IL PAKISTAN SCEGLIE IMRAN KHAN
(21 Settembre 2018)
ISLAMABAD. Imran Khan, ex stella del cricket, lo sport più popolare nell’Asia Meridionale, è da un mese Primo Ministro del Pakistan.
Nel momento in cui, sotto diverse latitudini, gente di spettacolo, industriali od atleti, divengono leader politici, il Pakistan non fa eccezione e si affida ad un acclamato eroe dello sport, finora più noto come playboy che per il suo peinsiero politico.
In realtà, Imran Khan, dopo essersi fatto un nome nell’ambito del cricket, da circa vent’anni calca la scena politica nazionale ed attacca soprattutto la dilagante corruzione, promettendo che, se eletto Premier, vi porrà senz’altro fine.
Ora ne ha l’opportunità, visto che il nuovo Parlamento di Islamabad l’ha eletto, affidandogli l’onere di guidare il Paese.
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Le elezioni di luglio. La decisione dell’Assemblea Nazionale è avvenuta al termine d’una complessa trattativa apertasi tra i numerosi partiti pakistani dopo le elezioni legislative del 25 luglio scorso. Dalle urne, infatti, se da un lato è emerso come chiaro vincitore il partito di Khan, dall’altro questo schieramento non dispone da solo della maggioranza assoluta per cui, come vedremo, è stato necessario comporre una coalizione e fare delle concessioni agli alleati.
Il Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI), il partito di Khan, ha ottenuto complessivamente il 31.82% dei voti e 149 seggi, la Lega Musulmana dell’ex Premier Nawaz Sharif il 24,35% ed 82 seggi mentre il Pakistan people’s party (PPP) tuttora in mano ai membri della famiglia Bhutto, il 13,03% e 54 mandati.
Completano il complesso quadro politico nazionale una quantità di liste locali che hanno mandato ad Islamabad propri rappresentanti ed un buon numero di deputati indipendenti, alcuni dei quali hanno deciso di sostenere il nuovo esecutivo: si tratta in totale di 47 parlamentari.
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Il sistema politico. La Repubblica Islamica del Pakistan è uno stato federale suddiviso in quattro province: ciascuna è governata al suo interno da un’assemblea che elegge al suo interno un Chief Minister (Ministro principale) che forma il governo regionale. Dalle urne, il 25 luglio, nelle parallele elezioni provinciali è emerso un quadro poliedrico:
1. il PTI è risultato il partito maggiore nel Punjab e nel Khyber Pakhtunkhwa.
2. Il PPP si conferma partito principale nel sindh.
3. Il neonato Balochistan Awami party (BAP) ha invece assunto il controllo dell’assemblea del Balochistan.
La Lega Musulmana, partito dominante nell’ultimo decennio, privata del suo leader Nawaz Sharif è uscita battuta dal molteplice scrutinio, ma rimane tuttavia una forza politica rilevante, benchè l’ex premier sia in carcere, accusato di molteplici reati legati alla percezione di tangenti.
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Imran Khan. La vittoria elettorale di Imran Khan e del PTI è unanimemente considerata un chiaro messaggio di presa di distanze dell’opinione pubblica dalla scena politica pakistana finora caratterizzata dallo scontro tra il PPP, partito laico e progressista, controllato dalla famiglia Bhutto e dalla Lega Musulmana, partito dominato da decenni dalla dinastia Sharif. I due schieramenti si son fatti incessantemente la guerra per decenni, utilizzando tutti gli strumenti disponibili: il denaro, la violenza, il delitto.
Il Paese, poi, è direttamente coinvolto nell’interminabile conflitto afghano ed è in prima fila nella lotta contro il terrorismo islamico, scatenata nel 2001 dagli Stati Uniti: ciò condiziona qualunque governo pakistano, anche a causa dell’enorme potere concentratosi per decenni nelle mani dei servizi segreti militari.
Anzi, proprio le forze armate sono un attore ineliminabile della scena politica nazionale: fin dall’indipendenza ottenuta nel 1947, il Pakistan, a più riprese, è sato sottomesso per lunghi periodi a dittature militari. Contro tutto questo ha promesso di lottare Imran Khan presentandosi al Paese come l’unica personalità che possa farla finita con la corruzione, le limitazioni alla sovranità nazionale, il disordine ed il nepotismo.
Tuttavia, per giungere alla formazione del governo, Imran Khan, 65 anni, ha dovuto fare in primo luogo delle concessioni al suo principale alleato, il Muttahida Qaumi MovementPakistan (MQM-P), partito che ha la sua base elettorale nel Sindh: il MQM-P è una derivazione del MQM schieramento che ha sempre raccolto i voti degli indù rimasti in Pakistan dopo la spartizione dell’India britannica.
Il nuovo governo, quindi, prevede d’aver un occhio di riguardo per il Sindh ed in particolare per Karachi, capitale economica del Paese, e Hyderabad. «La maggioranza in Parlamento è quindi stata ottenuta da Khan – scrive Affariinternazionali.it – grazie a delle concessioni che riguardano una sola provincia del Pakistan. Al di là della forzatura politica, l’accordo (definito un informale Memorandum of Understanding) rappresenta un precedente di cessione parziale sul fronte federale che il governo dovrà sostenere in futuro senza esserne vittima.»
Quanto ai rapporti con l’esercito, da varie parti si sottolinea che dal 2013 il PTI ha ottenuto in diverse occasioni il supporto, diretto o indiretto dei militari. Così è stato in occasione dell’arresto, fomentato da Imran Khan, di Nawaz Sharif. L’ex premier, principale rivale politico di Khan, fu fermato per crimini legati alla corruzione, insieme a numerosi membri del suo partito e con un’ingiustificata azione tesa a “prevenire” disordini e proteste.
Sulla scia di questo e altri episodi, Imran Khan ha sempre platealmente sostenuto le forze armate ed in special modo la loro ala più conservatrice. In un paese come il Pakistan legarsi a doppio filo con i militari potrebbe voler dire cedere di fatto il potere esecutivo ai suoi organi apicali, come il Capo di stato maggiore dell’esercito. In passato, questo è avvenuto nel 1958, nel 1977 e nel 1999 (in quest’ultima circostanza a spese già di un governo guidato da Nawaz Sharif). Affrancare il livello politico dall’influenza militare e cooperare fattivamente ma ciascuno nei propri ambiti rappresenta quindi una delle priorità del governo, insieme alla stabilizzazione economica.
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Disastro economico. La Repubblica Islamica è infatti interessata da una contingenza economica molto negativa, che potrebbe spingere l’esecutivo a intraprendere una procedura di bailout di fronte al Fondo monetario internazionale (FMIi), chiedendo quindi un’erogazione di liquidità straordinaria per far fronte al debito crescente.
Infatti, il Pakistan ha di fronte una serie di grosse sfide sul piano macroeconomico: nella prima parte dell’anno ha perso 9,1 miliardi di dollari delle sue riserve di valuta pregiata e si è dovuto ulteriormente indebitare in primo luogo con la Cina: complessivamente, Pechino, sia direttamente che indirettamente, ha prestato 4,4 miliardi di dollari, 1,5 provenienti dallo Stato e 2,9 dalle banche commerciali cinesi.
Ora si teme che Islamabad chieda un nuovo prestito al FMI per rimettere in sesto le finanze del paese ed evitare un crollo del sistema economico.
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Kashmir ed Afghanistan. Forse è proprio per questo che Imran Khan ed il suo Ministro per gli Affari Esteri hanno interpretato la commedia del “poliziotto buono-poliziotto cattivo” col Segretario di Stato USA Michael Pompeo.
Ricevendo il Capo della diplomazia di Washington il 5 Settembre scorso, il Ministro degli Esteri Shah Mahmood Qureshi, poliziotto cattivo, ha rimproverato l’america d’aver abbandonato il Pakistan a seguito della decisione dell’amministrazione Trump di ridurre significativamente gli aiuti militari al Paese.
Imran Khan, poliziotto buono, intervenuto al colloquio ad incontro avviato, inserendosi nella discussione, ha invece virato verso toni accomodanti nei confronti dell’amministrazione americana, riaffermando la propria intenzione di promuovere l’interesse nazionale pakistano. Un atteggiamento che mira da un lato, ad ottenere dal FMI i prestiti di cui il Paese ha drammaticamente bisogno, dall’altro a sottolineare che il Pakistan rimane una pedina importante nella lotta che gli USA e l’Occidente stanno intraprendendo da decenni contro la galassia terroristica del radicalismo islamico.
Pare che, tornato a Washington, Pompeo abbia messo una buona parola all’FMI per convincerlo a soccorrere il Paese centrasiatico, confermando tuttavia il prossimo ritiro degli americani dallo scenario centrasiatico, come vuole Trump.
Sul fronte del conflitto del Kashmir, Khan, nel suo discorso della vittoria, ha offerto dialogo a New Delhi, ma l’India di Narendra Modi è rimasta fredda: da diverse parti si sottolinea che non è interesse dei militari delle due parti risolvere l’annoso conflitto perché la sua sussistenza contribuisce a mantenere intatto il potere fin qui detenuto dagli uomini in uniforme. Non va dimenticato che i due giganti dell’Asia meridionale spendono moltissimo in armamenti.
Imran Khan, quindi, da un lato riscuote consensi presso la gente promettendo un nuovo welfare nazionale: toglieremo – ha promesso – dalla povertà molta gente e costuiremo cinque milioni di abitazioni, dall’altro si muove come un consumato giocatore d’azzardo per evitare un pericoloso tracollo economico per un Paese che da decenni si trova in prima linea in una delle aree più delicate del Pianeta.
PIER LUIGI GIACOMONI