SPAGNA: UNO TSUNAMI TRAVOLGE IL PSOE
(5 Ottobre 2016)
MADRID. Il PSOE (Partido Socialista obrero Español) è stato travolto da uno tsunami che l’ha sconvolto.
Dopo la duplice sconfitta elettorale in Galizia ed in Euskadi, la leadership di Pedro Sánchez è stata messa rapidamente in discussione: martedì 27 settembre 17 dei 28 membri dell’esecutivo socialista si sono dimessi, determinandone, a termini di statuto, l’autoscioglimento e sabato 2 ottobre con 130 voti contro 107 lo stesso segretario è stato sfiduciato dal Comitato Federale.
da domenica mattina il PSOE è diretto da un comitato di gestione, presieduto dall’asturiano Javier Fernández che ha come obiettivo riportare la pace all’interno del partito e rilanciarne la candidatura al governo del Paese in una delle prossime elezioni politiche.
Per intanto, Fernández ha lasciato intendere che la sua gestione punterà ad evitare una terza elezione generale in un anno, senza precisare come.
La resa di Sánchez. All’indomani delle elezioni regionali del 25 settembre Pedro Sánchez aveva rilanciato l’ipotesi d’un governo di cambiamento con PSOE, Podemos e Ciudadanos, ma i potenziali partner di questa coalizione hanno in poche ore messo sul tavolo tali precondizioni da far intuire che fosse praticamente impossibile varare in poche settimane un simile esecutivo. Per di più, all’interno dello stesso PSOE sono emerse le contrarietà dei leader locali, i cosiddetti “baroni”, che guidano le federazioni regionali del partito ed a volte anche i governi delle comunità autonome.
In più, Podemos ha ritirato il suo appoggio alla giunta regionale socialista in Castiglia-La Mancia e minaccia di far altrettanto altrove, lasciando intravedere una radicalizzazione delle posizioni del partito di Iglesias,che non a caso ha imputato al suo numero 3 d’aver occasionato la sconfitta del .
26 giugno scorso assumendo una linea moderata e collaborativa nei confronti del PSOE.
Si è così materializzata la “tempesta perfetta” che ha travolto Sánchez ed il suo cerchio magico.
Quando sabato 1° ottobre il segretario ha proposto al comitato federale d’indire un congresso a metà novembre con una primaria ultraveloce per il 23 ottobre la risposta è stata un secco no.
Il tutto è avvenuto al termine d’una riunione durata 11 ore contrassegnata da urla, scontri, lacrime, proteste di gruppi di militanti che in strada chiamavano traditori gli avversari di Sánchez.
Uno scenario che faceva esplodere un conflitto che, a bassa intensità, si stava svolgendo già da più d’un anno tra coloro che sono disponibili a dar via libera ad un governo di minoranza del PP e quelli che vorrebbero un “gobierno de cambio” che però non si riesce a formare.
Prospettive di governabilità. Malgrado tutto ciò, non è detto che entro il 31 ottobre si riesca a formare un governo e si possano così evitare le elezioni anticipate.
Lunedì 3 ottobre, il PP ha presentato al Congresso un progetto di modifica della legge elettorale che consente di ridurre i tempi per lo svolgimento delle elezioni legislative. In questo modo le eventuali nuove elezioni si terrebbero il 18 dicembre, invece che il giorno di Natale.
Ciò induce a credere che il partito di Calle Genova ritenga il terzo scioglimento del Parlamento quasi inevitabile.
Grandi processi. Tuttavia, non è detto che non avvengano altri fatti clamorosi: in questi giorni grande spazio occupano sulla stampa spagnola una serie di grandi processi in corso presso l’Audiencia Nacional contro ex dirigenti del PP.
Si tratta di vicende torbide che coinvolgono l’ex ministro per l’economia Rodrigo Rato, già direttore dell’FMI, responsabile del crac che ha investito Bankia, e Luís Bárcenas, l’ex tesoriere del partito, che ha rivelato nel corso dell’inchiesta d’aver creato una Cassa B per versare a diversi dirigenti del partito un sovrastipendio.
Si tratta di inchieste che lambiscono anche il cerchio magico di Rajoy.
Tutti questi fatti potrebbero, dunque, consigliare prudenza e condurre ad un accordo che eviti un voto a dicembre che potrebbe svolgersi in un clima fortemente condizionato dai risvolti degli scandali di corruzione.
si tratterebbe d’uno scrutinio che potrebbe favorire solo coloro che puntano allo sfascio del sistema democratico, senza avere un programma di governo da proporre.
così l’accordo potrebbe esser trovato in extremis, tanto più, che il 29 settembre scorso si è ravvivata la campagna per il raggiungimento dell’indipendenza della Catalogna: il presidente della Generalità Carles Puighdemont, nel corso di un dibattito su una mozione di fiducia al parlamento di Barcellona ha annunciato che nel 2017 ci sarà l’uscita della regione dalla Spagna e un referendum sull’indipendenza.
Tutti grattacapi che possono essere affrontati solo da un esecutivo nel pieno delle sue funzioni.
La crisi della socialdemocrazia. Lo tsunami che ha investito il PSOE, uno dei più antichi partiti socialisti europei, essendo stato fondato nel 1879, si inscrive nella più generale crisi delle socialdemocrazie del vecchio continente.
Negli ultimi anni, abbiamo dovuto registrare brucianti sconfitte politiche di tutti i grandi partiti della famiglia socialista, in brusco calo di consensi dovunque.
Questi partiti, che per decenni hanno raccolto consensi tra le classi medie, non riescono più ad intercettare i voti sia dei loro ceti di riferimento, sia delle nuove realtà sociali che si stanno affacciando sulla scena.
Dopo il trentennio d’oro (1945-1975) del welfare state, la ricetta socialdemocratica è andata in affanno di fronte alla modificazione degli equilibri demografici ed ai mutamenti introdottisi nel mercato del lavoro, per non parlar della rivoluzione tecnologica.
Se non vorranno ridursi al lumicino, come è capitato al PASOK in Grecia che in pochi anni è passato dal 49 al 4,5% dei voti, dovranno tutti, prima o poi, rimettersi in sintonia con la società in cui viviamo e con cui hanno sospeso le relazioni diplomatiche.
PIER LUIGI GIACOMONI