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ISRAELE. ANCORA STALLO POLITICO
(7 Marzo 2020)

GERUSALEMME. Le terze elezioni politiche in meno d’un anno hanno riproposto lo stallo politico che impedisce allo Stato d’Israele d’avere un governo nella pienezza delle sue funzioni.

Beninteso, un esecutivo c’è,ma è transitorio dal dicembre 2018 ossia da quando Avigdor Liebermann, leader del partito dei russi si è dimesso dal ruolo di Ministro per gli Affari Esteri, decretando di fatto la fine della coalizione di destra che reggeva israele da oltre dieci anni.

Ne sono seguite due inconcludenti elezioni generali (aprile e settembre 2019), altrettanto inconcludenti trattative per la costituzione d’un nuovo gabinetto e poi a dicembre, su delibera della 22ª Knesset nuove elezioni generali.

Queste, tenutesi il 2 Marzo scorso, hanno sostanzialmente riproposto, con poche varianti, il quadro politico emerso già sei mesi fa: la coalizione di destra vicina alla maggioranza assoluta, ma impossibilitata ad arrivare ai fatidici 61 seggi, una coalizione di centro-sinistra lontana dall’obiettivo del governo e il partito di Liebermann arbitro della situazione perché coi suoi sette seggi può dare il via ad un ennesimo governo Netanyahu oppure tenere in scacco il sistema politico israeliano conducendolo entro sei mesi a nuove elezioni.

E’ per questo che Iossi Beilin, ex ministro nell’ultimo governo Rabin (1992-1995) ha scritto: «Da quando Netanyahu ha perso il partito Israel Beiteinu di Avigdor Lieberman come componente naturale del blocco destra+religiosi ultraortodossi, la battaglia per una vera vittoria è diventata per lui molto più ardua. Non è più sufficiente che il Likud torni ad essere il partito più votato o il blocco di destra+ultraortodossi si affermi come quello con più seggi alla Knesset. La battaglia oggi è per il 61esimo seggio, e senza quello Netanyahu dovrà comunque fare i conti con un contro-blocco che – per quanto disunito e dunque non in grado di formare una coalizione alternativa – detiene tuttavia la maggioranza e potrà impedirgli di creare il suo governo.»

Qui sta il problema: lunedì sera sulla base degli exit poll pareva che al più longevo Premier della storia d’Israele mancassero solo due seggi per raggiungere l’agognato traguardo del potere, ma a scrutinio completato i deputati mancanti sono tre. E’ vero che Netanyahu ha adombrato la possibilità di condurre una campagna acquisti rivolta agli scontenti oggi nelle file dei partiti a lui avversi, ma al momento l’obiettivo di giungere a quota 61 appare distante.

Gli avversari di Netanyahu non possono al momento governare, senza concludere patti coi deputati arabi, ipotesi esclusa a voce alta, ma possono impedire a Bibi di farlo.

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UNA KNESSET PIU’ ARABA, FEMMINILE ED INDIGENA.

A spoglio praticamente ultimato, la 23ª Knesset si presenta con una maggiore presenza di deputati arabi e con una più corposa componente femminile, rispetto al passato.

Degli arabi si è in parte già accennato: la lista unita ha accresciuto i propri consensi divenendo il terzo gruppo parlamentare dopo Likud e Blu&Bianco, rispettivamente 36 e 33 seggi, ma i 15 deputati arabi difficilmente entreranno nel gioco delle alleanze post-elettorali per il governo: solo Rabin nel 1992 nominò un sottosegretario arabofono nel proprio ultimo Ministero.

Le parlamentari invece costituiranno il 25% della nuova Camera israeliana, cioè 30 su 120 e questo potrebbe influire sull’agenda dei lavori legislativi.

Tra le elette spicca la prima deputata nella storia del paese che indossa l’hijab islamico: Iman Khatib-Yassin, infatti, era la n. 15 della lista araba unita, l’ultima delle elette ed entrerà in Parlamento. «Khatib-Yassin – ha scritto the Times of Israel – è membro di Ra’am, partito islamico della Lista Congiunta, affiliato al Ramo Meridionale del Movimento Islamico d’Israele.
Nata 55 anni fa ad Arraba, in Bassa Galilea, prima di candidarsi alla Knesset ha lavorato come capo di un centro comunitario a Yafa an-Naseriyye, sempre in Galilea nell’area metropolitana di Nazareth, dove vive da 14 anni. In precedenza aveva conseguito una laurea in servizi sociali presso l’Università di Haifa e un master in questioni femminili presso l’Università di Tel Aviv. In un video pubblicato a febbraio sulla pagina Facebook della Lista (araba) Congiunta, Khatib-Yassin afferma di voler “soprattutto far ascoltare la voce delle donne”, delle persone più vulnerabili ed emarginate e quella “dei nostri giovani”.»

Questa, però, non è la Camera col maggior numero di deputate: la 20ª Knesset, eletta nel 2015, arrivò ad averne 35.

al momento del voto (marzo ’15) le elette furono 29 poi crebbero di sei unità per effetto delle rinunce di deputati uomini che lasciarono l’assemblea.

L’altra importante novità è la presenza di almeno 100 deputati nati in Israele, ossia i cinque sesti, e venti provenienti dalla diaspora: di essi 11 vengono dall’Europa, otto dall’Africa e uno solo dall’Asia.

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I DUE BENNY.

I due Benny sono esausti. Il veterano Bibi Netanyahu, un attivista nato, regge meglio dell’esordiente Benny Gantz il quale, nonostante il curriculum militare, deve ancora abituarsi a questo genere di scontri. Entrambi sono provati da un’interminabile campagna elettorale durata più di un anno. Ma entrambi, nei rispettivi discorsi pronunciati nella notte elettorale hanno cercato di tratteggiare una linea volta ad escludere un quarto ricorso a elezioni anticipate.

Il combattivo discorso di Gantz centrato sul concetto di «attenersi ai nostri valori» e «non permettere a nessuno di dividerci» mirava innanzitutto a tenere insieme la sua giovane formazione, nata solo un anno fa. Blu&Bianco non è riuscita a cogliere la vittoria decisiva in ben tre elezioni consecutive, ma si è ormai attestata come una forza considerevole sulla scena politica, avendo conquistato più di un quarto dell’elettorato per tre volte di fila. Ammesso che ora resti unita. Gantz, infatti, è già sotto attacco da parte dei suoi per come ha condotto la campagna. I tre soci nella “cabina di regia” – Yair Lapid, Moshe Yaalon e Gabi Ashkenazi – sono tutti convinti che avrebbero potuto fare meglio. Rimarranno fedeli a Gantz, ora che il sogno di formare un governo guidato da Blu&Bianco sembra svanito?

Netanyahu, dal canto suo, nel suo discorso ha parlato di una “grande vittoria”, ripetendo più e più volte le parole «vittoria» e «abbiamo vinto». Ma, come abbiamo detto, se c’è una cosa che Netanyahu conosce bene è l’aritmetica elettorale: non l’ammetterà mai, ma sa d’aver vinto a metà e talvolta non c’è di peggio d’una vittoria mutilata.

Per questo deve affermare la sua inequivocabile vittoria prima che gli israeliani si rendano conto che, in realtà, la maggioranza dell’elettorato ha votato per partiti contrari alla sua leadership.

Così il suo partner prioritario a questo punto è lo stesso Gantz: hanno lavorato insieme in relativa armonia quando Gantz era capo di stato maggiore delle Forze di Difesa. E certamente Netanyahu non ha nessuna intenzione di tornare a collaborare con Avigdor Lieberman (il leader di Israel Beytenu la cui rottura con Netanyahu ha dato avvio un anno fa alla crisi politica tuttora in corso).

Ecco perché il Premier uscente nel suo discorso non ha menzionato nemmeno una volta Gantz né il suo partito: non ha escluso l’adesione di nuovi partner né fissato limiti su quali potrebbero essere. Ha piuttosto sottolineato «che è giunto il momento della riconciliazione».

Gantz, prima delle elezioni, si è ripetutamente dichiarato indisponibile a prestare servizio sotto un primo ministro formalmente incriminato: ora, però, coi voti scrutinati e con un quadro politico stagnante dopo tre consultazioni in meno di dodici mesi, il leader di Blu&Bianco sa di non poter formare un governo, perciò nel suo discorso ha avanzato la sua offerta all’avversario: «I processi [penali] vanno affrontati in tribunale – ricordando che il 17 Marzo prossimo il Primo Ministro dovrà comparire dinanzi ad una corte per rispondere di gravi reati – ma non ha escluso che il Capo del Governo possa ugualmente ricoprire lo stesso incarico senza essere detronizzato.

Dalle omissioni dei discorsi di Netanyahu e Gantz emerge il possibile quadro per un futuro governo di unità nazionale: la concessione che Blu&Bianco potrà fare sarà accettare di servire in un governo Netanyahu nonostante le incriminazioni. Dal canto suo, Netanyahu dovrà accettare di comparire in tribunale senza dare corso alla implicita minaccia di rimuovere il procuratore generale che l’ha incriminato.

È una proposta rischiosa per Gantz: Alcuni membri di Blu&Bianco hanno già ribadito la loro posizione contraria a un governo guidato da un Primo Ministro imputato: qualcuno ha anche ventilato l’ipotesi di proporre alla nuova Knesset una legge che impedisca ad un deputato incriminato di divenire Capo del governo.

Una legge del genere fu presentata nel 2008 per destituire ehud Olmert, ma questi, allora, rassegnò le dimissioni e successivamente si ritirò dalla scena politica.

Netanyahu, per il momento, ha tutte le intenzioni di guidare Israele e molto difficilmente farà passi indietro.

Un accordo tra i due Benny oggi come sei mesi fa è l’unica strada per sbloccare lo stallo istituzionale in cui si trova lo Stato d’Israele.

Inoltre, questa potrebbe esser l’unica opzione per evitare nuove elezioni tra sei mesi ed avrebbe il vantaggio di togliere a Liebermann il ruolo di Kingmaker d’Israele, cosa che negli ultimi tempi ha prodotto solo instabilità.

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La cerimonia d’insediamento della nuova Knesset avrà luogo il 16 Marzo, ma già prima il Capo dello Stato potrebbe aver avviato le consultazioni per l’individuazione del primo Presidente incaricato: il giorno successivo Bibi comparirà dinanzi alla corte distrettuale di Gerusalemme per il processo che lo vede coinvolto che, però potrebbe durare mesi se non anni.

PIER LUIGI GIACOMONI

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