VIETATO BOCCIARE IN PRIMA MEDIA
(31 Ottobre 2018)
ROMA. Secondo il Consiglio di Stato, la massima istanza giudiziaria relativa al diritto amministrativo, non è giuridicamente possibile bocciare in prima media.
O meglio, non si può bocciare un alunno per cattivo rendimento scolastico, neanche se ha sette insufficienze, di cui una grave.
Nella sostanza è quanto sentenziato dalla suprema corte amministrativa lo scorso 24 ottobre con un’ordinanza cautelare, emanata dalla sua Sesta Sezione.
L’Ordinanza n. 5169 del 24 ottobre 2018 enuclea in seguente principio:
«l’ammissione alla classe successiva nella scuola secondaria di primo grado in base agli artt. 1 e 6 del D.lgs. 13 aprile 2017 n. 62 ed alla circolare n. 1865 del 10.10.2017 deve fondarsi su un giudizio che faccia riferimento unitario e complessivo a periodi più ampi rispetto al singolo anno scolastico, e ciò “anche nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline.
Pertanto l’alunno viene ammesso alla classe successiva anche se in sede di scrutinio finale viene attribuita una valutazione con voto inferiore a 6/10 in una o più discipline da riportare sul documento di valutazione” (così la circolare citata a pag. 3 ultimo capoverso.»
In primo grado il TAR dell’Emilia-Romagna, sezione di parma, aveva invece ritenuto che la motivazione espressa in ordine alla non idoneità attitudinale del ragazzo e alla necessità che non fosse ammesso alla frequentazione della classe successiva fosse congrua e non illogica, in relazione alle evidenze emerse e al quadro normativo di riferimento. E ciò considerando «che l’alunno non ammesso alla frequentazione della seconda classe ha riportato – unico della sua classe – sette insufficienze, di cui una grave.»
Poiché la sentenza del consiglio di Stato è “cautelare”, cioè occorre attendere l’effettiva celebrazione del processo vero e proprio, sarà interessante vedere se poi l’alta corte di diritto amministrativo italiano confermerà il verdetto ora adottato.
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Qualche considerazione. Ho lavorato trent’anni nella scuola media e so con quanta trepidazionei consigli di classe in sede di scrutinio finale arrivano a prendere le loro decisioni. Quando giungono a decretare la non ammissione d’un alunno non lo fanno con gioia e nemmeno con spirito di vendetta, ma perché tutti i tentativi e tutte le strategie messe in atto dai docenti per portare un gruppo classe a frequentare l’anno successivo senza amputazioni sono andate a vuoto.
Mi pare incongruo per un’istanza giudiziaria disquisire se un gruppo di docenti ha preso correttamente una decisione o se sia meglio bocciare un alunno in prima o in seconda media: credo che un TAR o un consiglio di stato debbano sincerarsi se tutti gli atti previsti dalla legge e dalle circolari ministeriali sono stati rispettati e se non son stati commessi abusi.
Credo, inoltre che mandare all’istituzione scolastica il messaggio che i suoi giudizi non sono corretti, non in ordine alla forma, ma in relazione alla didattica, che è competenza specifica degl’insengnanti, sia un’ulteriore gravissimo attacco all’autorevolezza dei docenti già peraltro oggetto di ripetuti assalti, anche violenti da parte di genitori, alunni ed opinione pubblica.
si vuole una scuola che promuova comunque e sempre? Si vuole una scuola totalmente dequalificata che produce diplomi e giudica tutti idonei indipendentemente dall’impegno dei singoli sia sul fronte docente che su quello dell’apprendimento, nella convinzione, magari, di calmare l’ansia sociale che si genera dall’incapacità di molti giovani di sapersi inserire nel mondo del lavoro perché poco o malpreparati, anche per proprie responsabilità?
La scuola ha molte colpe,ma anche molti meriti: sentenze come queste però demotivano gl’insegnanti ed anche gli studenti bravi e meritevoli che soffrono nel vedere che uno che non s’impegna, non studia, delinque, rende difficoltose le lezioni, ostacola qualunque attività didattica, va comunque avanti, magari grazie alla sentenza d’un consiglio di Stato che nulla sa della vita scolastica e della fatica dell’insegnare e dell’apprendere.
PIER LUIGI GIACOMONI