UNGHERIA. ORBAN PER SEMPRE (27 Aprile 2018)
BUDAPEST. Viktor Orbán, 54 anni, ha vinto di nuovo ed ora rimarrà alla testa dell’Ungheria per altri quattro anni: secondo i dati definitivi delle elezioni legislative svoltesi lo scorso 8 Aprile, Fidesz, l’alleanza che unisce l’Unione Civica ed il Partito Popolare Cristiano Democratico, ha conseguito il 48,6% dei voti ed avrà nellanuova Camera 133 dei 199 seggi.
Seguono Jobbik (estrema destra) col 19,5% (26 seggi), il Partito Socialista in coalizione coi verdi di Dialogo per l’Ungheria, col 12,3% (20 seggi), la lista “La politica dev’esser diversa” col 6,9% (8 seggi) e la coalizione democratica col 5,6% (9 seggi).
Alcuni sondaggi demoscopici della vigilia avevano previsto il successo di Fidesz, ma allo stesso tempo avevano preannunciato un calo di consensi.
I risultati non hanno sorpreso né l’opinione pubblica ungherese né la stampa internazionale che avevano previsto la riconferma di Orbán, tuttavia non erano mancati segnali di un aumento del malcontento sia contro la politica autoritaria del leader, sia per l’emergere di casi di corruzione riconducibili al suo entourage.
Tale malcontento si era espresso nelle recenti elezioni amministrative nella località di Hódmezovásárhely, tradizionale roccaforte di Fidesz, alimentando le speranze di chi vorrebbe un’Ungheria diversa. Ma l’ampio schieramento creatosi in quell’occasione con liberali e centro-sinistra a contrastare, insieme alla destra di Jobbik, il candidato del partito di governo non è facilmente riproponibile a livello nazionale. Ed infatti le divisioni in seno alle varie opposizioni e le rivalità tra le leadership hanno favorito Fidesz che potrà contare nella nuova assemblea su una maggioranza di due terzi, cosa che permetterà d’emendare ulteriormente la Costituzione se Orbán lo riterrà necessario.
Per intanto, come ha indicato nelle ore successive alla pubblicazione dei risultati elettorali un portavoce di Fidesz, già in maggio, dopo l’insediamento, «il nuovo Parlamento comincerà a lavorare, nell’interesse del Paese, alla legge stop-Soros.» Il provvedimento è parte della campagna del premier contro il finanziere e filantropo Usa d’origine ungherese, George Soros, accusato di essere l’architetto di un “grande piano” segreto per favorire l’arrivo in Ungheria e in Europa di milioni di islamici. Se fosse approvata, la legge imporrebbe una tassa del 25% sulle donazioni straniere alle Ong presenti in Ungheria favorevoli all’immigrazione. La loro attività dovrebbe essere autorizzata dal ministro dell’Interno, che potrebbe dichiararle fuorilegge se ritenute un «rischio per la sicurezza nazionale.»
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La ricetta di Orbán. Viktor Orbán ha costruito il proprio successo politico su una linea che coniuga nazionalismo, populismo, dirigismo, isolazionismo in un mix che per il momento ha garantito all’Ungheria un certo successo in
economia. Il leader di Budapest, poi, all’inizio isolato nel contesto europeo oggi trova molto ascolto nel complesso delle forze populiste ed antieuropee che hanno guadagnato parecchio terreno anche in altri Paesi: non solo nell’Europa orientale, ma anche in quella occidentale. In più, insieme agli altri membri del gruppo di visegrád (Cechia, Polonia e Slovacchia) è in grado d’opporre un’agenda diversa da quella coniata a Bruxelles.
Da tre anni a questa parte, ad esempio, il V4, già impegnato in frequenti scontri con l’Unione europea, batte sul problema dei migranti e della necessità di difendere i confini nazionali e quelli di Schengen. Da allora, il Gruppo ha trovato un nuovo slancio e convergenza sul rifiuto dei ricollocamenti.
Il V4 sostiene il principio secondo il quale ognuno è padrone in casa propria e la decisione di ospitare migranti spetta al singolo Paese, non all’Ue. Gli stessi oppongono un modello europeo delle specificità e delle sovranità nazionali inviolabili a quello “federalista” Ue, attaccato da Orbán e destinato, secondo il premier ungherese a fallire miseramente e definitivamente.
Una tipologia di Europa concorrente a quella attuale viene quindi proposta dal V4: particolarmente attivi nella critica, all’interno del club dell’Europa centro-orientale, sono Budapest e Varsavia, i cui attuali governi di destra hanno preso provvedimenti interni tali da suscitare le reazioni di Bruxelles.
La politica antimigratoria condiziona anche gli altri settori dell’azione governativa di Budapest: innanzitutto Fidesz controlla la maggior parte dei mezzi di comunicazione ed informazione come giornali, radio, tv e siti web. Attraverso essi viene condotta una campagna ossessiva volta a convincere l’opiione pubblica che l’Ungheria è esposta a numerose minacce, come quella dell’invasione islamica che snaturerebbe le “radici cristiane” della società magiara. Inoltre per Orbán e i suoi ministri il modo migliore per evitare attentati terroristici come quelli che han seminato morte a Parigi, Nizza e Berlino, è quello di sbarrare le porte ai profughi provenienti dal Medio Oriente.
Budapest poi insiste che è necessario difendersi dalle continue minacce provenienti dall’esterno, come le intromissioni di diversi organismi internazionali e la distinzione ammonitrice tra chi è patriota e chi invece coltiva sentimenti antiungheresi e appoggia gli avversari di Orbán.
Quest’ultimo continua ad avere i suoi sostenitori, magari non pochi, che vedono in lui l’uomo forte capace di difendere gli interessi nazionali. Ma la retorica del premier nei discorsi pubblici non cambia, è sempre la stessa, ed è incentrata sul pericolo dei migranti e sulla lotta da ingaggiare per difendere un paese che vuole prendere in mano le redini del suo destino.
A parte le entrate a gamba tesa, i termini del confronto-scontro fra le parti vedono da una parte il già citato appello del governo alla difesa della patria e dall’altra l’opposizione liberale e di centro-sinistra invitare gli elettori a scegliere tra autoritarismo e democrazia: tra un esecutivo che si è avvicinato troppo pericolosamente a Putin e un’opposizione che si ispira ai valori europei e che ha a cuore lo sviluppo democratico del Paese. Anche quest’opposizione, però, tocca il tasto del patriottismo. Lo fa soprattutto dal 2014, e l’argomento cui fa ricorso è quello per cui il vero ungherese, amante della patria, è colui il quale vuole liberare il Paese da un sistema dirigista, teso a controllare in modo sempre più capillare i principali settori della vita pubblica.
Il “vero magiaro”, dicono i critici di orbán, è chi vuole che Budapest sia vicina a Bruxelles e non a Mosca.
Sul governo, poi, piove l’accusa di aver dato luogo a un sistema di clientele, corrotto e volto a privilegiare figure e ambienti ad esso riconducibili. Al coro si aggiunge anche Jobbik, che accusa l’esecutivo di aver sempre mentito agli elettori e di non aver mai restituito l’Ungheria agli ungheresi. Nato come partito di estrema destra, Jobbik gioca oggi la carta della rispettabilità e vuol farsi percepire come forza politica sì conservatrice e impegnata sul fronte della difesa degli interessi nazionali, ma al tempo stesso moderata. Cerca in questo modo di ampliare il consenso e di segnalarsi come unico partito in grado di rinnovare politicamente ed eticamente il Paese.
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L’Europa deve affrontare Orbán.
Se tutto questo è vero è probabilmente venuto il momento nel quale l’europa deve parlar chiaro ad Orbán per due motivi fondamentali:
1. L’affermazione di Fidesz alle recenti elezioni legislative magiare è interpretata come un deciso
incoraggiamento ai partiti populisti europei;
2. rappresenta, inoltre, un serio avvertimento per Bruxelles.
In primo luogo, la riconferma di Orbán mantiene in piedi l’alleanza di ferro col governo di destra al potere a Varsavia ed ha incoraggiato le speranze di altri movimenti simili come il Fronte Nazionale francese, Alternativa per la Germania o la Lega in Italia.
«La sfida all’Unione europea – scrive Le Monde – i cui valori sono
apertamente rimessi in discussione dal governo
ungherese, è dunque evidente. Finora Bruxelles
ha attaccato Varsavia ma ha risparmiato Budapest,
per due motivi: l’Ungheria (9,8 milioni di
abitanti) conta meno della Polonia (38 milioni), e
soprattutto Fidesz fa parte del Partito popolare
europeo (Ppe), come la Cdu di Angela Merkel. È
giunto il momento che il Ppe condanni apertamente
la deriva xenofoba e autoritaria della sua
componente ungherese. Orbán usa Bruxelles
come capro espiatorio a Budapest, ma rientra
nei ranghi quando incontra gli alleati a Bruxelles.
L’opinione pubblica ungherese lo sostiene,
ma è anche in gran parte favorevole all’Unione
europea, consapevole dei vantaggi che ofre. Dato
che Orbán non vuole lasciare l’Europa, tocca
a quest’ultima ricordargli con fermezza quali
sono i requisiti politici per farne parte.»
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Un Paese “punito dalla storia”. Secondo Anton Pelinka, uno dei massimi esperti europei di nazionalismo, tra le motivazioni che giustificano la riconferma in carica di Orbán e la valanga di voti ottenuuta dal suo partito vi è «la specifica narrazione vittimistica ungherese, la convinzione profonda che il Paese sia sempre stato punito dalla
Storia, tradito dagli altri, fossero i sovietici, gli americani, gli europei. L’auto percezione del popolo è che l’Ungheria sia sempre stata oggetto di cospirazioni dirette contro di lei. Orbán con i toni apocalittici della sua campagna ha puntato tutto su queste emozioni, solleticando paure e risentimenti.
Giunto all’apice del successo, potrebbe ammorbidirsi e diventare più moderato. Ma ne dubito. Oppure, sentendosi giustificato da questo successo, continuerà la battaglia per silenziare i suoi nemici all’interno e combattere l’integrazione Ue all’esterno.
Ha molti alleati, in Polonia, in Austria, nel gruppo di Visegrad, nella Csu bavarese, in alcuni Paesi nordici, in Italia specie dopo le elezioni. C’è un fronte vasto e oggettivo, anche se non ancora strutturato, di forze nazionaliste decise a fermare l’integrazione.»
E’ questa, commentiamo noi, la sfida che attende l’Unione europea e quanti credono che tornare all’epoca delle “piccole patrie” sia una regressione. Questa narrazione vittimistica ha trovato posto anche nella recente campagna elettorale italiana ed è stata abilmente sfruttata da diversi leader a fini elettoralistici. L’Europa e gli europeisti devono comprendere che ora la minaccia è seria e si devon trovare tutti i mezzi possibili per sconfiggere i nazionalismi che poi non di rado scadono nell’antisemitismo come ha fatto di recente il Premier ungherese allo scopo di vellicare una parte della propria opinione pubblica.
PIER LUIGI GIACOMONI