinto le politiche, candida il ministro degli Esteri Conte Carlo Sforza, repubblicano; il suo nome è appoggiato anche da una parte del fronte democratico-laico, ma incontra la netta opposizione delle sinistre. Sebbene sulla carta ci siano i voti per eleggerlo, non riesce ad ottenere il voto di tutti i parlamentari democristiani: contrari, in particolare , sono gli elettori che fanno capo a Giuseppe Dossetti (sinistra DC).

Dopo i primi due scrutini, la dirigenza democristiana decide di non insistere sul nome di Sforza, così spunta quello d’Einaudi. Il Ministro del bilancio è eletto al quarto scrutinio, l’11 maggio ’48, con 518 voti su 872 (59,4%).

Nel suo discorso d’insediamento, Einaudi dichiara che, pur essendosi espresso per la monarchia in occasione del referendum istituzionale, nel biennio costituente aveva dato al regime repubblicano «qualcosa di più di una mera adesione», avendo constatato che il trapasso tra le due forme istituzionali era avvenuto in maniera perfettamente legale e pacifica, dimostrando che il popolo italiano fosse ormai maturo per la democrazia. Proseguì inoltre ribadendo il suo impegno, appena stretto con il giuramento di rito, a farsi tutore della più scrupolosa osservanza di tutte le istituzioni alla Costituzione della Repubblica.

Nel corso del suo settennato, Einaudi nomina otto senatori a vita, tra cui Arturo Toscanini, che però rifiuta, e rinvia quattro disegni di legge già approvati dalle camere affinché vengan riesaminati, a norma dell’art. 74 della Costituzione.

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IL GOVERNO DEL PRESIDENTE.

Il 17 Agosto 1953, per sbloccare una crisi di governo che pare irrisolvibile, compie un atto irrituale: nomina, sotto la propria responsabilità ai sensi dell’art. 92 della costituzione, Giuseppe Pella, Presidente del consiglio dei Ministri.

E’ accaduto che, dopo le elezioni politiche del 7 giugno ’53, non sia scattato il premio di maggioranza previsto dalla nuova legge elettorale (passata alla storia come “legge truffa”), di conseguenza i partiti della coalizione di centro su cui si poggiavano i Ministeri della prima legislatura non hanno forze sufficienti per formare governi. Il 28 Luglio l’ottavo gabinetto De Gasperi, un monocolore DC, non ottiene la fiducia. Il presidente della Repubblica, condotte le abituali consultazioni, affida l’incarico ad Attilio Piccioni che il 10 agosto rinuncia. A questo punto, Einaudi, per sbloccare la crisi che pare in un vicolo cieco, compie il passo sopra indicato. Pella forma un governo monocolore con la presenza di tecnici che ottiene la fiducia. E’ il primo esempio, di breve durata, d’un “governo del Presidente”, perché Pella non è stato indicato dai partiti di maggioranza.

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L’UOMO.

Prima d’assumere la massima carica dello Stato, Einaudi è un economista molto apprezzato anche a livello internazionale, corrispondente dall’Italia dell’Economist e nel 1947 De Gasperi lo nomina Ministro del bilancio e governatore della banca d’Italia: probabilmente si deve a lui il salvataggio della Lira, il cui valore alla fine della guerra si è polverizzato.

Nelle elezioni presidenziali del 1955, ai primi scrutini, Einaudi raccoglie molti consensi, fino a un massimo di 120 voti, poi però le camere gli preferiscono giovanni Gronchi.

Einaudi nasce a Carrù, in Piemonte, il 24 Marzo 1874 e muore a Roma il 31 Ottobre 1961.

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GIOVANNI GRONCHI (1955 – 1962)

Il terzo presidente è Giovanni Gronchi, toscano, politico di lungo corso perché ha fatto parte del parlamento nei primi anni venti ed è stato sottosegretario all’Industria nel primo Ministero Mussolini.

Gronchi, uno dei fondatori del Partito Popolare, aderisce alla Democrazia Cristiana che viene costituita durante gli anni della Resistenza. eletto presidente della Camera dei Deputati ha lui stesso il compito di scrutinare le schede in occasione delle elezioni del ’55.

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L’ELEZIONE.

«All’elezione del Presidente della Repubblica del 1955 – scrive it.wikipedia – il segretario nazionale della DC, Amintore Fanfani candida il Presidente del Senato Cesare Merzagora, eletto come indipendente nelle liste democristiane. Questi, però, non raccoglie l’unanimità dei consensi del partito scudocrociato a causa delle divisioni interne».

Chi vuol far un dispetto a Fanfani, accusato d’esser troppo autoritario e di voler concentrar nelle proprie mani eccessivo potere, boicotta il candidato ufficiale.

Al secondo scrutinio, la sinistra DC si pronuncia per Gronchi che ottiene 127 voti: è chiaro che per Merzagora non ci sono i consensi.

al terzo voto anche la sinistra parlamentare appoggia Gronchi, che al quarto conquista la presidenza (29 aprile) con 658 voti su 883, compresi i suffragi della destra monarchica.

Nei sette anni del suo mandato, nomina i primi componenti della neonata corte Costituzionale e un solo senatore a vita.

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IL DE GAULLE ITALIANO.

Nel 1958, in Francia, di fronte ad una grave crisi istituzionale direttamente connessa alla guerra d’Algeria, risulta evidente l’inadeguatezza delle istituzioni create dalla Costituzione del ’46: il mondo politico di Parigi si rivolge a Charles De Gaulle affinché guidi il Paese. Il generale chiede i pieni poteri e procede alla riforma della costituzione che prevede il passaggio da un regime parlamentare ad uno semipresidenziale.

Gronchi, forse affascinato dalla figura del leader francese, vorrebbe anch’egli essere il De Gaulle italiano: così, nel marzo 1960, di fronte alla crisi dell’ennesimo Ministero di centro, nomina Ferdinando Tambroni Armaroli che vara un gabinetto monocolore DC che ottiene la fiducia alla camera coi voti dei missini.

A seguito di ciò, i Ministri della sinistra DC si dimettono ed anche il Premier fa lo stesso (11 aprile), ma Gronchi, fallito un tentativo ad opera di Fanfani, riconferma l’incarico a Tambroni che si presenta al Senato dove ottiene la fiducia.

La situazione però nel Paese rapidamente si deteriora: il 4 Luglio è previsto che a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, si riunisca il Congresso Nazionale del Movimento Sociale Italiano, partito d’ispirazione neofascista.

I partiti di sinistra annunciano manifestazioni: il congresso viene spostato altrove, ma la miccia è accesa. Tra il 7 e l’8 luglio hanno luogo manifestazioni a Reggio Emilia e in sicilia. la polizia risponde sparando: 8 persone muoiono.

Il Ministero Tambroni è spacciato, così come il progetto di Gronchi di essere il Presidente della seconda Repubblica. La DC decide di far dimettere il Premier e di sostituirlo con Fanfani che forma un gabinetto monocolore che avvierà la stagione del centro-sinistra.

Gronchi nasce a Pontedera nel 1887 e muore a roma nel 1978.

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ANTONIO SEGNI (1962-1964)

Il quarto Presidente si chiama Antonio Segni: è sardo e, prima d’arrivare al Quirinale, è stato due volte Presidente del Consiglio (1955-56 e 1959-60).

E’ assolutamente contrario al centro-sinistra di cui invece è fautore il segretario della DC Aldo Moro.

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L’ELEZIONE.

Quando nel maggio ’62 hanno inizio le votazioni per il nuovo Capo dello Stato è in carica un governo tricolore composto da DC, PRI e PSDI che gode dell’appoggio esterno dei socialisti. presidente del Consiglio: Amintore Fanfani.

Moro è contrario alla rielezione di Gronchi, sostenuto dal Presidente dell’ENI Enrico Mattei, perciò propone la candidatura di Segni affinché le correnti della destra DC non ostacolino la sua politica d’apertura al partito di nenni. I gruppi parlamentari democristiani però non appoggiano unanimemente la scelta fatta dalla dirigenza e nelle diverse votazioni altri nominativi prendono voti: Gronchi ne raccoglie tra 20 e 45, Piccioni raggiunge al terzo scrutinio quota 51, Merzagora tra 12 e 18.

Al nono scrutinio, quello decisivo, Antonio Segni è eletto con 443 voti su 842 (6 maggio 1962). sul suo nome, fin dal terzo voto sono affluiti i consensi di missini e monarchici.
(da notare che il Presidente della Camera giovanni Leone, annulla una votazione per irregolarità).

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IL “TINTINNAR DI SCIABOLE”.

Il presidente, come il suo predecessore, è vicino al generale Giovanni de Lorenzo, comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, ex partigiano di convinzioni monarchiche. Come Gronchi, è affascinato dalla figura di De gaulle che in quegli anni è il vero dominus della Francia: su richiesta di Segni (in seguito al viaggio a Parigi, (19-22 febbraio 1964), il 25 marzo di quell’anno De Lorenzo riceve i comandanti delle divisioni di Milano, Roma e Napoli, proponendo loro un piano finalizzato a far fronte a una ipotetica situazione di estrema emergenza per il Paese. Per l’attuazione si prevede l’intervento dell’Arma dei Carabinieri e “solo” di essa: da qui il nome dato al piano.
I militari devono presidiare la RAI, allora ente radiotelevisivo di monopolio, nonché le sedi dei partiti di sinistra e dei giornali.

E’ previsto che i Carabinieri reprimano ogni manifestazione ed arrestino oltre 700 esponenti della sinistra politica e sindacale.

Il SIFAR, Servizio Informazioni Forze Armate, che successivamente si sarebbe ribattezzato SID (Servizio Informazioni Difesa) in quegli anni raccoglie e scheda parecchie informazioni riservate su diverse personalità politiche, comprese le loro abitudini sessuali.

Il 10 Maggio, De Lorenzo presenta il suo piano a Segni, che ne rimane particolarmente impressionato, tanto che nella successiva sfilata militare per l’anniversario della Repubblica lo si vede piangere commosso alla vista della modernissima brigata meccanizzata dei Carabinieri, allestita dallo stesso De Lorenzo. Tuttavia, sia Giorgio Galli che Indro Montanelli ritengono che non sia davvero intenzione del Presidente attuare un colpo di Stato, ma usarlo come spauracchio nei confronti dei leader politici del centro-sinistra. Nel 1967, però Lino Iannuzzi ed Eugenio Scalfari, curando un’inchiesta sui fatti del ’64 su “L’Espresso” useranno il termine «tintinnar di sciabole» per indicare che in quell’anno si è andati molto vicino ad un vero autogolpe istituzionale promosso dall’inquilino del quirinale. Aldo Moro, molti anni dopo, nel memoriale scritto durante i 55 giorni di prigionia nelle mani delle Brigate Rosse (marzo-maggio 1978) dirà che tra il 1960 ed il ’64 la democrazia italiana ha affrontato un periodo molto rischioso per la sua sopravvivenza.

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LA CRISI DI LUGLIO.

Il 25 Giugno ’64, il primo Governo Moro è battuto in Parlamento sul bilancio del Ministero della pubblica istruzione, nella parte che assegna maggiori fondi per il funzionamento delle scuole private. Pur non avendo posto la questione di fiducia, il Presidente del Consiglio decide d’aprire la crisi. Successive indagini storiografiche han dimostrato che nelle settimane successive si consuma uno scontro tra forze conservatrici che temono i progetti di riforma annunciati dal centro-sinistra ed i fautori di queste riforme. Segni in questa fase, vi gioca un ruolo rilevante. Esercita pressioni sul leader socialista Nenni affinché abbandoni la maggioranza governativa, fa sapere che rinvierà alle camere il progetto di legge urbanistica Sullo-Lombardi, fa pervenire alla dirigenza DC un messaggio nel quale preannuncia che se non sarà presto formato un nuovo governo, incaricherà il Presidente del Senato Cesare merzagora affinché formi un “esecutivo del Presidente”.

Il 17 Luglio, Aldo Moro accetta l’incarico di formare il nuovo Ministero e il 22 Nenni, sulle colonne dell'”Avanti!” scrive: «Se il centro-sinistra avesse gettato la spugna sul ring, il governo della Confindustria e della Confagricoltura era pronto a essere varato. Aveva un suo capo, anche se non è certo che sarebbe arrivato per primo al traguardo senza essere sopravanzato da qualche notabile democristiano» e il 26 «La sola alternativa che si sarebbe delineata sarebbe stata un governo di destra… nei cui confronti il ricordo del luglio 1960 sarebbe impallidito». Con queste parole il leader socialista giustifica l’abbandono di alcune delle richieste di fondo del suo partito col fine di facilitare la formazione del secondo Gabinetto Moro.

In sostanza, in quelle settimane vien messa a segno l’operazione di annacquare i progetti del centro-sinistra e prende forma quel modello di repubblica semipresidenziale in virtù della quale il Capo dello Stato di turno, libero da vincoli partitici, può liberamente perseguire un suo disegno politico, andando oltre i limiti, del resto labili, sanciti dalla costituzione.

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IL PRECEDENTE.

Già nel ’63, dopo le elezioni politiche, Segni minaccia di sciogliere il Parlamento appena eletto, qualora non si provveda rapidamente alla formazione d’un nuovo governo, dopo il fallimento d’un mandato assegnato ad aldo Moro. Il Presidente incaricato, infatti, ha raggiunto un accordo con Nenni che però è sconfessato dalla dirigenza socialista.

la DC, allora, per scongiurare le elezioni anticipate, individua in giovanni Leone, Presidente della Camera dal ’55 al ’63, l’uomo giusto per formare un esecutivo “balneare” che prepari la strada ad un accordo di coalizione più stabile: questi costituisce un ennesimo monocolore DC che rimane in carica fin a novembre.

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IL MALORE.

Varato, dunque, a fine luglio ’64 il Moro2, nuovo colpo di scena: Segni ha una trombosi cerebrale durante un drammatico colloqio col Presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri Giuseppe Saragat, il 7 agosto ’64.

Sembra che l’evento si verifichi quando Saragat, che diverrà a fine anno il quinto Presidente della Repubblica, l’accusa d’aver tramato contro i poteri dello Stato: in realtà, nessuno dei protagonisti di quella vicenda ha mai rivelato cosa sia effettivamente successo.

accertato lo stato d’impedimento temporaneo ad esercitare le funzioni presidenziali, il 10 Agosto assume l’incarico Cesare merzagora, seconda carica della repubblica.

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L’UOMO.

Nel corso del suo breve mandato, il 17 settembre ’63, Segni invia un messaggio alle Camere, a norma dell’art. 87 della Costituzione, col quale segnala alcune incongruenze di natura istituzionale sia in relazione all’elezione dei membri della corte costituzionale sia con riferimento alla rielezione del Presidente della Repubblica: in particolare, suggerisce che il capo dello Stato non sia immediatamente rieleggibile e venga perciò abolito il semestre bianco, ossia il vincolo che impedisce al Presidente di sciogliere le Camere negli ultimi sei mesi del suo mandato. Inoltre nomina tre senatori a vita: Meuccio Ruini, già Presidente della Costituente, Ferruccio parri, Presidente del consiglio tra giugno e dicembre ’45 e Cesare Merzagora, Presidente del Senato.

Antonio Segni nasce a Sassari il 2 febbraio 1891 e muore a Roma il 1° dicembre 1972: suo figlio, Mario, è stato un importante uomo politico negli anni Novanta quando promuove i referendum per la riforma elettorale in senso maggioritario. (CONTINUA)

PIER LUIGI GIACOMONI