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ROMANIA. PRIMA E DOPO IL VOTO
(14 Dicembre 2016)

BUCAREST. Domenica 11 dicembre 18 milioni di elettori romeni sono stati convocati alle urne per rinnovare
integralmente il Parlamento bicamerale.

Un totale di 6.500 candidati si sono presentati per occuppare uno dei 464 seggi (328 deputati e 136 senatori).

In gioco vi è la guida del paese per i prossimi quattro anni, sapendo che anche il Presidente della repubblica
Klaus Ioannis potrà giocare un suo ruolo nell’attribuzione della carica di Primo Ministro.
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L’ultimo anno. Negli ultimi dodici mesi, Bucarest è stata guidata da un governo tecnico, costituitosi in seguito ad ampie proteste di piazza contro i partiti tradizionali, accusati d’esser corrotti fino al midollo.

Victor Ponta, socialdemocratico, fu perciò costretto l’anno scorso, dopo un duro braccio di ferro col capo dello stato, a rassegnar le dimissioni dalla presidenza del
Consiglio, perché accusato d’aver accettato bustarelle in cambio di favori.
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I sondaggi della vigilia. Secondo un’indagine demoscopica di Avangarde, citato dal canale televisivo Antena 3, il PSD (Partito Social Democratico) era accreditato prima dello scrutinio del 43% delle preferenze, i liberali (PNL) del 27%, l’USR (l’Unione per la Salvezza della Romania) dell’8%, ALDE (L’Alleanza dei Liberali e dei Democratici) del 6%, il PMP (Partito Movimento Popolare) dell’ex presidente Traian Basescu del 5%, l’UDMR (l’Unione Democratica dei Magiari romeni) anch’essa del 5%, mentre altre formazioni non raggiungevano la soglia minima necessaria per accedere alle Camere.
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La romania oggi. A ventisei anni dalla caduta del brutale regime dei Ceausescu, la Romania, paese membro dell’UE DAL 2007, non ancora ammesso a Schengen, è il secondo paese più povero della comunità (circa il 25% della popolazione è al di sotto della soglia di povertà).

Allo stesso tempo, però, è lo Stato membro con la crescita economica più alta (per il 2016 le stime del Fondo
Monetario Internazionale parlano di un +5% del PIL, mentre le previsioni della Commissione Europea si aggirano
intorno al +4,2%).

Potrebbe sembrare un paradosso, ma la crescita economica non implica in automatico una diminuzione dell’indice di
povertà: nel paese il divario tra ricchi e poveri, tra chi vive nelle grandi città e chi in campagna continua ad aumentare.

La diffusa corruzione ed il cattivo uso dei fondi europei, che potrebbero essere spesi in progetti per lo sviluppo, sono alcune delle cause della povertà. L’indice di disoccupazione si aggira intorno al 6,4%, mentre lo
stipendio netto medio è di circa 470 euro al mese.

Diffusi sono gl’investimenti stranieri,soprattutto di imprese francesi, tedesche ed italiane, attirate dal basso costo della manodopera e dalla politica fiscale vantaggiosa.

Non mancano nemmeno le contraddizioni: da un lato è al primo
posto in Europa per la velocità di internet, che è presente in tutte le scuole, anche quelle situate nei più
sperduti villaggi, dall’altro, negli stessi istituti scolastici, i bagni per studenti ed insegnanti sono situati
all’esterno delle scuole.

Secondo un rapporto della Commissione di Bruxelles, poi, l’80% della popolazione che riceveva assistenza sociale viveva in campagna dove solo il 34% delle abitazioni avevano il WC dentro casa.
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Le sfide. Tante, allora, sono le sfide e i problemi che attendono il nuovo governo di Bucarest. La povertà, le persone con disabilità (circa 750.000 su 22 milioni d’abitanti) e la loro triste condizione di vita, le infrastrutture, la scarsa efficienza della pubblica amministrazione, la drammatica situazione negli ospedali, la dilagante corruzione.

Sebbene, negli ultimi anni, Bucarest abbia fatto progressi significativi in quest’ultimo campo per cui sono stati
condannati uomini politici che hanno ricoperto incarichi importanti, la corruzione resta una piaga nella società
romena: un vero e proprio ostacolo che frena lo sviluppo del paese. Non è un caso che alle elezioni dell’11
dicembre quasi la metà dei candidati abbia problemi con la giustizia: lo sostiene una ricerca pubblicata dal
movimento civico “Iniziativa Romania”.

Intanto, i responsabili della comunicazione dei due partiti principali – PSD e PNL – si sono imitati l’un con
l’altro: “Osa credere nella Romania”, hanno invitato i Socialdemocratici, mentre i liberali, un po’ più prolissi,
suggeriscono all’elettore “Osa a credere in una Romania guidata da gente onesta”.
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Elezioni ed informazione. In quest’anno di governo tecnico è cresciuto anche il divario tra chi s’informa e chi no
e tra chi s’informa solo mediante la tv e chi preferisce accedere ai giornali o ai nuovi media.

In generale, si osserva che la libertà di espressione è ancora viva: nessun caso di censura, nessuna
persecuzione dei giornalisti, internet libero e efficiente.

Il diavolo, però, si nasconde nei dettagli.

1. Sono stati proposti disegni di legge che aspettano di essere dibattuti e adottati che potrebbero rendere penalmente punibili i reati di offesa e calunnia, oppure di vilipendio ai simboli dello stato.

2. Il parlamento ha approvato una legge che elimina il canone per la radio e la televisione pubblica, senza
sostituirli con altri mezzi di finanziamento.

Questa decisione, di stampo populistico e dal chiaro sapore elettoralistico, potrebbe portare a un controllo politico ancora maggiore del governo di turno della SRR, la radiotelevisione pubblica.

3. Non è sempre facile per la libera stampa indagare sulle vicende di corruzione che pervadono il mondo politico;

4. i media tendono ad accentuare lo scontro politico, schierandosi per l’una o per l’altra parte, a seconda della loro collocazione ideologica.

5. Pur essendo nati di recente nuovi quotidiani e nuove stazioni radio, la tv resta la principale fonte di
informazione: anche in questo settore gli scandali continuano a scuotere la credibilità delle reti.

Ciò che ne danneggia la credibilità è da un lato la faziosità, dall’altro il modo in cui insultano l’intelligenza
dei telespettatori: quando una rete decide di non seguire eventi che portano 10mila manifestanti in strada nella capitale, non è manipolazione, è stupidità.

Queste reti scelgono deliberatamente il sensazionalismo ed il gossip, ma offrono un giornalismo di scarsa qualità;

si rivolgono soprattutto ad un pubblico dotato di scarso senso critico che ritiene vero tutto ciò che sente dire al telegiornale o nei talk show.
6. Per fortuna, grazie alla massiccia diffusione del web, molti romeni si informano usando internet: si calcola che il consumo di notizie on line sia in crescita. Uno studio pubblicato nel 2015 rivela che i romeni passano 340 minuti al giorno a guardare la tv e 271 minuti al giorno a navigare su Internet (la media mondiale è di 109 minuti giornalieri).

Il modo in cui le reti sociali lavorano in Romania ha dimostrato che i media tradizionali hanno perso il loro monopolio sulla diffusione delle notizie e che non c’è modo di nascondere un tema al pubblico.

Le elezioni presidenziali del 2014 e le dimostrazioni di piazza contro la corruzione dal 2013 in poi hanno dimostrato che internet compensa la latitanza informativa di radio e tv.
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I risultati delle elezioni. Come in parte previsto dai sondaggi, il Partidul Social Democrat, guidato da Liviu Dragnea ha vinto le elezioni legislative.

Secondo i dati definitivi, il PSD ha ottenuto alla Camera dei Deputati il 45,3%, pari a 169 dei 328 seggi; al
Senato la percentuale è simile ed i seggi sono 69 su 136.

Il partito, erede del vecchio PCR di Ceausescu ha raggiunto un traguardo storico: mai aveva riscosso
consensi così elevati negli ultimi 25 anni.

La scarsa affluenza al voto ha favorito il PSD, forte di un elettorato stabile che
non si è allontanato dal partito, malgrado le accuse insistenti di corruzione che in passato,come abbiamo detto, travolsero l’ex premier Ponta e che lambiscono anche il Leader attuale.
Liviu Dragnea, presidente in carica del PSD, candidato alla guida del governo, infatti, ha una condanna penale di due anni di reclusione, sospesa con la condizionale, per aver favorito brogli elettorali nel referendum sull’impeachement dell’ex capo dello stato Traian Basescu nel 2012.

I socialdemocratici hanno annunciato che formeranno una coalizione con l’Alleanza Democratica Liberale (ALDE –
5,9%, 19 seggi alla Camera e 8 al Senato, dell’ex premier Calin Popescu Tariceanu, come già annunciato prima delle
elezioni.

Decisamente Delusi i liberali del PNL che hanno raccolto un magro 20%, eleggendo 73 deputati e 31 senatori: la conseguenza di questa disfatta sono state le immediate dimissioni della Presidente del Partito Alina Gorghiu.

Entrano in parlamento anche
• il nuovo partito “antisistema” Unione per la Salvezza della Romania (USR) 9,1%, 25 deputati e 10 senatori;
• i rappresentanti dei Magiari (UDMR) 6,3%, 25 deputati e 10 senatori;
• il Partito Movimento Popolare (PMP) 5,2% dell’ex capo dello stato Traian Basescu, eletto senatore, con 17 deputati e 7 senatori.
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La formazione del governo. Toccherà ora al Presidente della Repubblica, Klaus Iohannis designare il Primo Ministro.

In passato, Iohannis, le cui posizioni politiche sono vicine alla cancelliera tedesca Angela Merkel, aveva fatto
sapere che non avrebbe mai offerto l’incarico a chi avesse avuto problemi con la giustizia.

Difficile dire in questo momento se accetterà la proposta del PSD che punta tutte le sue carte sul presidente della propria formazione politica.

Le prime notizie sulle trattative per il varo del nuovo esecutivo, che giungono da bucarest segnalano già il sorgere d’un ennesimo conflitto tra Capo dello Stato ed aspirante premier.

«Prima della campagna elettorale – ha dichiarato il Presidente – avevo fatto riferimento a precisi criteri di
rettitudine e onestà nella scelta a chi affidare l’incarico. Oggi non ci possono essere discussioni in merito, quei
criteri restano validi. Intendo mantenere la mia posizione anche qualora dovesse essere modificata la legge vigente che impedisce a chiunque abbia subìto condanne di entrare a far parte del governo», ha concluso Iohannis, che era stato eletto alla massima carica del Paese conducendo una campagna elettorale contro la dilagante corruzione.

Il conflitto si annuncia dunque lungo, aspro e di difficilissima soluzione. Opposto infatti l’approccio del leader
socialdemocratico che ha replicato:

«Non ho intenzione di regalare i nostri voti a chicchessia, né a un altro personaggio politico né a un esponente istituzionale. Ho condotto tutta la campagna elettorale vittoriosa e
non sono disposto a scherzare col risultato del voto, tutti devono rispettarlo altrimenti si rischia un conflitto
inutile che minaccia la stabilità del paese.»

In passato, un simile braccio di ferro si era già prodotto, col predecessore di Iohannis, Traian Basescu, che fu
sospeso dall’incarico per decisione parlamentare, per accuse di corruzione e che si era a lungo scontrato col Primo Ministro Victor Ponta.

Anche se, secondo la Costituzione, il ruolo principale di governo spetta all’esecutivo, il Presidente della repubblica, eletto a suffragio universale diretto, ha prerogative importanti, soprattutto in relazione al sistema giudiziario ed in politica estera.

Iohannis avvierà presto consultazioni con le forze politiche entrate nelle nuove camere: non è chiaro
quando potrà arrivare ad individuare un premier che possa soddisfare i criteri da lui annunciati, gradito anche al PSD e non è nemmeno chiaro quanto potrà durare il braccio di ferro in atto.

Quest’evoluzione del dopo voto è una pessima notizia per la Romania, un Paese che – grazie agli aiuti europei, ai forti investimenti industriali stranieri, alla sua dinamica interna, pur soffrendo di mali quali la povertà, l’emigrazione e la corruzione, è al momento uno dei pochi Paesi UE in forte crescita.

Sullo sfondo vi sono le inquietudini legate alle singole situazioni nazionali nell’area dei Balcani, mentre la NATO, di cui Bucarest fa parte, progetta d’installare in territorio romeno una serie di basi per i nuovi sistemi difensivi antimissile, definite «una minaccia» da Mosca.

PIER LUIGI GIACOMONI

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