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ARTSAKH. ESODO O PULIZIA ETNICA?
(1 Ottobre 2023)

EREVAN. L’Armenia è sull’orlo d’un’emergenza umanitaria: 100.000 abitanti dell’Artsakh, l’autoproclamata repubblica del Nagorno Karabakh, tutti d’etnia armena, stan fuggendo di fronte all’avanzata delle forze azere che in pochi giorni han messo fine a questo stato nato negli anni Novanta.

Tra il 19 e il 20 settembre, le preponderanti forze azere han invaso l’enclave armena e dieci giorni dopo han ottenuto la fine dello stato separatista che cesserà d’esistere formalmente il 1 gennaio 2024, ma che già non c’è più.

Con questo blitzKrieg gli azeri han messo la parola fine ad un conflitto che durava da più di trent’anni: l’han fatto perché le loro forze armate son più forti di quelle dell’Artsakh ma anche di quelle armene che, dopo la sconfitta del 2020 non han mosso un dito.

Baku, inoltre, sa bene che in questo momento nessuno vuol un’altra guerra di lunga durata nell’area ex sovietica e quindi han ritenuto che fosse giunta l’ora di regolare i conti coi separatisti del Nagorno Karabakh.

In breve: la guerra è iniziata e finita in 24 ore, poi è seguito un esodo che vede la partenza con ogni mezzo di tutti gli armeni dell’Artsakh ed il loro trasferimento in massa nella vicina repubblica.

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ESODO O PULIZIA ETNICA?

«Per l’Azerbaigian – si legge su ispionline.it[1] – l’uscita degli armeni dal Karabakh è una vittoria importante che sembra mettere la parola fine ad un conflitto che si trascina da oltre 35 anni. La soddisfazione a Baku è palpabile e il presidente Ilham Aliyev ha affermato di aver “consegnato alla storia l’idea di un Karabakh armeno e indipendente” e che la regione “sarà trasformata presto in un “paradiso”” come parte dell’Azerbaigian.»

Molti di coloro che lasciano le loro case lo fan nel timore di persecuzioni da parte dell’Azerbaigian, preoccupazioni aumentate dopo l’arresto di diversi funzionari di alto profilo del Karabakh come un ex ministro, arrestato mentre cercava d’attraversare il confine con l’Armenia.

L’uomo ora si trova nelle carceri azere accusato di finanziamento al terrorismo e altri crimini. Altri han annunciato che si consegneranno spontaneamente per evitare ritorsioni sulla popolazione.

Erevan, per bocca del Premier Nikol Pashinyan, garantisce che «accoglierà “le sorelle e fratelli del Nagorno-Karabakh con tutta la cura necessaria.»

Occorre però ricordare che l’Armenia è un paese di circa 3 milioni d’abitanti e i profughi stan raggiungendo rapidamente il numero di 120.000: «di questo passo» dice Pashinyan «in Nagorno-Karabakh non rimarrà nessun armeno».

«Secondo Hikmet Hajiyev, consigliere del presidente azero Ilham Aliyev per la politica estera, il governo di Baku “rispetterà la scelta individuale dei residenti”. “Le insinuazioni secondo cui l’Azerbaigian avrebbe bloccato il passaggio sono false”, ha detto Hajiyev a Politico. “Le persone possono usare i propri veicoli”.
Intanto, il 23 settembre decine di camion con aiuti umanitari, inviati dalla Croce rossa russa e dall’Icrc (International Comittee of Red Cross [NDR]), hanno avuto accesso alla regione attraverso il corridoio di Laçin. Le autorità azere sostengono che il passaggio dei camion sia la prova della buona fede di Baku, che aveva promesso di “reintegrare” gli armeni del Nagorno Karabakh una volta che le forze locali avessero deposto le armi e il governo non riconosciuto fosse stato smantellato.» scrive Gabriel Gavin[2].

Baku offre agli armeni del Nagorno-Karabakh di restare, ponendo loro come condizione d’accettare la cittadinanza azera.

chi non vuol compier questa scelta deve andarsene: «Viene detto loro di integrarsi in un paese di cui non hanno mai fatto parte, e la maggioranza di loro non parla nemmeno la lingua e vien detto che devon smantellare le proprie istituzioni locali – osserva Thomas de Waal, del think tank Carnegie Europe - 
Questa è un’offerta che la maggior parte delle persone non accetterà».

In passato, aggiungiamo noi, Baku ha già dimostrato di nutrire scarso rispetto per le minoranze etnicorelihgiose che vivon nel Paese. Nel Nakicevan, altro territorio abitato da armeni, conquistato decenni fa dai militari azeri, è scomparsa qualunque testimonianza artisticoculturale della presenza di questo popolo che per secoli aveva vissuto in quell’area. Han realizzato,cioè, un vero genocidio culturale.

C’è da temere, allora, che la stessa cosa accada nel Nagorno Karabakh una volta consolidatosi il controllo di Baku sul territorio ed emigrati i suoi 120.000 abitanti.

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LA GUERRA DEL NAGORNO KARABAKH

Nell’Ottocento, la Russia zarista conquista il Caucaso: vuol infatti sbarrar il passo agli ottomani che vorrebbero impadronirsi della regione.

Dopo la “rivoluzione d’ottobre” e la nascita dell’Unione Sovietica fu “risistemata” tutta la regione con la creazione delle repubbliche di Georgia, Armenia ed Azerbaigian. Il Nagorno Karabakh, pur abitato da armeni, fu assegnato da Stalin agli azeri.

quando, verso la fine degli anni 80 del XX secolo, il potere sovietico andò indebolendosi, cominciarono i primi scontri tra armeni ed azeri, in vista della proclamazione d’una repubblica nel Nagorno Karabakh.

2 settembre 1991: il Nagorno Karabakh annuncia la secessione dall’Azerbaigian. Nasce la repubblica dell’Artsakh, non riconosciuta dalla comunità internazionale. Il 26 novembre l’Azerbaigian reagisce alla secessione, revocando il regime d’autonomia di cui godeva la regione.

È l’inizio della fase più intensa del conflitto: è l’epoca in cui le 15 repubbliche socialiste sovietiche van divenendo stati sovrani e formalmente indipendenti da Mosca e in cui stan emergendo qua e là diverse rivendicazioni separatiste.

Più o meno nello stesso periodo la Cecenia (Caucaso settentrionale) proclama la sua indipendenza ed altrettanto fanno altre entità.

1992. Tra l’ottobre ’91 e il febbraio successivo nei bombardamenti azeri di Stepanakert, capoluogo dell’Artsakh, muoiono almeno 150 civili. Il 26 febbraio i soldati armeni uccidono tra i 450 e i 600 civili nella cittadina di Khojaly. Il 24 marzo all’interno dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) è istituito il gruppo di Minsk, che ha l’obiettivo di trovare una soluzione negoziata al conflitto. L’8 maggio le forze armene conquistano la roccaforte azera di Shushi.

1993. Continuano i combattimenti. Si consolida la posizione di vantaggio delle forze armene.

1994. Il 5 maggio, nella capitale del Kirghizistan, Bishkek, i rappresentanti di Armenia, Azerbaigian e Repubblica dell’Artsakh firmano un accordo di cessate il fuoco, che entra in vigore il 17 maggio. Gli armeni prendono il controllo del Nagorno Karabakh e delle zone circostanti. Il bilancio della guerra è di trentamila morti e centinaia di migliaia di profughi, in maggioranza azeri.

1995-2015. Lungo la linea di contatto c’è una conflittualità latente, con sporadiche violazioni del cessate il fuoco, più o meno gravi. I ripetuti tentativi di negoziare una soluzione al conflitto si rivelano infruttuosi.

2-5 aprile 2016. La guerra dei quattro giorni:
i combattimenti riprendono innescati da un’offensiva azera contro i territori occupati dagli armeni. I morti tra i civili sono centinaia. Un nuovo cessate il fuoco è negoziato con la mediazione di Mosca.

27 settembre 2020. Seconda guerra del Nagorno Karabakh.

I combattimenti durano 44 giorni: L’Azerbaigian attacca e finisce per sconfiggere l’esercito armeno inferiore per numero e per preparazione.
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Baku riconquista i territori circostanti il Nagorno Karabakh, persi nel 1994, e anche diverse aree della repubblica dell’Artsakh. Il cessate il fuoco è siglato il 10 novembre, sotto la supervisione russa. Più di 90.000 armeni devon lasciare le loro case.

I russi inviano nella zona dei peace keepers che dovrebbero impedire la ripresa delle ostilità.

Il governo Pashinyan, al potere dal 2018 dopo una “rivoluzione colorata” che ha messo fine al precedente regime, rischia di cadere.

12 settembre 2022. lungo il confine tra Armenia e Azerbaigian scoppiano nuovi scontri armati. I combattimenti provocano 204 vittime tra i militari armeni e ottanta tra quelli azeri. Le vittime civili sono almeno 11.

Gennaio 2023. Baku blocca l’afflusso di derrate alimentari nella repubblica ribelle chiudendo il corridoio di Laçin,unica via di collegamento tra l’Artsakh e l’Armenia: si rischia una carestia.

A settembre lo riapre. Il 19 l’Azerbaigian attacca l’enclave armena. Il successivo 20 si raggiunge un accordo per un cessate il fuoco grazie alla mediazione russa.

Di fatto, è una vittoria per Baku che nel contesto caucasico sembra godere dell’appoggio di Putin.

In passato l’Armenia sapeva di poter contare sul sostegno incondizionato di Mosca, ma da quando nel 2018 è salito al potere ad Erevan il Premier Pashinyan il Kremlino non si fida più, considerato che il leader armeno ha flirtato negli ultimi anni anche con gli stati Uniti.
(nei prossimi giorni è in arrivo a Erevan una delegazione di Washington composta da 85 alti funzionari).

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VITTIME DELLA REALPOLITIK

Per Nikol Pashinyan, capo del governo a Erevan, questi son giorni difficili.

Già nel 2020 e nel ’22, da diverse parti, s’invocaron le sue dimissioni, dopo le sconfitte riportate dall’esercito armeno nei due ultimi conflitti con l’Azerbaigian.

Stavolta l’accusa rivolta dai critici al Premier è d’aver svenduto il Nagorno Karabakh per evitare un’altro disastro come quelli sopraindicati.

«Nei prossimi giorni sono attese nella capitale Erevan grandi manifestazioni per chiedere la testa di Pashinyan, accusato di avere tradito l’Artsakh» scrive Luca Steinmann[3]. «Nonostante la popolarità del primo ministro sia ai minimi storici, lo è anche quella delle opposizioni» che «provano ora a risalire la china assumendo toni sempre più radicali, e invocando la necessità di rovesciare il governo.»

Il fatto è, come osserva Fulvio Scaglione su avvenire.it[4] che gli armeni son in qualche misura vittime della realpolitik imposta a tutta l’area ex sovietica dalla guerra in Ucraina, oltre che dal complesso gioco delle alleanze nel Caucaso.

«La Russia – scrive – è sempre stata il principale sponsor dell’Armenia, e quindi anche del Nagorno-Karabakh armeno. Per molti anni Mosca si è opposta alle pretese azere, anche in sede Onu. Ma erano i tempi in cui il Cremlino era in guerra con la Georgia per l’Ossetia del Sud e l’Abkhazia, russofone e russofile, e dunque si pronunciava contro ogni tentativo di cambiare con la forza le situazioni sul terreno. Ora la Russia conduce un’invasione in Ucraina, non può certo usare certi argomenti. In più, assediata dalle sanzioni e con una rete di relazioni internazionali assai più limitata di prima, non può compromettere i rapporti con la Turchia, grande sponsor dell’Azerbaigian ma anche Paese vitale per l’economia russa (i turchi importano dalla Russia il 25% del petrolio e il 50% del gas che consumano) e decisivo per gli equilibri politici e militari sul Mar Nero e oltre.

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L’ARTSAKH, L’EUROPA E GLI STATI UNITI

Qualche osservatore ha notato che la fine dell’Artsakh e l’esodo dei suoi abitanti è un frutto avvelenato del conflitto russo-ucraino che ormai si trascina da 19 mesi senza trovare una soluzione.

La Russia sembra voler alimentare dove può focolai di tensione nel conflitto che ormai ha ingaggiato tra sé e il mondo occidentale. Così ha sostanzialmente benedetto l’operazione condotta dai militari azeri e sembra benedire l’incombente scontro che potrebbe nei Balcani occidentali interessare il Kosovo.

«Sale la tensione – scrive Pierre Haski[5] – tra Serbia e Kosovo, dopo i gravi incidenti con un commando armato di cui Pristina accusa Belgrado. Una disputa locale che assume una dimensione internazionale: la Russia sostiene la Serbia, mentre la Nato ha forze in Kosovo.
Un conflitto irrisolto o scarsamente estinto è una potenziale bomba a orologeria. Lo abbiamo visto nel Caucaso, con la ripresa del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian, che ha portato migliaia di armeni sulle strade dell’esodo.
Questo è anche ciò che minaccia il fianco meridionale dell’Europa, tra Serbia e Kosovo.»

La Russia, aggiungiamo noi, fornisce alla Serbia pieno sostegno in questa vertenza ben felice di aumentare i grattacapi alla NATO, considerato anche che l’ex provincia serba, autoproclamatasi indipendente nel 2008, è tuttora sotto la tutela dell’Alleanza Atlantica che vi mantiene un contingente armato.

«L’Unione Europea – conclude Haski – sta cercando con grande difficoltà di mediare tra Belgrado e Pristina, utilizzando la carota dell’adesione all’UE entro il 2030. Ma questa prospettiva sembra ancora troppo incerta per calmare gli impulsi nazionalisti di entrambe le parti.»

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INAZIONE

In questo quadro complesso in cui nessun luogo è lontano e tutti siam interconnessi, fa un po’ impressione la quasi inazione di
UE ed USA nella crisi che ha interessato l’Artsakh.

«L’Europa – scrive Scaglione[6] – non se lo può permettere: dopo la rinuncia al gas russo, l’Azerbaigian è diventato uno dei maggiori fornitori dei Paesi Ue e non possiamo inimicarcelo.»
(però in questi giorni un gruppo di europarlamentari ha lanciato una petizione di sostegno al Nagorno Karabakh).

Gli Stati Uniti, dal canto loro, seguono da tempo le mosse di Nikol Pashinyan, che, come già detto, sta flirtando, forse anche un po’ maldestramente, con l’Occidente.

Washington non ha mai abbandonato il vecchio progetto, elaborato ai tempi di George W. Bush che produsse nel 2006
l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan che di fatto staccava il Caucaso meridionale dall’area d’interesse russa per farlo gravitare nell’orbita turca, Paese membro della NATO ed amico-rivale di Mosca.

«Il passaggio del Nagorno al vecchio alleato azero Ilham Aliyev – conclude Scaglione[7] – serve egregiamente allo scopo: ora gli americani non devono fare altro che aspettare che l’Armenia, come un frutto maturo, si adagi nel loro cestino.»

PIER LUIGI GIACOMONI

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NOTE:

[1] DAILY FOCUS Fuga dal Nagorno-Karabakh, ispionline.it, 25 Settembre 2023;
[2] G. Gavin, (Politico, Belgio), ARMENIA
È cominciato l’esodo dal Nagorno Karabakh, internazionale N. 1531, 29 Settembre 2023;
[3] L. Steinmann, Il Nagorno senza più armeni, repubblica.it, 30 Settembre 2023;
[4] F. Scaglione, Gli armeni vittime della “realpolitik”, avvenire.it, 29 Settembre 2023.
[5] P. Haski, Entre Serbie et Kosovo, le feu nationaliste mal éteint menace de repartir, franceinter.fr, 26 Settembre 2023
la traduzione dal francese è mia;
[6] F. Scaglione, Gli armeni vittime della “realpolitik”, cit.;
[7] F. Scaglione, Gli armeni vittime della “realpolitik”, cit.

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