MAROCCO. IL RE REVOCA IL PREMIER INCARICATO
(21 Marzo 2017)
RABAT. Il Re del Marocco Muhammad VI ha revocato il mandato al premier designato dopo quattro mesi di stallo
politico.
Il 15 Marzo scorso, infatti, Abdelilah Ben Kirane, leader del partito islamico, è stato sollevato dall’incarico di
formatore dell’esecutivo ed il 17 il mandato è stato affidato a Saadeddine El Othmani, esponente dello stesso
schieramento.
«Il re – si legge nella nota diramata da palazzo – ha chiesto in più occasioni al primo ministro designato
d’accelerare la creazione di un nuovo governo.» Ma «l’assenza di segnali che suggerissero l’imminente formazione
di un governo,» e la necessità di «superare il blocco annoso dei negoziati politici,» hanno spinto il sovrano a
revocare l’incarico a Ben Kirane, al fine «di consolidare il processo democratico e preservare le conquiste fatte
dal nostro Paese in questo campo.»
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I risultati delle legislative. Il 7 ottobre 2016, 15,7 milioni di cittadini sono stati convocati alle urne per
rinnovare la Camera dei Rappresentanti, composta di 396 membri.
Secondo la legge elettorale, 306 deputati sono eletti a scrutinio proporzionale, suddivisi in 92 circoscrizioni
elettorali.
I restanti 90 sono eletti in liste nazionali, formate da donne e giovani.
Il Partito della Giustizia e lo Sviluppo (PJD), islamista, è risultato, ancora una volta, il più votato con
1.618.963 voti, pari al 28% (+8.1% rispetto alle elezioni del 2011. Di conseguenza ha eletto 125 rappresentanti
(+18).
Al secondo posto s’è piazzato il Partito dell’Autenticità e della Modernità (PAM) con 1.216.552 voti, pari al 21,1%
(+10%), perciò ha conquistato 102 seggi (+55).
Al terzo, l’Istiqlal, la forza politica che guidò la lotta per l’indipendenza nazionale dalla dominazione
coloniale: ha ottenuto 620.014 voti, pari al 10.7% (-01.2) e 46 seggi (-14).
Il Raggruppamento Nazionale per l’Indipendenza (RNI) con 544.118 voti, pari al 9.4% (-01.9%, ah avuto 37 seggi
(-15); il Movimento Popolare, con 397.085 voti, pari al 6.9% (-0.6), ha eletto 27 deputati (-05);
l’Unione Socialista delle Forze Popolari con 359.600 voti, pari al 6.2% (-2.4), ha acquisito 19 rappresentanti
(-20).
Altri sette partiti si aggiudicano i seggi restanti. Si comprende così che il quadro emerso dalle ultime elezioni
legislative è quanto mai complesso e la formazione d’un esecutivo s’è presentata, fin dall’inizio, come assai
laboriosa.
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Supremazia della monarchia. Malgrado il Marocco non sia più il regno del potere assoluto del Re, come ai tempi di
Hassan II, la decisione di Muhammad VI dimostra che ancor oggi l’80% del potere si trova nelle mani del monarca,
osservava giorni fa un giornalista marocchino: peraltro, aggiungeva, il Premier Ben Kirane e il PJD devono imparare
a cooperare con gli altri partiti politici, dal momento che non hanno la maggioranza assoluta in Parlamento.
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Hassan II. La recente storia marocchina è stata caratterizzata per quasi quarant’anni dalla figura ingombrante di
Re Hassan II, salito al trono nel 1961 e spentosi nel 1999.
Gli anni Sessanta vengono definiti come gli “anni di piombo” per il Marocco, perché il Paese fu scosso da
importanti tensioni sia sulla scena nazionale che internazionale.
All’interno, ci furono importanti manifestazioni sociali contro la monarchia, schiacciate dal Re senza pietà:
Hassan II concentrò nelle sue mani un immenso potere da sovrano quasi assoluto: perciò fu modificata la
costituzione e fu imposto fino al 1970 lo stato d’emergenza. Diversi leader dell’opposizione furono incarcerati od
eliminati, le camere di tortura ampiamente utilizzate i poteri delle forze di sicurezza illimitati.
Vi furono tentativi di porre fine al regime autoritario del sovrano: nel 1972, ad esempio, durante il banchetto per
il compleanno del Re, i militari aprirono il fuoco. Il golpe fallì ed il suo ispiratore, il Primo Ministro
Muhammad Ufkir pagò con la vita il tentativo di rovesciare dal trono Hassan II.
Solo negli anni Ottanta e Novanta, il monarca ammorbidì il pugno di ferro: alcuni detenuti politici riacquistarono
la libertà e venne rivista la Costituzione in modo da rendere possibile un regime multipartitico. Perciò, nel 1997
si tennero le prime elezioni pluraliste: l’Unione socialista delle Forze Popolari ottenne la maggioranza ed il suo
leader assunse la carica di Primo Ministro.
La mano del regime, però, rimase durissima nei confronti degli islamisti: Hassan si considerava un punto di
riferimento della fede musulmana, dato che la dinastia Alawita è imparentata col Profeta.
Malgrado le riforme, gli ultimi anni del regno di Hassan II furono caratterizzati anche da proteste sociali: a
causa del calo dei prezzi delle materie prime d’esportazione e della siccità che distruggeva i raccolti, rabat
dovette chiedere prestiti al fondo Monetario Internazionale. L’FMI condizionò i crediti all’imposizione di piani
d’aggiustamento strutturale che comportarono l’aumento dei prezzi dei prodotti di prima necessità. Conseguenza:
svalutazione della moneta ed incremento del costo della vita. A Marrakesh, Casablanca e nel resto del Paese
scoppiarono le “rivolte del pane” che furono stroncate senza indugi.
Sulla scena internazionale, il Re fu nazionalista ed espansionista, allo scopo d’acquistare prestigio e consolidare
il suo regime anche sul fronte interno: nel 1975, ad esempio, quando la spagna si ritirò dal suo possedimento
coloniale del Sahara Occidentale, Rabat lo occupò, promuovendo la “marcia verde”. Era evidente il tentativo di
Hassan II, da un lato, di deviare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle questioni interne, dall’altro, metter
le mani sulle risorse minerarie, i fosfati, prima di tutto, presenti nel sottosuolo. Solo nel 1991 si giungerà,
con la mediazione delle Nazioni Unite, alla firma d’un armistizio col Polisario (Fronte Popolare per la
Liberazione del Sahara Occidentale e del rio de Oro), ma rabat si opporrà, fino ai giorni nostri con successo, alla
celebrazione d’un referendum sull’indipendenza dell’area, poiché l’ha sempre considerato parte integrante del
proprio territorio nazionale.
Quando poi, ad un certo punto, l’UA (Unione Africana) lasciò intendere che voleva riconoscere l’autoproclamata
Repubblica dei Saharawi e d’appoggiarne la rivendicazione all’autodeterminazione, Rabat uscì dall’organizzazione
continentale.
Solo nei mesi scorsi il Marocco è rientrato nell’Unione, ottenendo garanzie che la questione non verrà risollevata.
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Re Muhammad. Un vero rinnovamento è avvenuto solamente con l’arrivo al potere del nuovo monarca marocchino, Re
Muhammad VI, salito al trono nel 1999. Con lui, infatti, il Marocco si è avviato ad una stagione politica più
liberale. Il Re, in primo luogo, amnistiò migliaia di prigionieri politici, creò una speciale Commissione per la
“Verità e la Riconciliazione”, al fine di risarcire le vittime delle repressioni degli anni precedenti; fondò
l’Istituto Reale per la Cultura Berbera, inserendo il berbero tra le lingue ufficiali dello stato, accanto al
francese ed all’arabo.
Lo Stato mantenne, però, alta la guardia nei confronti dell’estremismo islamico, soprattutto dopo gli attentati del
16 maggio 2003 a Casablanca, ad opera d’un commando di Al Qaeda. In quell’occasione, morirono 33 persone, oltre ai
dodici terroristi: costoro, tutti giovani fra i venti ed i ventitré anni, attaccarono diversi luoghi quasi
contemporaneamente al fine di provocare il più alto numero di vittime possibile.
Con l’avvento delle cosiddette “Primavere Arabe”, Muhammad VI promise una nuova riforma costituzionale: furono
ampliati i poteri del Parlamento e del Governo.
Le elezioni legislative del novembre 2011 sancirono la vittoria del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (PJD),
islamico moderato, ispirato alle posizioni, allora ancora concilianti dell’analogo partito turco AKP. Abdelillah
Ben Kirane fu nominato Presidente del Consiglio ed incaricato di formare un esecutivo di coalizione. Chiaramente,
la monarchia non sparì dalla scena politica.
Al contrario, Muhammad VI giocò un ruolo rilevante nel risolvere la crisi ministeriale del 2013.
Pur riconfermando in carica il leader del PJD, il Monarca impose la nomina di nuovi titolari dei Ministeri chiave
per le Finanze, l’Interno e gli Affari Esteri, scegliendoli tra esponenti dell’Istiqlal, il Partito
dell’Indipendenza, da sempre vicino al trono.
In realtà, sia la società civile che l’establishment si fidan poco del PJD.
La società civile è rimasta delusa dalle politiche d’austerità imposte dal Governo Ben Kirane, come i tagli ai
sussidi energetici; l’establishment, fedele al monarca, considera invece i membri del PJD come privi di esperienza
e di senso di responsabilità.
Permane irrisolta la questione della sicurezza del Marocco: dopo gli attentati del 2003 a Casablanca, il Regno
alawita è divenuto un asse centrale della strategia anti-jihadista degli Stati Uniti e dell’Occidente.
Pur essendo da sempre in prima fila nella lotta contro l’estremismo islamico, dal suo territorio partono numerosi
giovani “foreign fighters” che vanno a combattere per lo Stato Islamico in siria ed in Iraq. Secondo alcune fonti
almeno 1.500 su 5.000 partiti dall’intera Africa del Nord. I servizi segreti di Rabat mantengono alta la guardia
nei confronti degli attivisti del fondamentalismo musulmano. Nel luglio 2016, ad esempio, le forze di sicurezza
hanno arrestato 52 persone, accusate di pianificare attentati in nome di Isis. Ovviamente, con la perdita di
terreno da parte del Califfato, Rabat rischia di trovarsi direttamente preda d’un pericoloso jihadismo di ritorno.
Tanto più che il leader dello “Stato Islamico nel Sahara”, Abu Wahlid al Sarawhi, ha minacciato il Regno di
compiervi nuovi attentati.
Il regno Alawita, peraltro, ha bisogno d’un forte sostegno economico, considerato che il 40% della sua manodopera è
tuttora impiegata nel settore primario, bersagliato da frequenti siccità e crolli nella produzione di derrate
alimentari.
Al fine di non rimaner isolato, né verso l’Europa con cui ha legami storici pluriennali, né verso il mondo arabo,
ha sviluppato un’azione in più direzioni.
Con l’Unione Europea sottoscrisse nel 2004 un accordo di libero scambio, incrementando in questo modo la sua
integrazione con le economie dei Paesi membri dell’Unione, dove, peraltro, vive una corposa diaspora che riversa
nelle casse dello Stato ingenti rimesse in valuta pregiata.
Tali legami hanno però favorito il propagarsi degli effetti della crisi economica globale del 2008 – 2009 e la
successiva crisi dell’area Euro.
Col mondo arabo, per non lasciar nulla d’intentato e per consolidare i legami coi Paesi a maggioranza sunnita,
impegnati in un conflitto di lunga durata contro le mire espansionistiche degli sciiti, s’è avvicinato poi agli
Stati membri del consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC), Arabia Saudita in testa.
Il Marocco fa parte della coalizione creata dai Sauditi per combattere l’espansionismo sciita in Yemen, dove è in
corso una sanguinosa guerra civile a base religiosa; Riyadh ricambia, sostenendo le posizioni di Rabat sulla
questione saharawi.
Re Salman, però, fa di più: ha donato ben 22 miliardi di dollari alle forze armate marocchine, allo scopo di
sostenerne lo sviluppo industriale e nell’aprile ’16 ha offerto un finanziamento di 230 milioni di dollari nei
prossimi cinque anni per sostenere l’economia marocchina. Anche qui, però, con lo stallo della guerra in Yemen e
il calo del prezzo del barile di greggio, strategia promossa peraltro dalla stessa Arabia Saudita, bisognerà vedere
quanta parte di questi finanziamenti concretamente arriverà a Rabat.
La stabilità futura del Marocco, quindi, dipende da fattori interni ed esterni.
Sul piano interno, il Regno dovrà affrontare la doppia sfida di attuare importanti riforme del settore pubblico,
tagliare sussidi economici, cercando però di riconquistare una stabilità governativa, in parte incrinatasi dopo le
recenti elezioni e lo stallo politico che ha determinato l’intervento del Re.
Inoltre, sarà necessario integrare le aree emarginate del Paese, in primo luogo la Regione del Rif.
Sarà quindi necessario affrontare la questione dei diritti umani e della altissima corruzione interna.
Per quanto concerne i diritti umani, malgrado le riforme attuate, ONG come Human Rights Watch denuunciano ancora
abusi delle forze di sicurezza, soprattutto nei confronti delle persone più deboli.
A livello esterno Rabat dovrà far fronte ai pericoli del jihadismo proveniente dal Califfato, alle tensioni nella
regione nord-Ovest africana, dove le interferenze di Al Qaeda del Maghreb arabo (AQMA) fanno sentire i loro
effetti, nonché le ripercussioni della crisi libica e dell’irrisolta questione saharawi.
A favore della stabilità futura del Marocco giocano due fattori:
1. l’esito, sinora disastroso, delle Primavere Arabe.
2. il prestigio della Casa Reale marocchina, dinastia Alawita, discendente direttamente dalla famiglia del Profeta.
Il primo fattore non pare incoraggiare le insurrezioni di piazza, considerato il marasma in cui sono caduti, dopo
il 2011 diversi Paesi arabi, come la Libia, la Siria, lo Yemen, od il rischio di ripiombare negli “anni di piombo”,
com’è avvenuto in Egitto, dopo il golpe del 2014.
Il secondo fattore sembra esser un elemento di coesione nazionale, almeno fino a quando sul trono vi sarà un
sovrano capace d’esser sulla scena, ma di saper anche lasciar spazio alle forze politiche e sociali espressione del
popolo marocchino e di condurre in prima persona una politica estera volta a mantenere col resto della comunità
internazionali legami utili allo sviluppo economico del Paese, condizione necessaria per evitare pericolose
rivoluzioni interne, produttrici di caos.
PIER LUIGI GIACOMONI
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PS. Nello scorso dicembre è stata approvata una riforma del codice civile che consente alla donna marocchina
d’esser alla pari con l’uomo nella gestione della famiglia e nel momento del suo scioglimento. Tradizionalmente,
nel mondo arabo la donna è sottomessa all’uomo e solo lui può ripudiarla. I figli, poi, sono considerati di
proprietà del marito. In Marocco, d’ora in poi, non sarà più così.