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IL LIBANO VA DECOMPONENDOSI
(20 Novembre 2023)

BEIRUT. Mentre la nostra attenzione è totalmente concentrata su quanto sta accadendo nella striscia di Gaza, il Libano va decomponendosi.

Quello che un tempo veniva chiamato “la Svizzera del Medio oriente” è ormai uno stato fantasma: da più d’un anno manca d’un Presidente della Repubblica ed il governo è dimissionario.

In questo quadro già inquietante va crescendo la tensione tra i diversi attori nazionali e internazionali che agiscono sul territorio.

Dopo il 7 ottobre, giorno dell’attacco di Hamas ad Israele, vi è stato un aumento degli scontri anche sulla linea blu che divide il Libano col suo vicino meridionale:

«Più di 26.000 libanesi – scrive lemonde.fr – sono fuggiti dai bombardamenti israeliani sul sud del paese, provocando la morte di 11 civili».

Il raccolto di olive, fonte economica principale per le popolazioni che vivono in quest’area, è andato perduto a causa degl’incendi provocati dai bombardamenti attuati dall’esercito di Tel Aviv.

La graduale escalation ha esteso la zona di tiro oltre una striscia profonda di 5 chilometri su entrambi i lati del confine. L’intensità dei combattimenti è tale che il sud del paese subisce regolarmente più di trenta colpi d’arma da fuoco israeliane al giorno.

Nessuno vuol cominciare la guerra per primo, ma tutti sono pronti e basterebbe un incidente per provocare una conflagrazione generale.

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POZZO SENZA FONDO

Gli ultimi quattro anni per il Libano sono stati un incubo e la crisi del paese è parsa un pozzo senza fondo: «Dal 2019 a oggi – scrive Mattia Serra su ispionline.it[1] – il Pil del paese si è contratto per circa il 40%, il debito pubblico ha raggiunto il 280% del Pil mentre la valuta nazionale ha perso il 98% del suo valore. Questo deprezzamento ha causato una spirale inflazionistica di una portata mai vista dalla fine della guerra civile [1975-1990 NDR]. Se lo scorso anno l’inflazione media ha toccato il 171%, quella alimentare ha raggiunto il 280% registrato a giugno 2023. In un contesto in cui il deprezzamento della lira continua a erodere i salari, questi aumenti hanno avuto una pesante ricaduta sulla popolazione libanese. Già nel 2021 l’Onu aveva stimato che più dell’80% della popolazione vivesse in uno stato di povertà multidimensionale. Più recentemente il World Food Programme ha stimato che sono più di tre milioni coloro che necessitano di sostegno alimentare. A complicare ulteriormente il quadro economico si aggiunge il fatto che l’economia libanese sta andando incontro a una progressiva dollarizzazione. Nel settore privato prezzi e tariffe sono ormai da tempo indicati in dollari, ma sembra che questo processo stia per interessare anche il settore pubblico, a partire dalla (limitata) erogazione di corrente elettrica da parte della statale Électricité du Liban. In questo scenario, il boom registrato dal settore turistico è difficilmente in grado di trainare l’economia del paese, mentre il fatto che i negoziati con il Fondo monetario internazionale (Fmi) rimangano sostanzialmente bloccati rende la prospettiva di una ripresa economica ancora più remota.»

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IL GIOCATTOLO S’è ROTTO

Fu Rafik Hariri negli anni 90 del secolo scorso ha creare il modello economico che fece del Libano un paradiso per gl’investitori:

«Hariri – scrive Fulvio Scaglione[2] -era un musulmano sunnita, grande imprenditore libanese con nazionalità saudita e molti appoggi negli Usa e in Francia.»

Fu capo del governo in due momenti: dal 1992 al 1998 e dal 2000 al 2004, nonché padre di quel Saad che avrebbe guidato il governo negli anni 10 e che per qualche tempo fu ritenuto da molti giovani libanesi una fulgida promessa della politica nazionale.

Rafik fu un grande finanziatore dei movimenti politici sunniti, protagonista della spettacolare ricostruzione del centro di Beirut, distrutto dalla già citata guerra civile.

Era però anche il principale azionista di Solidére, la compagnia che condusse gran parte dei lavori di ricostruzione della capitale.

Durante il suo governo inaugurò la politica del grande debito pubblico e del passivo di bilancio: per finanziare l’opera di ricostruzione, grazie agl’investimenti dall’estero, attirati dagli alti tassi d’interesse praticati dalle banche, diede il benvenuto al denaro proveniente soprattutto dai Paesi produttori di petrolio.

I petrodollari fluivan incessantemente, lo Stato emetteva titoli del tesoro che venivan sottoscritti ad occhi chiusi, Beirut rifioriva.

Nuovi debiti servivan per coprire quelli vecchi: ad un tratto però il giocattolo si ruppe.

A metà degli anni 10 crolla il prezzo del petrolio, il flusso di denaro s’interrompe, nelle banche rimangono i debiti,bisogna bloccare i conti correnti.

Il governo chiede aiuto alle istituzioni finanziarie internazionali: nel marzo 2020, Beirut dichiara default.

«La crisi – scrive ancora Scaglione – ha gettato sul lastrico le famiglie e devastato una classe media per tradizione florida e dinamica. E ha generato un movimento di protesta trasversale, composto da mille anime ma unito nella contestazione all’intera classe politica, a ragione giudicata corrotta e incompetente.»

Di cui su l’Orient-Le Jour Dominique Eddé[3] fa un impietoso ritratto:

«Ai piani alti qualunque catastrofe è accolta come il pezzo utile di un puzzle che
li occupa a tempo pieno: il puzzle di un paese in frantumi. Giocano lentamente e in silenzio a dividere i pezzi, a montarli e
smontarli. Compongono pazientemente
la decomposizione.

vogliono quello che hanno sempre
voluto – ciascuno la sua fetta di torta – con
l’alibi perfetto di farne beneficiare i componenti delle loro comunità. Ciascuno il
suo denaro, ciascuno il suo pezzo di popolo,
ciascuno il diritto di rubare nel nome
della reciprocità. Tu rubi, io rubo, io
copro te, tu copri me.

Non hanno un paese da governare.
Quello che devono governare è un accordo
fondato sul disaccordo. Si autogovernano.
Governano la propria sopravvivenza
e, evidentemente, lo fanno bene.
Ognuno aiuta l’altro a non cadere. L’edificio
crolla, loro reggono.»

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L’APOCALISSE

Il segnale più evidente dello sfacelo che mette in pericolo le vite e le proprietà delle persone fu dato il 4 agosto 2020 quando una violenta esplosione devastò Beirut: un deposito di nitrato d’ammonio, sostanza chimica usata per produrre fertilizzanti, lasciato incustodito per anni, saltò per aria, provocando la distruzione didiversi quartieri della città.

221 persone morirono ed altre rimasero ferite: La detonazione causò un sisma di 3,5 gradi sulla scala Richter e i suoi effetti si avvertirono fino all’isola di Cipro, situata a 200 km dalla costa libanese.

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NEGLIGENZA EPOCALE

Nel 2013, secondo al Jazeera, giunge a Beirut una nave, diretta in Mozambico,bisognosa d’una riparazione ai motori.

Il mercantile trasporta 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio: le autorità sequestrano il carico per timore che possa esplodere, e lo collocano nell’hangar 12.

Per anni i funzionari delle dogane inviano lettere agli uffici amministrativi per ottenere la rimozione del pericoloso carico: nessuna risposta.

Il 4 Agosto 2020, di pomeriggio, si sviluppa un incendio: causa delle fiamme, lavori di saldatura in corso nel magazzino che contiene la pericolosa sostanza; altre fonti parlano d’un deposito di fuochi artificiali che esplodendo avrebbe generato il cataclisma.

Fatto sta che alle 18 è l’apocalisse: a tre anni di distanza la giustizia libanese non è ancora riuscita a far luce sull’accaduto; il giudice istruttore incaricato di condurre le indagini è minacciato di morte e nulla si fa per punire i responsabili d’una catastrofe che un ministro dell’epoca paragonò alla bomba di Hiroshima.

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LA REPUBBLICA DELLA LOTTIZZAZIONE

Il Libano, fin dall’inizio della sua storia è ilpaese dove regna la lottizzazione più sfrenata: dal 1936 è in vigore un decreto, emanato dall’alto commissario francese che allora amministrava il territorio,che divise la popolazione in 17 comunità religiose, successivamente aumentate a 18: di esse 12 musulmane e 6 cristiane.

Non solo il Presidente della Repubblica dev’esser un cristiano maronita ed il capo del governo un sunnita, ma l’aeroporto di Beirut è gestito dagli sciiti, l’industria farmaceutica è dei cristiani ortodossi e l’edilizia dei sunniti.

La logica della spartizione non risparmia nulla: anche la distribuzione dei seggi in Parlamento avviene secondo linee etnico-religiose e i governi devon comprendere ministri di tutte le comunità:un po’ a me, un po’ a te, come diceva Eddé.

In più, il paese è luogo di scontro tra le diverse fazioni della resistenza palestinese: nei campi profughi scoppiano frequentemente combattimenti tra elementi di Al Fatah e di altri gruppi minoritari.

In questo contesto, è cresciuta l’influenza di Hezbollah, partito di Dio, che può contare su potenti amicizie sia a Teheran che a Damasco.

Nelle elezioni legislative del 15 maggio 2022 la coalizione diretta da Hasan Nasrallah ha conquistato 62 dei 128 seggi del parlamento di Beirut e da questa posizione condiziona tutta la vita politica libanese.

Hezbollah non vuol alcun cambiamento nel sistema lottizzatorio perché da esso ha tratto nei decenni notevoli vantaggi.

Per questo sta bloccando l’elezione d’un nuovo Presidente e la formazione d’un governo di cui la repubblica dei cedri avrebbe estremamente bisogno.

Al Sud, alla frontiera con Israele, ha 100.000 miliziani ed ogni giorno da lì partono razzi verso il territorio dello stato ebraico.

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QUALE FUTURO PER IL LIBANO?

In questo complesso quadro, considerato il rischio d’un fallimento del sistema paese, quale futuro ha il Libano?

Può ancora funzionare uno stato in cui se non c’è l’accordo di tutti i partiti, ogni cosa si blocca?

Soprattutto, i libanesi vogliono ancora vivere in un posto dove tutto è spartito col manuale Cencelli?

Nelle elezioni legislative del 2022 sipresentò un pugno di candidati che cercaron di raccogliere i voti di chi non si riconosceva nei partiti etnico-religiosi: 8 di questi candidati furon eletti, ma la maggioranza dei deputati era espressione o della coalizione dei cristiani o del fronte musulmano.

Se, come sostiene qualcuno, i cittadini del paese dei cedri non sono più quelli usciti dalla guerra interna che lo devastò fin al 1990, devon dimostrarlo ribellandosi alla logica spartitoria che sta affogandolo.

PIER LUIGI GIACOMONI

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NOTE:

[1] M. Serra, Libano: se lo Stato si sgretola, ispionline.it, 18 settembre 2023;
[2] F. Scaglione, Libano: si schianta tra fuoco e fiamme il volo miracoloso del “calabrone” d’Oriente, famiglia cristiana, 9 Agosto 2020;
[3] D. Eddé, L’Orient-Le Jour, LIBANO. Lo spettacolo della decomposizione, in Internazionale N. 1395, 5 Febbraio 2021.

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