VENEZUELA CONVALIDATE LE FIRME PER REFERENDUM REVOCATORIO DEL PRESIDENTE
(8 Giugno 2016)
CARACAS. Convalidate 1,3 milioni di firme su 2 milioni poste in calce alla richiesta d’un referendum revocatorio del Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela Nicolás Maduro.
Lo ha fatto sapere il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE), organo dipendente dallo stesso presidente della Repubblica, che solo pochi giorni fa aveva denunciato “brogli e errori”, lasciando intendere che non avrebbe avallato la richiesta d’un referendum anti-Maduro.
E’ stato però lo stesso Capo dello Stato a dar il via all’operazione referendum dichiarando: “Se le firme sono state raccolte, andremo al referendum”.
In base alla legge vigente, il numero di firme valide supera di dieci volte il limite richiesto, perciò ora la votazione è sicura, anche se non si sa quando si svolgerà.
A raccogliere le firme per la revoca del Capo dello Stato, succeduto nel 2014 ad Hugo Chávez Frías, sono stati i partiti di opposizione, raggruppati nella MUD (Mesa de la Unidad Democrática), una coalizione d’una ventina di aggregazioni politiche di diverso orientamento ideologico.
Oggi, la MUD controlla il Parlamento unicamerale di Caracas con 109 seggi su 167, dopo la vittoria conseguita alle legislative del dicembre 2015.
Soddisfazione per la convalida delle firme è stata espressa dalle opposizioni: l’incapacità di Maduro di diversificare l’economia tenendola legata alla produzione di petrolio si è tradotta in un disastro per le casse del Venezuela: oggi nel Paese sudamericano, potenzialmente ricchissimo, ma che ha basato il proprio sviluppo economico unicamente sui proventi ricavati dall’esportazione di petrolio, i dipendenti pubblici sono costretti a lavorare tre giorni alla settimana, la corrente elettrica è razionata, le scuole sono aperte quattro giorni alla settimana e l’inflazione è al 700%.
L’accusa rivolta a Maduro è di non aver saputo governare l’attuale difficile momento economico e di aver accentuato la natura autoritaria del suo regime.
Recentemente, ad esempio, il presidente ha decretato il sequestro delle industrie ferme perché contestavano la politica governativa: “Nell’ambito di questo decreto in vigore – aveva spiegato Maduro – prendiamo tutte le misure per recuperare l’apparato produttivo paralizzato dalla borghesia. Chiunque voglia fermare la produzione per sabotare il paese dovrà andarsene e chi non lo fa va ammanettato e inviato alla PGV (Prigione generale del Venezuela)”. “Fabbrica ferma, fabbrica restituita al popolo!”.
A quasi vent’anni dall’avvento al potere del regime bolivariano, va riconosciuto che ha cercato di redistribuire il reddito ricavato dalla vendita delle materie prime di cui il Venezuela è più che fornito in modo da sollevare dalla povertà vasti strati della popolazione, prima completamente esclusi dal flusso di denaro; sono stati promossi progetti di riqualificazione delle baraccopoli; è stato ricostruito un sistema sanitario che consente anche ai diseredati di curare malattie di base precedentemente quasi inguaribili, riducendo, ad esempio, tassi di mortalità infantile molto elevati.
Tuttavia, soprattutto dopo la morte di Hugo Chávez (2014) si sono accentuate le pulsioni autoritarie del regime ed alcune scelte in economia sono risultate inadeguate al calo del prezzo internazionale delle materie prime, quindi, alla riduzione del reddito ricavato dall’esportazione di petrolio e ferro.
Quale che sia l’esito del referendum di prossima convocazione c’è da augurarsi che la crisi che sta investendo il Venezuela non riporti la condizione della povera gente a prima del 1999, ma che il prezzo della crisi sia equamente ripartito tra tutti i ceti in uno spirito di giustizia sociale.
PIER LUIGI GIACOMONI