LA SCARPA SUPERVELOCE
(8 Settembre 2016)
1. Rodolfo era un uomo tranquillo, faceva tutto con calma: si alzava lentamente, faceva colazione senza fretta, guidava la macchina senza brusche accelerazioni. Coi colleghi al lavoro era sempre gentile, cordiale, affettuoso.
2. La trasformazione. Un giorno, il cambiamento: sua moglie, come regalo di compleanno, gli donò un paio di scarpe che permettevano di camminare a velocità incredibili.
Rodolfo si rese conto che erano le scarpe a trasportarlo: bastava che le indossasse e via, correva come il vento.
per andare a lavorare non prendeva più la macchina, ma camminava per le vie della città come se avesse dei motorini ai piedi.
Solo che, col tempo, la sua personalità cambiò: se prima era pacioso e cordiale, sempre gentile, ora divenne aggressivo, grintoso, a volte persino volgare.
Sul lavoro urlava spesso, a casa sgridava tutti, per la strada, quando investiva un passante, gli rivolgeva male parole: insomma, una vera metamorfosi.
3. L’ascesa. Questo cambiamento di personalità gli arrecò degli immediati vantaggi: l’amministratore delegato dell’azienda in cui lavorava, un giorno lo chiamò e gli disse:
«Mi dicono, signor Righini, che lei è diventato grintoso e vuole fare carriera!…»
«Sì, mi sento un fuoco dentro per cui voglio lavorare sempre di più, far crescere la nostra azienda, farle guadagnare sempre nuove quote di mercato…»
Sembrava un invasato, pensò l’Amministratore Delegato, ma decise di sfruttare la situazione che poteva dare dei vantaggi alla ditta e a lui personalmente.
«Uhm, ma che bella notizia! Stavamo cercando da un pezzo uno come lei ed eravamo in trattativa con un tipo che ci viene detto sia una vera belva!
Guardi, voglio metterla subito alla prova: se lei si dimostrerà all’altezza delle nostre apsettative, eviteremo di prendere la “belva”!
Da lunedì, guiderà il nostro ufficio esportazioni.
Deve farli lavorare quei poltroni! Se fra tre mesi avremo registrato una crescita del 10% del nostro fatturato sull’estero, le offriremo un cospicuo aumento di stipendio e prospettive d’avanzamento di carriera.
Se, invece, dovesse fallire…»
Il lunedì successivo, il nuovo direttore s’insediò e la prima cosa che fece fu quella di riunire i suoi più stretti collaboratori per elaborare con loro strategie più aggressive ed instaurare uno stile di lavoro più grintoso.
Lui, per primo, dava il buon esempio: lavorava dodici ore al giorno; era il primo ad arrivare in ufficio, l’ultimo ad andarsene. Spesso si recava al lavoro anche il sabato e la domenica.
Cominciò a viaggiare nei quattro angoli del mondo per far conoscere il brand della sua ditta dal Giappone al Nord america, dalla Russia al Brasile.
Dopo tre mesi, l’amministratore delegato lo riconvocò nel suo ufficio:
«Bene, ho appena letto i dati della nostra trimestrale e le esportazioni sono cresciute del 15%; abbiamo stipulato, grazie al suo lavoro, contratti nuovi e siamo entrati in nuove aree geografiche in cui prima non battevamo chiodo. A nome del consiglio di amministrazione le faccio i miei più vivi complimenti. Se lei è ancora disponibile, le chiederei di proseguire su questa strada. Se fra sei mesi registreremo un incremento del 30% del fatturato, le faremo delle offerte di avanzamento di carriera stratosferiche. Potremmo aprire un ufficio a Londra o a New York. O anche in Cina… Chissà!
Intanto, il suo stipendio raddoppierà! Abbiamo anche previsto una gratifica speciale per il rilevante contributo che lei ha dato alla crescita di tutta la nostra azienda.»
Furono sei mesi di lavoro matto e disperato ed alla fine l’azienda registrò un incremento delle esportazioni del 40%. Rodolfo, però, si accorse ad un certo punto che quando la sera si toglieva le famose scarpe, tornava ad esser quello di prima, mentre quando le indossava ridiveniva lo schiacciasassi che ormai tutti avevano imparato a conoscere.
4. La caduta. Accadde un giorno, verso la fine del semestre che le scarpe si bucarono: forse nel camminare così velocemente per strada aveva preso contro un chiodo e quindi fu obbligatorio farle riparare.
Righini dovette, pertanto, indossare un altro paio di scarpe. I colleghi in quei giorni non lo riconoscevano più: non era la belva che gridava ed insultava il prossimo in quattro linghue diverse, ma un tipo dimesso, quasi svogliato.
Non arrivava a lavorare mai prima delle nove e mezza e dopo otto ore se ne andava via come un qualunque impiegato. Finito l’orario, il suo cellulare risultava inacessibile e la stessa cosa accadeva nei week end.
Naturalmente, l’amministratore delegato ne fu immediatamente informato ed i dubbi che si erano insinuati nella sua mente fin dall’inizio, si rinforzarono.
Così, ordinò alla più fidata delle sue spie:
«Tienilo d’occhio e fammi sapere: se continua su questa strada lo rovino. Intanto mi rimetto in contatto con la “belva”, per vedere se è ancora disponibile!»
Un lunedì mattina, Rodolfo Righini ricevette la comunicazione dal calzolaio presso cui aveva portato le sue scarpe a far riparare che erano state rubate.
L’uomo si disperò perché comprese che da quel momento, malgrado tutti i suoi sforzi, sarebbe caduto in disgrazia.
Fu esattamente ciò che accadde: un mese dopo l’amministratore delegato lo convocò nel suo ufficio.
Se l’altra volta l’accoglienza era stata cordiale, stavolta latensione si tagliava col coltello:
«Ebbene, signor Righini, cos’è successo? Prima era un leone, una macchina schiacciasassi,ora un imbelle,che arriva al lavoro in ritardo, che si chiude in quel suo stanzino e nessuno sa che cosa combina! Mi dicono anche che ci sono pratiche in giacenza, contratti da firmare che rimangono lì settimane senza che accada nulla.
Non va più alle fiere, non viaggia: è diventato indolente…
Fino ad un mese fa la nostra crescita era ancora ragguardevole, ma per colpa sua ci stiamo fermando.
Si è addormentato sugli allori? Crede d’esser arrivato al massimo e quindi di poter tirare il fiato?
Non sa che al giorno d’oggi chi si ferma è perduto? Non sa che altre aziende simili alla nostra stanno facendo ciò che noi abbiamo smesso di fare? Non sa che qui si lavora sempre notte e giorno, sabato e domenica compresi?»
Rodolfo non aprì bocca: non poteva certo dire che il suo esser uno schiacchiasassi dipendeva da un paio di scarpe speciali che però erano sparite nel nulla.
«Le do un’altra possibilità – riprese l’Amministratore Delegato – se lei recupererà gli obiettivi che ha mancato stavolta entro tre mesi, ci dimenticheremo di questa crisiche evidentemente lei sta attraversando, altrimenti ne trarremo le relative conseguenze. La informo che abbiamo ripreso i contatti con la “belva”, perciò se lei continuerà con quest’andazzo…»
Furono tre mesi d’inferno e gli obiettivi prefissati dall’azienda vennero clamorosamente mancati: le azioni a Piazza Affari crollarono e sui giornali si cominciò a parlare d’un possibile acquirente straniero, forse cinese.
Rodolfo Righini fu licenziato in tronco per “gravi inadempienze contrattuali”, com’era scritto nella lettera che gli fu recapitata un venerdì mattina in ufficio.
Se ne tornò a casa sconfitto ed abbattuto: smise di mangiare, beveva senza sosta andava in giro per la città con la barba lunga ed i vestiti malridotti.
La moglie chiese il divorzio e si trasferì in un’altra città coi figli.
Era un uomo distrutto nel fisico e nella mente.
5. La rinascita. Una gelida notte d’inverno fu rinvenuto semi congelato sotto un portico: vicino a lui c’era una bottiglia di vino scadente. Fu trasportato in ospedale per evitare che morisse assiderato.
I medici riuscirono a guarirlo e una di loro, una dottoressa molto comprensiva e disposta a dialogare coi pazienti, si fece raccontare la sua triste storia.
Rodolfo, tra le lacrime, narrò ciò che gli era accaduto.
Dopo che fu dimesso, i due continuarono a vedersi e pian piano, tra di loro nacque prima un’amicizia che sfociò poi in vero amore.
Ottenuto il divorzio, si risposò e decise che avrebbe cambiato vita.
Niente più alcol né sigarette, niente più vagabondaggi e dormite sotto i portici: per nulla al mondo si sarebbe ridotto ad una larva umana.
Col denaro guadagnato durante l’epoca del lavoro si comprò, assieme alla sua nuova compagna, una casa fuori città e si mise a disposizione di un’associazione che sosteneva i senza fissa dimora.
Una mattina lesse sul suo quotidiano preferito, che la “belva” aveva fatto carriera: dal dirigere l’ufficio esportazioni era passato a dirigere tutta l’impresa, scacciandone l’amministratore delegato.
La notizia gli dispiacque perché in fondo voleva bene a quell’uomo che pure l’aveva licenziato e rovinato. “Magari”, si disse, “una di queste notti troveremo anche lui sdraiato per terra, sotto un portico, ubriaco, mezzo assiderato e l’aiuteremo a riprendersi!”
Che ci volete fare: Rodolfo Righini, senza quelle scarpe superveloci, era un uomo, calmo, gentile e buono, anche con coloro che gli avevano fatto del male!
PIER LUIGI GIACOMONI