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ERITREA. DECRETATA MOBILITAZIONE GENERALE, AVVIATA OFFENSIVA CONTRO IL TPLF
(9 Ottobre 2022)

ASMARA. Il 15 Settembre l’Eritrea ha decretato la mobilitazione generale del proprio esercito: tutte le persone valide dai 18 ai 55 anni sono tenute a presentarsi nelle caserme per esser inviate sul fronte di guerra in Tigray.

Scrive africaexpress.info che il provvedimento «era nell’aria da tempo, giacché reclutamenti forzati di ragazze e ragazzi proseguono da quasi due anni per le strade dei villaggi e delle città eritree. L’obbiettivo è reclutare con la forza giovanissimi per spedirli in Etiopia a combattere i tigrini a fianco delle truppe federali di Addis Abeba.»[1]

Chi non si presenta alla chiamata  paga un caro tributo: oltre all’arresto immediato dei congiunti, vien sequestrata la casa di famiglia.

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LA GUERRA IN TIGRAY

Com’è noto, la guerra nel Tigray scoppia nel novembre 2020: ufficialmente, la causa scatenante è la decisione del TPLF, partito prevalente nella regione, d’indire le elezioni locali, mentre Addis Abeba, in precedenza, aveva rinviato al 2021 tutte le consultazioni, nazionale e locali.

In realtà, gli attriti tra governo centrale ed amministrazione locale montano già da tempo.

Abiy Ahmed Ali, primo Ministro etiope dal 2018, un oromo, insignito del Premio Nobel per la pace, accusa il TPLF di voler separare il Tigray dall’Etiopia per creare un proprio Stato indipendente; i tigrini ribattono che l’obiettivo dell’esecutivo federale è la totale emarginazione della loro etnia dal contesto nazionale.

Dopo diverse tregue, tra cui una in vigore dal mese di Marzo, il 24 Agosto il conflitto si riaccende furiosamente.

Corollario inevitabile dei combattimenti: una grave crisi umanitaria con sfollati, rifugiati nei paesi vicini, rischio di fame e malnutrizione per le popolazioni colpite, violenza generalizzata.

Il timore di molti osservatori è che la guerra possa estendersi ad altre aree del Corno d’Africa, colpito, tra l’altro, da una gravissima siccità che sta compromettendo i raccolti di cereali, essenziali per l’alimentazione di persone e bestiame. Per questo, da quelle parti, si attendono con ansia le navi cargo piene di granaglie provenienti dal Mar Nero.

Le prime, partite dai porti ucraini, son arrivate nel porto di Gibuti, ma i carichi trasportati son insufficienti a sfamare le popolazioni.

Così, dicono gli operatori umanitari, c’è il forte rischio che entro pochi mesi la fame faccia strage tra la gente.

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FLEBILI SPERANZE DI PACE

Intanto, la stampa internazionale ha dato notizia che il Sud Africa ha invitato le parti in conflitto a riunirsi a Città del Capo, sotto l’egida dell’Unione Africana (UA), per intavolare un negoziato che possa far cessare i combattimenti, risolvendo i contenziosi in atto.

I colloqui avrebbero dovuto avviarsi il 9 ottobre, ma all’ultimo momento sono stati rinviati a data da destinarsi.

le ragioni del rinvio sono:

1. i dirigenti del TPLF chiedono garanzie per la loro incolumità;
2. l’ex Presidente kenyano Uhuru Kenyatta, uno dei mediatori, è per il momento indisponibile.

Infatti, il suo successore e rivale, William Ruto, fin dal suo insediamento, il 13 Settembre, ha dichiarato di voler porre fine al conflitto. concetto ribadito durante una visita ad Addis Abeba.

«Si tratta – scrive paolo Lambruschi[2] dei primi colloqui formali […] I precedenti erano stati avviati ad Agosto a Dubai su pressione degli Usa, ma si sono interrotti subito ».

I mediatori designati dall’Unione Africana, oltre a Kenyatta sono l’ex Presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, e l’ex numero due sudafricano Mlambo-Ngcuka.

Anche il Parlamento europeo, frattanto, ha approvato una risoluzione A sostegno dei colloqui di Città del Capo.

Con essa Strasburgo:

1. chiede la cessazione delle ostilità e lo sblocco degli aiuti;

2. condanna le forze armate eritree per l’invasione del Tigray;

3. Dopo aver stigmatizzato i crimini di guerra commessi in questi 23 mesi di conflitto ed aver deplorato l’incapacità dell’ONU di fermare i combattimenti e proteggere i civili, chiede al Palazzo di Vetro di New York di rinnovare il mandato alla commissione internazionale di esperti, che ha confermato che nel conflitto sono stati commessi crimini di guerra contro i civili.

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L’ERITREA

STORIA

Già possedimento italiano (1889-1941), viene liberata dalle forze britanniche durante la seconda guerra mondiale. Nel ’50 le Nazioni Unite decidono che questo territorio, grande circa un terzo dell’Italia e affacciato sul Mar Rosso, formi una federazione con l’impero d’Etiopia. Nel ’61 però Hailé Selassié, sovrano assoluto ad Addis Abeba, unilateralmente l’annette al suo impero, trasformandolo in una provincia. In breve, è guerra tra le forze governative etiopiche e il Fronte di Liberazione d’Eritrea (ELF) che si batte per l’indipendenza totale del Paese.

Negli anni 70 scoppia all’interno della resistenza una scissione: elementi radicali formano il Fronte Popolare per la Liberazione dell’Eritrea (EPLF) che per anni combatte contro gli ex compagni dell’ELF. Risultato: gli etiopici guadagnano terreno e rafforzano il loro controllo sulla provincia ribelle.

Le cose non cambiano nemmeno quando il 12 Settembre 1974 Hailé Selassié viene rovesciato[3] da un colpo di Stato: il Derg, consiglio militare provvisorio che assume la guida dell’intero Stato non ci pensa nemmeno di concedere l’indipendenza agli eritrei, anzi il suo leader Mengistu Hailé Mariam, impone il “terrore rosso”: chiunque si opponga al suo progetto di trasformare l’Etiopia in un paese socialista viene eliminato senza pietà.

Intanto, in Eritrea l’EPLF prende il sopravvento sui rivali e assume la guida della guerriglia.

Caduto il muro di Berlino, dissoltosi il patto di Varsavia, cessano anche gli aiuti militari sovietici all’Etiopia: il regime di Mengistu vacilla sotto i colpi del TPLF, il partito dei tigrini che nel ’91 s’impadronisce del potere.

Per l’Eritrea si aprono prospettive d’indipendenza: ad Asmara s’insedia un governo provvisorio. Nel ’93, con un referendum, il 99,8% dei votanti si pronuncia per il distacco dall’Etiopia: il 24 Maggio di quell’anno è proclamata la repubblica che prende il nome di Stato d’Eritrea.

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ISAIAS AFEWERKI

Leader di questa nuova nazione africana è Isaias Afewerki, nato ad Asmara il 2 Febbraio 1946.

Studente d’ingegneria, nel ’66 aderisce al movimento secessionista eritreo, l’anno successivo è inviato in Cina Popolare per seguirvi corsi d’addestramento militare. Rientrato in patria fa carriera: dopo essersi fatto un nome negli scontri coi coldati del negus, è tra i fondatori dell’EPLF, movimento d’orientamento marxista-leninista.

Nel ’77 ne diviene vicesegretario e dieci anni più tardi ne è il leader: nel frattempo ha definitivamente sconfitto il ELF ed assunto la leadership del movimento separatista.

Nel ’91 è capo del governo provvisorio ad Asmara e due anni dopo è designato Presidente della Repubblica.

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L’INDIPENDENZA

«Nonostante – scrive Lorenzo Longhi[4] – la redazione della nuova Costituzione eritrea fosse stata accompagnata da un clima di partecipazione collettiva e ottimismo, le istanze per un rinnovamento democratico cedettero presto il passo ad altre priorità. Per non indebolire il sentimento di unità nazionale che si era cementato nella lunga e solitaria guerra contro Addis Abeba, Afewerki chiarì fin da subito che non sarebbero stati ammessi partiti organizzati su base etnica o religiosa. 
Con lo scopo di ostacolare l’emergere di istanze autonomistiche, la strutturazione amministrativa in sei regioni (zobatat) ignorò i criteri di omogeneità etnica, linguistica o religiosa che, invece, furono centrali nella costruzione del moderno Stato etiope. L’esercizio democratico fu sacrificato in nome dell’unità nazionale, della costruzione di un forte apparato statale e di una capillare struttura burocratica di controllo del territorio.  
Sebbene formalmente il potere legislativo, esecutivo e giudiziario siano, secondo la Costituzione, separati e assegnati rispettivamente all’Assemblea nazionale, al governo con i suoi ministeri e dipartimenti e a un sistema di tribunali dislocati sul territorio e facenti capo al tribunale di Asmara, il vero potere risiede nel Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia (PFDJ), il partito-Stato. Le istituzioni del PFDJ compenetrano gli organi dello Stato e li trasformano in meri esecutori delle volontà del partito unico e del suo leader. Secondo formule tristemente famose nella storia del continente, Afewerki ha col tempo piegato gli organi e le procedure democratiche alla sua volontà autocratica, imposto un regime di polizia e censura, represso il dissenso e assicurato alla sua clientela il controllo sui maggiori asset economici del Paese.» 

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LA COSCRIZIONE OBBLIGATORIA

Nel 1995, a due anni dall’indipendenza, i primi segnali di quel totalitarismo che caratterizzerà i decenni successivi. Asmara introduce la coscrizione obbligatoria: tutti i cittadini, tra i 18 e i 40 anni, devono far il servizio militare.

Chi se ne sottrae, rischia dure pene detentive.

L’obiettivo è molteplice:

1. instillare il senso di sacrificio tra la popolazione;
2. svilluppare il patriottismo;
3. disporre di manodopera semigratuita per lavori finalizzati alla ricostruzione postbellica;

La propaganda di regime punta sistematicamente il dito contro tutti i vicini accusati di volersi impadronire di parti dello Stato appena nato: perciò Asmara ha contenziosi aperti con tutti i paesi confinanti per il possesso anche di piccole isole al largo del Mar Rosso.

La finalità è quella di tenere sempre alta la tensione tra la popolazione.

La linea autarchica decisa da Afewerki, oltre ad impoverire ed isolare il paese, scava un fossato con l’Etiopia.

L’adozione Nel ’95 della Nakfa al posto del Birr etiopico come moneta nazionale, contribuisce a creare ulteriori motivi di scontro coi dirigenti del TPLF, già compagni d’armi dell’EPLF al tempo della lotta contro Mengistu.

La tensione sfocia nel conflitto armato che tra 1998 e 2000 vede combattersi i due eserciti per il possesso di alcuni villaggi alla frontiera tra i due Stati.

Finita, per effetto degli accordi di Algeri, la fase acuta della guerra, Afewerki mantiene in piedi l’apparato militare che gli serve per rimanere eternamente alla guida dello Stato.

Nel 2002 è varato un ambizioso piano di sviluppo, in base al quale tutta la popolazione deve contribuire alla ricostruzione nazionale, perciò la leva obbligatoria rimane in vigore e non viene abolita nemmeno nel 2018 quando Addis Abeba ed Asmara stipulano la pace definitiva.

Anzi, quando a novembre 2020 Abiy Ahmed provoca la guerra col TPLF, Afewerki è pronto a far intervenire le sue truppe al fianco del suo nuovo amico, per regolare i conti aperti con gli odiati tigrini.

Oggi, si calcola che più di mezzo milione di eritrei siano scappati dallo “stato caserma” per sottrarsi all’obbligo di leva: si tratta soprattutto di giovani che affrontano viaggi spaventosi nel deserto e nei mari, ponendo a rischio la propria esistenza, pur di sottrarsi alla “schiavitù di Stato” imposta dal despota di Asmara.

Allo stesso tempo, malgrado la sua povertà, l’Eritrea spende circa un terzo dei propri fondi pubblici per la difesa: secondo alcune statistiche del SIPRI di Stoccolma[5], è al primo posto nella classifica degli Stati con maggiori spese militari in rapporto al PIL nominale (10%), con un investimento in programmi e attrezzature belliche stimato a circa 600 milioni di dollari. 

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GEOGRAFIA

Situata nel Corno d’Africa, L’Eritrea confina con Sudan, Etiopia e Gibuti ed è bagnata dal Mar Rosso: occupa una superficie di poco più di 117mila chilometri quadrati ed è abitato da circa 6 milioni di persone (l’ultimo censimento risale però al 1931).

La capitale è Asmara.

Nove sono i gruppi etnici distinti tra cui tigrini, tigre, arabi e piccole comunità di europei; le religioni più praticate, islam e cristianesimo ortodosso.

L’economia si fonda su una povera agricoltura ed alcune industrie controllate direttamente dal partito unico, nonché sulle rimesse degli emigrati.

La scelta autarchica operata dal regime rende questo paese uno dei più poveri del continente africano.

Occupa l’ultimo posto nella classifica mondiale della libertà di stampa, secondo Reporter Senza Frontiere: sarebbero 61mila gli internauti eritrei.

PIER LUIGI GIACOMONI

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NOTE:

[1] Redazione Africa ExPress, Mobilitazione generale in Eritrea contro il Tigray: Asmara invia i suoi soldati in aiuto del regime etiopico, africaexpress.info, 17 Settembre 2022)
[2] P. Lambruchsi, Falsa partenza per la pace nel Tigrai, avvenire.it, 9 ottobre 2022;
[3] Hailé Selassié, (1892-1975) è imkperatore d’Etiopia dal 1916 al ’74. allontanato dal potere nel 1936, in seguito all’occupazione italiana, è estaurato in carica nel 1941. gli autori del colpo di Stato che lo depone dal trono nel 1974 lo uccidono l’anno seguente.
[4] L. Longhi, Il futuro
dell’Eritrea in fuga dalla scuola-caserma di Sawa, lospiegone.com, 5 Ottobre 2022.
[5] Il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) è un istituto internazionale indipendente, fondato nel 1966. Compie ricerche e stila statistiche sugli armamenti, le spese militari, il commercio d’armi in tutti i paesi del mondo.

«Il suo compito – scrive it.wikipedia – è quello di condurre ricerche scientifiche in materia di conflitti e cooperazione, di importanza per la pace e la sicurezza internazionale, allo scopo di contribuire a una comprensione delle condizioni per soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali e per una pace stabile.
Attraverso le sue ricerche il SIPRI rende accessibili informazioni imparziali su sviluppo degli armamenti, spese militari, produzione e commercio di armi, controllo degli armamenti e disarmo, oltre che su conflitti, prevenzione dei conflitti, sicurezza regionale e industria della difesa. I risultati del SIPRI vengono diffusi principalmente tramite libri, rapporti e altre pubblicazioni, oltre che tramite il suo sito web.
La principale pubblicazione dell’istituto è il SIPRI Yearbook, un compendio annuale dei principali avvenimenti e statistiche in tema di sicurezza internazionale e armamenti.»

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