ALLA LEGA STA SULLO STOMACO GIULIO REGENI
(26 Giugno 2019)
TRIESTE. Alla Lega sta sullo stomaco giulio Regeni e la sua tortuosa vicenda fatta di depistaggi e reticenze.
Da tre anni e mezzo, le autorità egiziane prendono per il naso quelle italiane facendo di tanto in tanto balenare l’ipotesi di rivelare tutta la verità sul caso del giovane ricercatore italiano sparito nel nulla il 25 gennaio 2016 e ritrovato morto, con segni evidenti di tortura, dieci giorni dopo sul ciglio d’una strada che dal Cairo porta ad Alessandria d’Egitto.
Regolarmente, poi, le stesse promesse si traducono in un nulla di fatto: ora le amministrazioni leghiste elette qua e là in Italia, rimuovono gli striscioni di amnesty International che chiedono «verità per Regeni».
A dare il la, il 20 giugno, anche se segnali evidenti si erano già manifestati in diverse località, è stata l’amministrazione della Regione Friuli-Venezia Giulia, a guida leghista dal 2018: il Presidente Massimiliano Fedriga, leghista, ha fatto togliere uno dei celeberrimi striscioni gialli a scritte nere, firmati Amnesty International, che chiedono, da anni, una sola cosa: «Verità per Giulio Regeni.»
Quello stendardo era appeso al palazzo della Regione in piazza Unità d’Italia dal 2016, quando l’allora governatrice, Debora Serracchiani, aveva deciso di unire il Friuli al coro di chi chiedeva verità. Ora che gli scranni della Regione sono occupati da una maggioranza leghista, però, le cose sono decisamente cambiate. Il presidente Fedriga ha infatti annunciato che lo striscione verrà rimosso definitivamente da tutte le sedi della Regione, dislocate per il territorio regionale. «Lo striscione non verrà mai più esposto» ha dichiarato.
La vicenda risulta ancora più fastidiosa, se si pensa che Giulio Regeni, ucciso in una data imprecisata tra il gennaio ed il febbraio del 2016, era originario proprio del Friuli-Venezia Giulia: nato a Trieste il 15 gennaio 1988, cresciuto in provincia di Udine, partì per le sue ricerche per l’estero per poi trovare un’atroce morte nei pressi di una prigione del Cairo, a soli 28 anni.
La sua Regione, però, non ha più voglia di ricordarlo e nemmeno di sapere come e perché sia morto.
Sembra che si voglia dimenticare, che non si sia più interessati a sapere, dopo anni in cui le domande poste dal Governo italiano, dalla magistratura inquirente, dai familiari e dalle associazioni impegnate per la difesa dei diritti dell’uomo non hanno trovato risposta presso le autorità del Cairo.
I dubbi nati dai segni di tortura sul corpo di Regeni, rapito il 25 gennaio 2016 e ritrovato cadavere il 3 febbraio successivo, in un fossato, lungo l’autostrada per Alessandria d’Egitto, vicino ad una prigione dei servizi segreti egiziani, i depistaggi e la scarsa collaborazione prestata dal Governo militare del Cairo nelle indagini, l’aura di mistero intorno alla morte del giovane ricercatore italiano, che ancora condiziona le relazioni bilaterali italo-egiziane, contribuiscono a rendere poco chiara questa vicenda.
Ora però la Lega, azionista di riferimento sia del governo nazionale che di una dozzina di amministrazioni regionali, sembra averne abbastanza: forse perché ama i regimi forti, forse perché pensa che gli affari sono più importanti dei diritti umani o perché crede sia venuto il momento di far pace col regime di Al-Sisi.
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L’FVG E LE ALTRE.
Il Friuli-Venezia Giulia, però, non è solo: a ruota altre città rette da sindaci leghisti hanno rimosso dalle sedi dei municipi i malsopportati striscioni.
a Ferrara, dove il 9 giugno scorso è stato eletto un sindaco leghista,durante i festeggiamenti uno striscione con l’emblema del Carroccio ha coperto per alcune ore quello di amnesty; a sassuolo (Modena) il neoeletto sindaco della Lega, Gian Francesco Menani, ha giustificato la decisione declassando la storia di Giulio Regeni come «una vicenda non più di attualità. Resta ferma la nostra solidarietà alla famiglia Regeni, ma non aveva più senso tenere ancora lì lo striscione. In centro storico stava anche male, tutto impolverato.»
Andando più indietro con la memoria, lo striscione che invoca verità per Regeni era stato tolto anche nel luglio 2018 dall’allora neoeletto sindaco leghista di Treviso, Mario Conte. A Pisa, nel luglio del 2016, l’amministrazione leghista aveva fatto rimuovere lo stendardo per qualche giorno, per poi ripristinarlo.
Non solo la Lega, è giusto dirlo, ha preso la decisione negli anni di rimuovere gli striscioni di Amnesty che chiedono «Verità per Giulio Regeni». Nell’ottobre del 2016, a soli pochi mesi dalla morte del ricercatore, fu proprio il sindaco della sua città natale, Trieste, a far togliere il drappo in suo onore dal Municipio: era Roberto Dipiazza, di Forza Italia, che voleva evitare polemiche, dopo che la maggioranza di centrodestra aveva proposto una mozione per farlo rimuovere. E ancora, in occasione del G7 della cultura, nel marzo 2017, è scomparso per qualche ora dai muri di Palazzo Vecchio, in una Firenze già allora a guida PD, per poi tornare al suo posto.
Un altro stendardo per Giulio ha causato alcuni problemi a dei volontari di Amnesty International che, durante un comizio di Matteo Salvini nel giugno 2018, quand’era già Ministro dell’Interno, hanno srotolato un manifesto con scritto «Prima gli italiani… Ma Giulio?». Per questo sono stati subito fermati, zittiti, e identificati dalla polizia.
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IN EGITTO INTANTO…
Mentre in Italia si tenta di dimenticare Giulio Regeni, in Egitto, il regime di Al-Sisi continua a non voler collaborare con le indagini per fare chiarezza sulle circostanze della tortura e dell’assassinio del ricercatore che lavorava per l’Università di cambridge.
Anzi, ostacola gl’inquirenti e sabota la ricerca della verità: secondo l’ECFR, la commissione egiziana per i diritti e le libertà, che collabora con la famiglia per ricostruire i fatti ed individuare i responsabili dell’omicidio, il Cairo sta mettendo pressioni ed intimidisce i membri della commissione per insabbiare le indagini.
Una serie sospetta d’arresti compiuti dalla polizia, tra cui anche la moglie dell’avvocato della famiglia Regeni, fa pensare che l’Egitto non voglia, dopotutto, aiutare l’Italia nella ricerca della verità.
Ormai, per i genitori di Giulio, resta solo una cosa da fare: ritirare l’ambasciatore italiano al Cairo, gesto che sarebbe un chiaro segno di rottura e una forte presa di posizione da parte del governo italiano, che però non dà segni di vita: è d’accordo anche Laura Boldrini (LeU), ex Presidente della Camera, che affida il suo pensiero a un Tweet:
«L’Egitto continua a sabotare le indagini sul sequestro, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni. E la Lega che fa? Anziché ritirare l’ambasciatore italiano dal Cairo, ritira lo striscione dal balcone della Regione FVG che chiede Verità Per Giulio».
Secondo Amnesty International Italia, l’iniziativa di Fedriga di rimuovere il cartello per Regeni è «una decisione sbagliata, presa nel momento sbagliato. Proprio mentre alti esponenti egiziani rilanciano la falsa tesi dell’omicidio compiuto dalla criminalità comune che potrebbe riguardare chiunque ed ovunque nel mondo, dall’interno del Paese arrivano preoccupanti notizie sulla repressione in atto ai danni di avvocati e difensori dei diritti umani che collaborano alla ricerca della verità, il governatore Fedriga dà una mano a coloro che ritengono che la ricerca della verità sia un fatto temporaneo, legato a contingenze politiche e che, dopo un po’, vada abbandonata,» scrive l’organizzazione in un comunicato.
Riguardo all’ultimo episodio, quello triestino, opposizione è arrivata anche dall’M5S, che nelle amministrazioni locali non è alleato col Carroccio. Appena è stato rimosso dal palazzo della Regione, a Trieste, lo striscione giallo, alcuni consiglieri pentastellati ne hanno fatto comparire uno analogo dalla finestra del terzo piano dello stesso edificio.
La dolorosa vicenda di Giulio Regeni dà la misura di quanto sia evanescente sulla scena internazionale il governo italiano: Roma ha avuto in passato parecchie difficoltà a tutelare la condizione dei nostri connazionali nei paesi stranieri,come dovrebbe fare qualunque esecutivo, dotato d’una rete diplomatica e consolare estesa su tutto l’orbe terracqueo. Ci si ricorderà della lunga diatriba con le autorità indiane a proposito dei due marò arrestati e trattenuti nel paese asiatico, finché non si è raggiunta un’intesa; attualmente non si sa dove si trovi Silvia Romano, la cooperante italiana rapita in Kenya in dicembre e mancano notizie di altri nostri compatrioti in giro per il mondo. Tra i compiti della diplomazia vi è anche quello di tutelare i propri concittadini quando si trovano all’estero.
PIER LUIGI GIACOMONI