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RACCONTI FLASH
(5 Marzo 2018)

mani di pianista 1. La sala grande dell’auditorium si stava riempiendo: gli ultimi ritardatari stavano entrando ed occupando i loro posti. Già le luci si stavano abbassando e la voce dell’annunciatrice stava invitando a spegnere i telefoni cellulari, perché di lì a poco sarebbe iniziato il concerto.

Sul palcoscenico uno splendido pianoforte a coda attendeva solo d’esser suonato. tutti aspettavano il grande pianista. I giornali del mattino, presentando il concerto, ne avevano tessuto le lodi, richiamando alla memoria dei lettori, concerti epici tenuti a Londra, a New York e nella natìa Mosca.

Le luci si spensero e le voci si abbassarono di volume. Ad un certo punto dalle quinte si sentì il passo pesante del musicista che fece ingresso sul palco. Il pubblico lo accolse con un applauso scrosciante. Calò il silenzio e l’uomo attaccò il primo brano in programma.

Ad un certo punto un’anziana signora, tutta ingioiellata, seduta in prima fila, iniziò a tossire: una volta, due volte, tre volte…

Il pianista s’interruppe, si alzò e se ne andò.

Il pubblico fu colto da sconcerto e iniziò a rumoreggiare. Pochi minuti dopo l’altoparlante annunciò che il celebre pianista russo non avrebbe proseguito il concerto perché deconcentrato dalla tosse insistente di una spettatrice.

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berretto di carabiniere 2. «Allora ricominciamo da capo: dov’eri quando tua moglie è stata uccisa?»
«Ve l’ho già detto tre volte: ero al bar con gli amici a guardare la partita.»
«Qualcuno può confermare il tuo alibi?»
«Sì, Gigio, Gallo, Pedro, il Cacciatore, Herbert, il barista…»
«Loro dicono che non c’eri, che non sei mai stato al bar ieri sera
«Vuol dire che dicono bugie loro, non io!»
«No, bello! sei tu che dici bugie. Avanti, dicci dov’eri!»
«Ma io ero là, al bar, lo giuro!»
«Sarai stato in un altro bar!»
«No, io vado sempre in quel bar perché ci ho gli amici!»
«Però loro dicono che non ti sei fatto vedere! Perciò ora ricominciamo: raccontami tutta la tua giornata

Il giovane riprese:
«Mi son alzato alle sei perché dovevo andare a lavorare al cantiere. Alle sette ero là ed ho cominciato a lavorare fino a mezzogiorno. Poi ho mangiato alla mensa insieme agli altri colleghi. All’una e mezza è ricominciato il lavoro fino alle cinque. A quel punto sono smontato dal lavoro e col motorino son tornato a casa. Son salito, ho fatto una doccia, mi sono cambiato e son uscito subito perché avevo voglia di bermi una birra. Son andato al bar, ho bevuto la birra e ho detto ai ragazzi che sarei tornato per le otto e tre quarti per vedere con loro la partita. son tornato a casa alle sette e lì ho trovato mia moglie che mi ha detto che dopo poco si sarebbe cenato.

Infatti, alle sette e mezza c’erano in tavola i maccheroni e poi la bistecca e l’insalata.

Durante la cena abbiamo parlato fra di noi, ci siamo raccontati la nostra giornata, poi io le ho detto che sarei uscito per vedere la partita con gli amici al bar. Lei stava già lavando i piatti e mi ha detto che sarebbe andata a letto presto perché era stanca, molto stanca.»
«Non avete litigato durante la cena?»
«Assolutamente no.»
«A che ora sei rientrato a casa?»
«Alle undici circa.»
«Cos’hai trovato?»
«Ho trovato voi che mi avete fermato perché avevate scoperto che mia moglie era stata uccisa.»
«E tu non sei quello che l’ha ammazzata!»
«Esatto, io non l’ho uccisa!»
«Bene, ora verificheremo se il racconto della tua giornata è confermato dalle persone che ti hanno visto dalla mattina alla sera e ricostruiremo anche la giornata di tua moglie dal mattino alla sera.»
«Mi rimandate a casa?»
«Assolutamente no. rimarrai a disposizione del PM che sicuramente vorrà interrogarti di nuovo. Nel frattempo avremo i riscontri della scientifica ed i primi esami sul corpo della vittima.»

Il maresciallo della stazione dei carabinieri si alzò: era distrutto, aveva interrogato il giovane marito per dieci ore, ma non ci aveva ricavato nulla. di fronte aveva un uomo gelido che ripeteva come un disco rotto sempre la stessa versione dei fatti. Il caso pareva irrisolvibile. chissà forse il PM sarebbe riuscita a far breccia in quel muro di gomma, in quella corazza supermunita. Il maresciallo sapeva che la dottoressa Antonelli, giovane sostituto procuratore era una donna tenace ed in passato aveva risolto casi molto ingarbugliati.

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astronave3. A Cape Canaveral c’era la folla delle grandi occasioni: per quel giorno era previsto il lancio della navicella spaziale con a bordo sette astronauti.

Da Washington era giunto il Presidente ed i suoi più stretti collaboratori. LA NASA aveva premuto sulla Casa Bianca affinché il suo inquilino fosse presente al lancio. La missione era importante: la navicella doveva compiere la prima missione verso Marte. Tanti anni prima il mondo era rimasto con la bocca aperta quando gli astronauti americani avevano messo piede sulla Luna. Poi le missioni spaziali erano passate di moda e nessuno se ne occupava più. Ma il Presidente, diversi anni prima, aveva promesso più volte che entro la fine del suo secondo mandato ci sarebbe stata una missione americana verso Marte.

Washington era preoccupata perché i cinesi stavano facendo passi da gigante con le loro navicelle: la missione Tigre7 era già arrivata nei pressi del pianeta rosso e sembrava che Tigre8,che sarebbe stata lanciata presto, sarebbe scesa sul terreno.

Così, la NASA aveva accelerato i preparativi, aveva addestrato gli astronauti, tra cui due donne, ed aveva costruito un razzo potente, capace di sprigionare una velocità di oltre 100 mila chilometri all’ora.

Dagli altoparlanti si udiva la voce metallica che faceva il conto alla rovescia: gli astronauti erano già chiusi dentro la loro navicella da ore.

Tutte le televisioni riprendevano il lancio: alle tre in punto si udì un rumore mostruoso ed una gigantesca fiammata uscì dal fondo del razzo. La gigantesca macchina si sollevò, dapprima lentamente, poi sempre più velocemente, sospinta in alto dai suoi motori dalla forza spaventosa. Il razzo salì in cielo. Dopo cinque minuti si staccò il primo stadio che precipitò in mare. Presero a funzionare i motori del secondo stadio che avrebbero dovuto proiettare la navicella fuori dall’atmosfera. fin a quel momento tutto era andato liscio. All’improvviso però accadde qualcosa che nessuno si aspettava. Sugli schermi si vide un lampo accecante, poi si udì una forte esplosione, poi un’altra e poi una terza. La navicella col suo carico di uomini e strumenti si disintegrò.
***
4. A Roma, nella Cappella Sistina erano riuniti i Cardinali per l’elezione del nuovo Papa. Il conclave stava già durando da una settimana e le fumate nere si succedevano l’una dopo l’altra. Era evidente che i 120 grandi elettori venuti da tutto il mondo non riuscivano a mettersi d’accordo sul nome del successore del Papa deceduto. I giornalisti facevano congetture, qualcuno sosteneva d’avere delle informazioni secondo le quali i porporati più votati erano il tale ed il talaltro. I vaticanisti azzardavano previsioni sui nomi dei possibili favoriti.

Alle dodici di una domenica mattina finalmente uscì la tanto agognata fumata bianca: «Nuntio vobis Gaudium magnum: habemus Papam!»

Il nome pronunciato dal cardinale protodiacono non lo capì nessuno, ma tutti compresero che il nuovo Pontefice avrebbe assunto il nome di Celestino, come quello che fece il “gran rifiuto”.

Alcuni super esperti dissero che l’eletto era polacco, altri russo, altri cinese o vietnamita.

Tutti però si stupirono quando dal balcone del Palazzo Apostolico si affacciò un uomo nero.

Il nuovo Papa, infatti, veniva dall’Africa.

PIER LUIGI GIACOMONI

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