IN AFRICA ESSER ALBINI E’ PERICOLOSO
(11 Novembre 2023)
Esser albini in Africa è pericoloso: prima di tutto perché è alta l’incidenza dei tumori della pelle, la maggior parte di loro fatica ad arrivare a 40 anni, ma soprattutto, in diversi Paesi rischiano d’esser ammazzati.
Secondo le Nazioni Unite, dal 2006 son stati uccisi più di 200 albini in tutto il continente: in Tanzania dal 2010 al ’16 vi sono stati 75 omicidi di persone affette da questa patologia.
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L’ALBINISMO
Si tratta d’una anomalia genetica congenita consistente nella totale deficienza di pigmentazione melaninica nella pelle, nell’iride e nei peli causata da un’assenza o un difetto d’un enzima che concorre alla formazione della melanina, la sostanza che protegge la nostra pelle dal rischio d’ustionarsi quando è esposta al sole.
Gli albini, perciò, devono proteggersi con creme particolari dai raggi solari e soffron di fotofobia, per cui vedon peggio degli altri perché dà loro molto fastidio la luce.
In Europa e negli Stati Uniti una persona su 20.000 è albina, in Africa il rapporto è di uno ogni 4.000 individui.
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OSTRACISMO
In molti paesi africani, l’albino è ostracizzato perché la società rifiuta d’accettarli.
In più, si crede che le ossa e la pelle di queste persone possiedano poteri sovrannaturali: alcuni guaritori tradizionali con esse preparano pozioni magiche che dovrebbero portar ricchezza, felicità e fortuna.
Così, qua e là son state organizzate delle “cacce all’albino” e nei mercati c’è chi vende arti prelevati dai loro corpi.
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MARTHA, PASCHAL E GLI ALTRI
Martha Chipeso, del Malawi, racconta a lemonde.fr che nel marzo 2017 un gruppo di uomini, secondo lei mandati dalla sorella, l’han aggredita, mentre era in casa, armati di lunghi coltelli: «Vogliamo ucciderti!», gridavano.
Lei riesce a scappare, si rifugia nei campi, mangia ciò che trova, ma dopo nove giorni ha sete: per fortuna, un sacerdote cristiano la soccorre, le offre dell’acqua, la riconduce a casa.
Suo marito, Felix, denuncia gli assalitori, ma la polizia, prima li arresta, poi li libera.
Paschal Merumba, Tanzania, fin da piccolo è rifiutato dalla madre che non vuol allattarlo: suo fratello, anch’egli albino, muore di stenti.
Per i genitori, Paschal è un figlio maledetto: credono infatti che abbia contaminato la comunità in cui vivono.
Comunque, miracolosamente, sopravvive: alimentato a parte, dorme sul pavimento.
Nel 2013, ormai adulto, è aggredito: «Una sera – racconta a theguardian.com – ero fuori a cercare qualcosa da mangiare quando son caduto in un’imboscata organizzata da un gruppo di uomini che volevano uccidermi.
Mi hanno legato braccia e gambe, han agganciato una corda al mio collo e hanno cominciato a trascinarmi in un cespuglio.
Volevan tagliarmi la testa per praticare la stregoneria.»
Si salva perché un vicino corre urlando verso gli aggressori con una torcia.
«La mia vita – prosegue Merumba – è trascorsa nella depressione. Nel momento più nero, ho bevuto il liquido della batteria nel tentativo di suicidarmi.
Quando ho fallito, mi son detto: “forse non è desiderio di Dio che lasci questo mondo!”».
Dopo la sua vita cambia: Incontra
Standing Voice, un’organizzazione con sede a Ukerewe, un’isola nel Lago Vittoria dove vive, che difende i diritti degli albini.
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UN RAGGIO DI SPERANZA
«L’isola di Ukerewe – dice Sam Clarke, responsabile delle comunicazioni di Standing Voice, intervistato da theguardian.com – ospita una comunità profondamente impoverita, segnata dalla segregazione e dalla violenza: fratelli costretti a mangiare da piatti separati nella convinzione che il loro albinismo sia contagioso, donne violentate perché si crede che la loro patologia curi l’Aids e tanti morti di tumore alla pelle, cui però è negata la sepoltura perché li si considera dei “fantasmi” e quindi si pensa che i loro corpi un giorno semplicemente scompariranno.
«In Tanzania la disumanizzazione delle persone con albinismo implica che i servizi non sono costruiti per soddisfare le loro esigenze: la discriminazione impedisce loro l’accesso all’assistenza sanitaria, limita le opportunità di istruzione e lavoro e li isola dalle loro famiglie e comunità».
Per questo Standing Voice ha creato Umoja che in kiswahili significa “unità”.
Questo centro di formazione e riabilitazione organizza corsi di riqualificazione professionale: gruppi di albini, e non, imparano il mestiere del tipografo, del sarto, del fotografo: alcuni ragazzi diventan reporter radiofonici.
E Paschal? «Dove vivo adesso – dice – è molto più sicuro. L’atteggiamento e la comprensione dei miei vicini nei confronti delle persone con albinismo sta migliorando notevolmente; ci sediamo insieme, parliamo e condividiamo. Amo socializzare con gli altri. Ora posso farlo; Ho persone che mi amano. Mi sento sicuro e conduco una vita indipendente».
PIER LUIGI GIACOMONI