SPAGNA. VOX AL GOVERNO
(21 Marzo 2022)
VALLADOLID. Prima o poi doveva accadere: Vox sta per entrare nel governo d’una regione spagnola: questa settimana, le Cortes di Castilla y León, rinnovate il 13 febbraio, daranno l’investitura alla nuova giunta formata da ministri del PP e del partito neofranchista, nostalgico della dittatura.
L’accordo, reso noto il 10 Marzo, prevede che Vox presieda l’assemblea, occupi la vicepresidenza della giunta e diriga tre dicasteri.
Confermato alla presidenza Alfonso Fernández Mañueco, che a dicembre dissolse il legislativo con un anno d’anticipo, licenziando contemporaneamente i ministri di Ciudadanos.
Intendiamoci, Vox è già entrato nell’area di governo in diverse regioni: in Andalusia, ad esempio, nel 2018, mentre a Madrid Isabel Díaz Ayuso deve la sua investitura ai voti dei neofranchisti.
finora Vox si accontentava di condizionare gli esecutivi dall’esterno, ora vuol entrare nella “stanza dei bottoni” per condizionarli dall’interno.
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PROGETTO FALLITO.
Il progetto politico all’origine delle elezioni anticipate a Castilla y León era un altro: quando a dicembre Mañueco scioglie le Cortes regionali pensa d’ottenere dalle urne un successone, simile a quello conseguito a madrid nel maggio 2021 dalla collega capitalina: se non la maggioranza assoluta, comunque un pacchetto di seggi tale da permettergli di formare un gabinetto monocolore con l’appoggio esterno di qualche formazione minore o magari proprio di Vox. Dalle urne emergono numeri che danno una chiara indicazione: quelli di Abascal sono in fortissima crescita, i partiti nazionali fermi sul posto o in calo e le liste locali raccolgono solo briciole, malgrado una campagna di stampa a loro favore. Nel dettaglio: il PP ottiene 31 seggi su 81, i socialisti 30 , crollano Podemos e ciudadanos, un seggio a testa e 5 mandati a “España Vacía”. Vox fa il botto: passa da uno a 13 seggi in un’unica votazione.
Mañueco, che avvia subito trattative per il varo della nuova giunta, scarta l’ipotesi d’un esecutivo di transizione, a tempo, preferendo un patto oneroso con quelli di Vox.
la formazione d’ultradestra, all’inizio, avanza richieste molto dure, poi preferisce metter da parte la più indigesta per i popolari, l’abolizione della legge regionale contro la violenza di genere da derubricarsi come semplice omicidio familiare, per ottenere posti nel governo in dicasteri ritenuti strategici.
Il PSOE la prende male: rimprovera ai popolari d’aver infranto quel “cordone sanitario” in virtù del quale nessun partito democratico avrebbe mai governato coi nostalgici del franchismo.
ora però è evidente che la strategia degli azzurri è quella di sdoganare la formazione di Santiago Abascal coinvolgendola nel governo delle comunità locali in vista magari d’un futuro esecutivo nazionale.
In questo modo però la linea politica del PP si sposta pericolosamente verso destra: questa scelta potrà favorire nell’immediato futuro i socialisti o creare le condizioni per un ritorno della destra estrema alla Moncloa?
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REAZIONI EUROPEE.
«Le parole più dure sono venute – scrive Paola Del Vecchio[1] – INVECE dal presidente del Partito popolare europeo, Donald Tusk, che ha bollato il primo governo di coalizione con Vox in Spagna come una «capitolazione».
“Speriamo sia un accidente o un incidente, non una tendenza della politica spagnola”, ha dichiarato. E ha lamentato che il Pp stia “flirtando” con l’estrema destra.»
già, perché la linea adottata dai dirigenti della formazione azzurra dopo le sconfitte elettorali del 2019 è quella di inseguire l’ultradestra appropriandosi delle sue tematiche al fine di sottrarle consensi. Il rischio più grosso è però quello che il PP venga cannibalizzato dal partito di Abascal: piuttosto che la copia gli elettori potrebbero preferire l’originale.
I commentatori sulla stampa spagnola han ricordato il precedente dell’UCD, il partito che condusse la transizione dalla dittatura alla democrazia: esaurita la propria missione, passò di scissione in scissione, smembrandosi in tante formazioni politiche che scomparvero rapidamente dalla ribalta spianando la strada al PSOE.
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LA \GUERRA CIVILE NEL PP.
Mentre a Valladolid si trattava per costituire il nuovo governo di Castilla y León, a Madrid andava in scena un fosco dramma: la “guerra civile” nel PP che poteva preludere al suo dissolvimento.
Protagonisti del duello? Pablo Casado Blanco, presidente del partito e Isabel Díaz Ayuso, governatrice regionale di Madrid.
In palio? Il controllo, tanto del partito madrileno, quanto di quello nazionale.
«Un presunto spionaggio interno con denaro pubblico, un appalto in odore di tangenti nel pieno dell’emergenza Covid, ambizione, potere e corruzione. Gli ingredienti sono gli stessi di altri scandali che hanno scosso il conservatore Partido Popular.» riassume Del Vecchio.[2]
I fatti: nell’agosto 2021, Casado, che teme l’ascesa di Ayuso, è informato che il dicastero della Sanità madrileno ha concesso un appalto per l’acquisto di mascherine FFP2 per un ammontare di oltre 1,5 milioni di euro.
Per compiere l’affare il fratello della Presidenta Tomás avrebbe percepito una commissione di 282 mila euro. conseguenza: il leader nazionale del PP dà incarico al segretario generale del partito Teodoro García Egea di approfondire l’inchiesta anche mediante lo spionaggio.
Tra gennaio e febbraio 2022 la vicenda vien a galla e lo scontro raggiunge presto l’apice: Ayuso dichiara che non c’è stata nessuna violazione di legge e che la comunità ha pagato solo 55mila euro, Casado chiede però ulteriori chiarimenti. Se in un primo momento il presidente del partito appare solidamente in sella, presto cominciano ad emergere dei distinguo: a metà febbraio si dimette Angel Carromero, alto funzionario del comune capitalino che avrebbe condotto lo spionaggio ai danni della governatrice, poi si fa da parte anche García Egea. In fine i “baroni” inducono casado a convocare una sessione della giunta direttiva del PP, un organismo di oltre 400 membri che delibera di convocare il congresso a fine aprile.
Il presidente, nei fatti, è deposto ed alberto Núñez Feijóo, presidente della Galizia, regione nella quale il PP ha la maggioranza assoluta, è individuato come il candidato giusto per traghettare gli azzurri fuori dagli scandali e dalle lotte intestine che l’hanno dilaniato.
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GRANDE FRAMMENTAZIONE.
La Spagna postfranchista si regge sostanzialmente su una specie di bipartitismo imperfetto: dopo la scomparsa dell’UCD (Unión del Centro Democrático), si forma Alianza Popular che poi si ribattezza Partido Popular (PP). In questa forza politica entrano tanto ex membri della Falange, il partito unico ammesso ai tempi di Franco, quanto esponenti moderati, conservatori, liberali, centristi. Il PP, dopo i 14 anni di governo di Felipe gonzález Márquez (1982-1996) si alterna al potere coi socialisti.
questo schema bipolare salta sia per effetto dei numerosi scandali che scuotono la scena politica nazionale e locale, sia in seguito alla prolungata e grave crisi economica che investe la penisola iberica tra il 2008 e il 2016: così, mentre a sinistra sorgono nuovi partiti come Podemos e al centro nasce Ciudadanos, su scala regionale è tutto un fiorire di partiti che cavalcano l’insoddisfazione delle diverse comunità regionali. Così per diversi anni la Catalogna rivendica la secessione dalla spagna, arrivando a celebrare due referendum autogestiti separatisti nel 2014 e 2017. Come reazione a questo fenomeno disgregativo sorge Vox, forza politica d’ultradestra che ottiene i suoi primi successi tra il 2018 e il ’19, quando a sorpresa elegge 52 deputati al Congreso. Il linguaggio di Santiago Abascal, 45 anni, leader del partito, è volutamente provocatorio. E’ nostalgico della dittatura, filocentralista, euroscettico, antimmigrazione, per una politica demografica che incoraggi le coppie a far figli, onde contrastare l’afflusso di migranti dall’estero.
Nel frattempo declinano, come testimoniato anche dal voto a Castilla y León, sia Ciudadanos, ormai ai minimi termini, che Podemos, dilaniato da scissioni e lotte personali che paiono preludere alla definitiva disgregazione della formazione viola.
Tra il prossimo giugno e per tutto il 2023 il Regno di Felipe VI sarà interessato da un fitto calendario elettorale: è molto probabile che il quadro politico nazionale e locale esca sconvolto da questi appuntamenti con le urne, incrementando la frammentazione e l’instabilità. Ricordiamo che, tanto nel 2016, quanto nel 2019, in rapida successione furono convocate in tutto quattro elezioni generali perché il Congreso uscito dalle urne non era in grado di eleggere un Presidente del Governo, mentre nel 2018 l’assemblea parlamentare rovesciò con una mozione di sfiducia costruttiva l’esecutivo conservatore di Mariano Rajoy. Insomma, un’instabilità e una fragilità istituzionali che possono favorire, come già avvenuto, la crescita dell’estremismo di destra.
PIER LUIGI GIACOMONI
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NOTE:
[1] P. Del Vecchio: Spagna, laboratorio-Castiglia Patto popolari e ultradestra, in avvenire.it, 12 Marzo 2022.
[2] P. Del Vecchio: Ayuso sfida i vertici dei popolari, in avvenire.it, 18 Febbraio 2022.