CULTURA DELLO SBALLO, NARCISISMO ED INCONSAPEVOLEZZA DELLA MORTE
(18 Settembre 2018)
ROMA. C’è un filo rosso che unisce alcuni eventi segnalati dalle cronache in questi giorni: la cultura dello sballo, il narcisismo e l’inconsapevolezza della morte.
Alcuni adolescenti, in diverse parti d’Italia, han perso la vita in incidenti provocati da loro stessi: uno, 15 anni, si è strangolato, stringendosi al collo un laccio, un altro, per farsi un autoscatto col cellulare, è salito su un tetto e poi, per disgrazia, è precipitato nel bocchettone dell’aria condizionata.
Intendiamoci, tutti e due erano, a dire di chi li conosceva, dei bravi ragazzi, studiosi, impegnati nel sociale, amanti dello sport e così via. però entrambi amavano il rischio: correre su un motorino senza casco, con magari qualcuno sulle spalle, salire sui tetti ed avvicinarsi al bordo per far vedere ad altri di non aver paura, sraiarsi sulle rotaie per dimostrare di non temere l’arrivo del treno, scrivere su facebook frasi del tipo “Noi non abbiamo paura della morte.” sono il sintomo del desiderio d’apparire, d’uscire dall’anonimato, della voglia di stupire, ma anche dell’inconsapevolezza dei rischi cui si può andare incontro per effetto d’un gesto irresponsabile.
Forse a quell’età non si ha paura della morte solo perché non la si è mai incontrata nella propria vita, ma la si è vista solo al cinema o in tv; forse non si teme il momento dell’ora estrema perché si pensa che sia comunque qualcosa di lontano, che riguarda soltanto gli anziani. Di fatto, questi ed altri ragazzi che son passati sulle pagine dei giornali soprattutto per il loro atto conclusivo, sono stati vittime di alcune delle nostre sindromi quotidiane e moderne: il desiderio d’apparire, di mostrare e dimostrare ad altri di saper fare qualcosa di eccezionale; il desiderio di provare sensazioni estreme, trasgressive che possano stupire chi vede le immagini sulle reti sociali; la convinzione dell’immunità, dell’invincibilità, dell’essere al di sopra e al di fuori di tutte quelle raccomandazioni che i giovani ricevono dagli adulti. Una sorta di superomismo che non di rado sfocia in tragedia.
Intendiamoci, è nella natura stessa dell’adolescente cercare di fare qualcosa che sia in una certa misura eccezionale, fuori dagli schemi, non abituale: i social network per loro natura eccitano il narcisismo perché accanto ad ogni immagine è possibile esprimere un proprio giudizio ed anche un commento. Avere migliaia di amici e migliaia di “mi piace” è l’ambizione di molti giovani, ma il rischiare la vita o il perderla del tutto per farsi un selfie in una situazione estrema dimostra scarsa consapevolezza della morte.
La morte è il destino che ci attende tutti: si dice che solo gli uomini, diversamente dagli altri animali, ne siano consapevoli, almeno da una certa età in poi. Forse tra le cose che gli adulti dovrebbero insegnare ai più giovani vi è anche la consapevolezza che si può morire a qualunque età, che non si spengono solo gli anziani o i malati gravi. “Si può morire” diceva una vecchia canzone dei Gufi “facendo il presidente […] o per un sorpasso storto”, si può morire, diciamo noi, per un selfie o per un ultimo sballo finito male.
E dopo non c’è più davvero alcun rimedio, ma solo un grande silenzio.
PIER LUIGI GIACOMONI