BAGNO DI SANGUE IN ETIOPIA.
(10 agosto 2016).
ADDIS ABEBA. E’ finita nel sangue la protesta degli Oròmo e degli Amhara che nello scorso fine settimana erano
scesi in piazza nella capitale
ed in diverse altre zone del Paese, rivendicando maggiori diritti.
Amnesty International parla di almeno cento persone morte sotto il fuoco della polizia etiopica e centinaia di
arresti.
La stessa organizzazione sottolinea che vi è un elevato rischio di tortura.
Gli Oromo e gli Amhara sono scesi in piazza pacificamente sia per rivendicare i propri diritti, sia per lottare
contro la repressione nei loro confronti che va avanti dal 1991, ossia da quando è caduto il regime totalitario di
Menghistu Hailé Mariam, il cosiddetto “negus rosso” che per lunghi anni aveva imposto una dittatura di stampo
sovietico.
Le due etnie sono tra le più numerose del Paese: su un totale di circa 94 milioni d’abitanti, il 60% della
popolazione appartiene agli Oromo ed agli Amhara.
L’origine delle proteste. Fin dal novembre scorso nella regione dell’Oromia sono iniziate proteste quando Addis
Abeba, nel varare un nuovo piano regolatore nazionale, intendeva inglobare nell’enorme distretto della capitale una
parte delle terre degli Oromo.
Nel luglio scorso la situazione è precipitata anche nella regione di Amhara: in quest’area è stato costituito un
comitato per l’autodeterminazione del Wolkait, un distretto del Tigray che vorrebbe tornare sotto l’amministrazione
dell’Amhara, come prima del 1991.
Uno dei leader di questo comitato è stato arrestato perciò la rivolta è esplosa e si è estesa a vaste aree del
Paese, capitale compresa.
Nei giorni precedenti la manifestazione pacifica del 7 agosto Addis Abeba aveva accentuato l’isolamento
dell’Etiopia, impedendo tra l’altro l’accesso ad internet e la diffusione delle notizie, cosicché solo gradualmente
si è potuto sapere ciò che è successo.
la situazione. Oltre agli arresti arbitrari, con persone detenute anche in centri di detenzione non ufficiali, si
denuncia un clima di forte repressione con censura delle notizie e chiusura verso qualunque influenza esterna.
Un po’ come la vicina Eritrea, l’etiopia tende a rinchiudersi in se stessa e ad impedire la diffusione
d’informazioni che possano dare un’immagine negativa del regime.
PIERLUIGI GIACOMONI