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NORVEGIA. SOLBERG RIELETTA
(14 Settembre 2017)

OSLO. Erna Solberg, Primo Ministro uscente del Regno di Norvegia, è stata rieletta.

La “lady di ferro” del Paese scandinavo ha superato, seppur con qualche ansia, la prova elettorale: i sondaggi

della vigilia non le erano così favorevoli, ma dopo lo spoglio delle schede, è probabile che il Re le affidi

nuovamente l’incarico di formare e presiedere l’esecutivo, magari costituendo un gabinetto di minoranza tra

conservatori e progressisti con l’appoggio esterno di liberali e cristiano-democratici.

Tutto facile, allora? Assolutamente no: lo scenario emerso dal voto segnala in realtà una situazione in evoluzione,

per cui non è escluso che l’esecutivo che dovrebbe esser formato entro ottobre porti a termine la legislatura.
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L’assetto istituzionale e la legge elettorale. La Norvegia è una monarchia costituzionale ereditaria: capo di Stato

è Re Harald V, 80 anni,, in carica dal 1991.

In base alla costituzione, il re nomina il Primo Ministro e questi è incaricato di formare il governo che deve

ottenere la fiducia del parlamento.

Nel caso in cui la camera neghi la fiducia o si dissolva la coalizione, poiché le elezioni anticipate non sono

permesse dalla legge fondamentale, è obbligatorio trovare una formula per evitare un pericoloso impasse

istituzionale.

La legge sulla base della quale è eletto lo Storting, il parlamento unicamerale del Paese, è di tipo proporzionale

con uno sbarramento del 4%. Centocinquanta seggi sono eletti in 19 circoscrizioni sparse su tutto il territorio,

mentre 19 deputati sono designati in una circoscrizione nazionale. Se una lista a livello locale ottiene più del

4%, conquista un mandato parlamentare, anche se a livello nazionale rimane al di sotto della quota di sbarramento.

Il totale dei seggi a disposizione è di 169.

Nel vecchio Storting erano rappresentati otto partiti, nel nuovo ne troveremo nove.
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L’analisi del voto. Analizzando nel dettaglio l’esito delle legislative, si scopre che tanto i partiti che

appoggiavano il governo uscente, quanto alcuni schieramenti di opposizione, hanno perduto terreno.

Anche se le variazioni percentuali sono minime, rispetto alle elezioni del 2013, dal voto emerge un crescente

livello d’insoddisfazione dell’opinione pubblica sia per chi governa sia per chi sta all’opposizione.

Sul fronte della coalizione di governo:

• Il partito conservatore Höyre (letteralmente “la Destra”), scende al 25,1% registrando una flessione dell’1,4% e

perde 3 seggi, passando da 48 a 45 mandati.
• Il Partito del Progresso (FRP), famoso per i suoi slogan contro l’eccessiva tassazione, avverso all’immigrazione

ed all’ingresso del Paese nell’Unione Europea, raccoglie il 15,3%, perdendo l’1% (27 seggi, meno due deputati).
• i liberali (V) col 4,3% perdono lo 0,9, acquisiscono 8 seggi, con una perdita di un’unità.
• i cristiano-democratici (KRF) eleggono 8 deputati: ne perdono due registrando anche una flessione dell’1,4%;

Sul fronte delle opposizioni calano:

• Il partito laburista (AP), d’orientamento socialdemocratico, a lungo al governo, pur rimanendo la maggior

formazione politica del Paese, ottiene il 27,4%, ma perde il 3,4%, elegge solo 49 deputati, scendendo di sei unità.
• Deludente il risultato dei Verdi (MDG) che raccolgono solo il 3,4% ed eleggono un unico deputato nell’area di

Oslo.

Tra le liste in crescita, tutte di opposizione segnaliamo:

• il Centro (SP) che ottiene l’incremento più massiccio: rispetto a quattro anni fa passa dal 4,8% al 10,3%,

raddoppiando quasi la propria deputazione (19 seggi anziché 10).
L’SP, pur avendo fatto parte del governo “rosso-verde” che resse il Paese tra il 2005 ed il 2013, difende

gl’interessi degli agricoltori ed ha posizioni conservatrici.

• Incremento più modesto ottengono I socialisti di sinistra (SV) che raggiungono il 6% (+1,9%) ed ottengono 11

seggi, crescendo di 4 unità la propria rappresentanza.
Il partito era favorevole ad una riedizione della coalizione “rosso-Verde” e quindi si collocherà all’opposizione

rispetto al nuovo governo: le sue posizioni ideologiche sono simili a quelle della socialdemocrazia, anche se più

radicali, soprattutto in campo ecologico.
• Debuttano in parlamento i RED, formazione politica di estrema sinistra, che col 2,4% dei voti, eleggono un

deputato.
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Prospettive di governabilità. Complessivamente quindi la coalizione di centro-destra, che nella passata legislatura

appoggiava l’amministrazione Solberg, può contare su 88 seggi, mentre l’opposizione dispone di 81 mandati.

Tutto facile, quindi? Niente affatto: le prime dichiarazioni dei leader dei piccoli partiti di centro indicano che:

1. il loro appoggio per la formazione del nhuovo governo non sarà gratuito;
2. in ogni caso intendono condizionare le scelte del nuovo esecutivo sia in fase di stesura del programma sia nel

corso della legislatura.

«Non possiamo fornire nessuna garanzia per i prossimi quattro anni» ha dichiarato a caldo Knut Arild Hareide,

leader del KrF, alludendo alla politica antimigratoria del governo, sostenuta soprattutto dal Ministro dell’Interno

Siv Jensen, Leader del Partito del Progresso, mentre i liberali hanno inserito nel loro programma il blocco delle

concessioni per l’estrazione di petrolio e gas in nuove aree.

In questi giorni Re Harald V conferirà ad erna Solberg, 56 anni, l’incarico per formare il nuovo ministero, ma la

leader della Destra dovrà usare tutto il proprio tatto per tener insieme una coalizione che mostra già alcune

crepe.
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I temi della campagna elettorale. Pur essendo la Norvegia uno dei Paesi più sviluppati al mondo, in cima alla

graduatoria mondiale dell’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, non mancano dubbi sul presente ed il

futuro.

In particolare, proprio l’economia è stata al centro del dibattito preelettorale: tasse, immigrazione e crescita

del PIL sono stati i temi più discussi.
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Gas e petrolio. Da quando nel Mare del Nord sono state scoperte ingenti riserve d’idrocarburi la Norvegia ha

cambiato volto e l’industria petrolifera ha cominciato a recitare un ruolo rilevante nell’economia d’una nazione

che basava il proprio reddito sulla pesca, l’agricoltura, la produzione del legname ed i servizi.
Il crollo del prezzo mondiale del petrolio, registratosi tra il 2014 ed il ’16 ha fatto perdere al Paese 47 mila

posti di lavoro.

Anche se nel secondo trimestre del 2017, il Pil del Paese è cresciuto intorno all’1,1% e la decrescita

dell’industria del gas e del petrolio è finita, facendo aumentare le entrate del 3,7%, s’è diffuso nell’opinione

pubblica il timore che si stia investendo molto denaro in un settore in perdita ed in beni non recuperabili: un

rischio non indifferente, considerato che l’industria degli idrocarburi rappresenta circa il 20% del Pil, che ha

però perso il 50% della produzione negli ultimi 15 anni e che probabilmente ne perderà un ulteriore 11% entro il

2019.

In più, secondo un recente sondaggio, la maggioranza dei norvegesi sarebbe disposta a ridurre l’estrazione di gas e

petrolio, per diminuire le emissioni di CO2 del Paese: di qui la crescente opposizione alla concessione alle

compagnie petrolifere di nuove aree di trivellazione come nel Mare di Barents o l’arcipelago delle Lofoten,

paradiso naturale che ospita la più grande barriera corallina del Nord Europa, su cui vige ancora un divieto di

trivellazione, nonostante gli 1,3 miliardi di barili contenuti tra le isole – un tesoretto da 65 miliardi di

dollari.

Se il successo dell’Accordo di Parigi ha forse parzialmente influito su questo atteggiamento, in realtà la causa di
fondo dell’inquietudine dell’opinione pubblica è l’evanescenza del mercato petrolifero che negli ultimi anni ha

segnato un profondo regresso dei prezzi dando fiato alle critiche dell’ambientalismo, da sempre avverso allo

sfruttamento degl’idrocarburi.
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Gli altri temi. «Nonostante la sconfitta dei Verdi – sottolinea Affari Internazionali – la discussione sul futuro

dell’industria degli idrocarburi norvegese non si concluderà con la conta dei voti, che lascia anzi molte questioni

ancora aperte. Il tema della diversificazione dell’economia è infatti apparso come caro a una buona parte

dell’elettorato e incomincia ad essere trasversale a molti componenti sia della coalizione di destra (i liberali in

particolare) che di sinistra (la sinistra socialista).»

Vi è poi il tema dell’immigrazione: la linea dura sostenuta dal Partito del Progresso (FRP) esce in parte

indebolita dalle urne: per questo i cristiano-democratici che, malgrado una certa emorragia di voti, risultano

decisivi, insieme ai liberali, per la formazione del nuovo governo e per la stabilità della coalizione, hanno

alzato la voce chiedendo una modifica della linea fin qui intrapresa.

«Esistono poi diversi argomenti chiave – aggiunge AI – che non sono stati affrontati, in particolare quello della

gestione del fondo sovrano norvegese, uno dei più grandi al mondo. Si tratta di quasi un trilione di dollari, il

cui uso negli ultimi anni ha largamente contribuito all’attuale ripresa dell’economia della Norvegia – un settimo

del budget norvegese negli ultimi due anni proviene proprio dal fondo.

La gestione è però criticata da molti in quanto unicamente dipendente dalla Banca nazionale, poco flessibile e

fuori dal controllo del Parlamento, da cui però dovrebbe essere costantemente monitorata.»

Questo fondo sovrano garantisce per il momento il sistema di welfare del Paese perché si alimenta delle entrate

delle royalties pagate dalle compagnie petrolifere che estraggono il greggio e lo trasformano. Se però diminuirà la

produzione o calerà ulteriormente il prezzo della materia prima si porrà il problema d’integrare un fondo ancora

ricco, ma che dovrà spendere parecchio per proteggere i pensionati d’un paese in forte decrescita demografica.

E’ anche per questo motivo che taluni vorrebbero un ammorbidimento della politica antimmigrati fin qui perseguita

da Oslo.
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L’area nordica e la crisi della socialdemocrazia. Dopo queste elezioni si conferma la svolta conservatrice in atto

da anni nell’area nordica: al momento i socialdemocratici sono al potere, con un governo di minoranza, soltanto in

Svezia, tra l’altro criticata da Oslo per la sua politica “permissiva” in fatto di immigrazione: in Danimarca,

Finlandia ed Islanda controllano l’esecutivo i “partiti borghesi”, mentre la socialdemocrazia che per decenni ha

dominato la scena politica ed ha costruito quel sistema di welfare spesso invidiato dai popoli dell’Europa

meridionale per la sua efficienza e pervasività, perdono terreno ad ogni consultazione.

Beninteso, non è il collasso che ha investito altri partiti socialisti, come di recente in Francia e Paesi Bassi,

ma si tratta d’un declino lento e persistente.

Si vedrà con le prossime elezioni in Svezia (2018), Danimarca e Finlandia (2019) se questa tendenza verrà

confermata o se gli umori dell’elettorato cambieranno, determinando una svolta verso sinistra.
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Conclusioni. Nell’immediato, la Norvegia continuerà ad essere uno dei Paesi più felici al mondo ed uno dei migliori

partner commerciali dell’Unione Europea che importa annualmente una notevole quantità d’idrocarburi dal Paese

scandinavo, ma, come si è visto, il futuro è tutt’altro che sicuro e definito.

PIER LUIGI GIACOMONI

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