L’OCCASIONE FA L’UOMO RAZZISTA
(26 Gennaio 2017)
VENEZIA. Domenica pomeriggio, il Canal Grande, un ragazzo di colore, la gente che passeggia. Ad un certo punto il ragazzo di colore si getta tra le gelide acque della laguna: non vuole far un bagno fuori stagione, non è ubriaco, è uno che vuol darsi la morte.
E’ vestito ed in pochi minuti affonda: da un vaporetto gli lanciano dei salvagente, ma lui non prova ad acchiapparne nemmeno uno.
In pochi istanti la fine.
I sommozzatori recupereranno il corpo di Pateh, 22 anni, originario del Gambia che ha deciso di porre fine alla sua vita.
Sulla riva, però, tanti curiosi assistono alla scena e la riprendono coi telefonini: «El fa finta, disgraxià! lassa ch’el mora sto negro», qualcuno grida.
La vicenda è triste sotto due profili: il primo è quello della depressione d’un ragazzo che evidentemente, ad un certo punto, non è più riuscito a dar un senso alla propria esistenza, dopo aver probabilmente coltivato la speranza che, cambiando Paese, fosse possibile vivere meglio; il secondo è l’avversione che serpeggia tra di noi, forse in noi stessi, verso chi ha qualcosa di diverso da noi. Il razzismo, lessi una volta, è un demone che si annida dentro di te e fa sentire la sua presenza quando meno te l’aspetti. Nessuno ne è immune perché è una reazione istintiva, irrazionale che si manifesta quando t’accade qualcosa che ti tocca nel vivo.
Allora hanno davvero un senso le parole che un prete veneziano ha scritto sulla sua pagina Facebook e che ho letto sulla Nuova Venezia di oggi:
«Caro Pateh, amico nostro sconosciuto, quanto tormento, quanta disillusione, quanta infinita solitudine devono averti stritolato il cuore. Hai detto, disperatamente, basta.
Basta vita ai margini, basta incertezze, basta attese esasperanti.
Se all’ultimo minuto della tua breve esistenza sei diventato fragile, è perché il salvagente dei diritti, dell’accoglienza degna, calorosa e semplicemente umana ti è stato lanciato tardi, o male.»
PIER LUIGI GIACOMONI