PERCHE’ LA SINISTRA NON VINCE IN EUROPA
(6 maggio 2016)
LONDRA. Mentre scrivo queste note stanno depositandosi i risultati delle elezioni amministrative in Gran Bretagna.
Esse, come già altre nel recente passato, documentano che il Partito Laburista britannico è in caduta libera.
La stessa cosa è avvenuta di recente in Germania, Francia, Spagna ed in altri Paesi.
Perché i partiti socialisti, socialdemocratici, laburisti europei non vincono più? Perché ad ogni appuntamento elettorale perdono voti, anche e soprattutto nelle loro roccaforti?
Non ho la pretesa d’esaurire un argomento di notevole vastità, ma voglio lo stesso mettere giù qualche considerazione.
1. Prima di tutto, questi partiti, che nel XX secolo sono stati capaci di compiere una rivoluzione socioeconomica importante, mediante l’introduzione dello stato sociale, oggi perdono consensi perché, proprio questo sistema che redistribuisce la ricchezza, sostenendo le categorie economiche più povere non riesce più, anche a causa dei mutati equilibri demografici della popolazione, ad arrivare dappertutto.
2. Come tutti i partiti nati nel secolo scorso, molti degli ideali che li hanno creati, si sono persi per strada: in molti casi iscriversi a questi partiti, entrare a far parte dei gruppi dirigenti, assumere incarichi politici di rilievo, è stato solo un modo di far carriera.
In pratica non sempre è chiara quale sia la differenza tra un partito socialista e uno conservatore o liberale.
3. Oggi, si ha l’impressione che la gente cerchi risposte semplici, immediatamente efficaci, alle angosce del presente. Di fronte a fenomeni come la disoccupazione giovanile, che vede esclusi dal ciclo produttivo milioni di ragazzi e ragazze o quello della migrazione di milioni di persone da luoghi depauperati e dilaniati da conflitti incessanti, per non parlar della crisi del sistema di sicurezza sociale e molto altro ancora, la capacità d’intervento delle autorità di governo appare spesso insoddisfacente, forse perché spesso giocata solo a livelli nazionali e non, come richiederebbe la realtà, su un piano di collaborazione almeno paneuropea.
4. La crisi stessa dell’Europa che sembra precipitare in una spirale di rivendicazioni nazionali e di chiusure che è l’esatto contrario di ciò che si voleva creare quando nacque la CEE,poi ribattezzata UE.
5. La percezione che questi partiti socialisti facciano ormai parte dell’establishment e non siano in grado di esprimere un pensiero politico, una progettualità alternativa al pensiero dominante.
Tutti questi al momento paiono a me i motivi d’un declino di queste forze politiche che, al momento, sembra inarestabile.
C’è via d’uscita? Secondo me, sì e si trova nella voglia di rinnovarsi, nel desiderio di stare in mezzo alla gente per capire davvero cosa essa pensa e, passata la fase dell’ascolto, serio, fatto senza pregiudizi, senza puzza sotto il naso, predisporre un programma politico che sia per davvero vicino al reale sentire delle persone, sia come singoli, sia come associati.
PIERLUIGI GIACOMONI