TRASFORMISMO, UNA PRATICA SISTEMATICA DI GOVERNO IN ITALIA
(23 Gennaio 2021)
ROMA. “Trasformismo” è una parola che da 150 anni fa parte del lessico politico italiano. Quando venne coniata era, come vedremo, la pratica d’aggregare elementi provenienti dall’opposizione alla maggioranza governativa; oggi è un insulto che le diverse forze politiche si scagliano l’un l’altra quando qualche parlamentare passa da uno schieramento all’altro.
Ovviamente chi accusa sostiene che gli altri han promesso al transfuga un avanzamento di carriera o qualche altra prebenda.
Il termine fu coniato negli anni Settanta del XIX secolo, dopo l’avvento al potere della Sinistra Storica e fu motivato da Agostino Depretis con queste parole: «Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?»
(Agostino Depretis, discorso tenuto a Stradella, 8 ottobre 1882).
In realtà, già Camillo Benso di Cavour nel 1852 aveva concluso un patto, noto col nome di “connubio”, con Urbano Rattazzi, leader della sinistra, per scalzare D’Azeglio dal potere e sostituirlo: Cavour divenne Premier e Rattazzi capo della Camera subalpina.
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DALLA RIVOLUZIONE PARLAMENTARE AL FASCISMO.
Compiuto il Risorgimento con la proclamazione del Regno d’Italia (1861), per i primi 15 anni, il potere è detenuto dalla Destra storica: il gruppo politico che si richiama idealmente a Cavour: tra gli obiettivi dei Ministeri di quell’epoca vi è l’unificazione del Paese ed il raggiungimento del pareggio del bilancio.
Nel marzo 1876, Marco Minghetti, Presidente del consiglio in carica, può annunciare che il pareggio è stato finalmente raggiunto, ma la gioia è di breve durata. Allorché il governo propone di nazionalizzare le ferrovie la Camera gli volta le spalle.
Conseguenza: il Ministero cade e la Destra storica esce di scena. Re Vittorio Emanuele II chiama alla Presidenza del Consiglio Depretis, leader della Sinistra Storica che il 25 marzo s’insedia alla guida d’un governo dotato d’una fragile maggioranza.
E’ la cosiddetta “rivoluzione parlamentare”: «L’avvento della Sinistra al potere – scrive Denis Mack Smith[1] – fu un sintomo salutare che il parlamentarismo stava mettendo radici. Tecnicamente, in base allo Statuto del 1848, non v’era obbligo alcuno per i governi di considerarsi responsabili nei confronti delle camere, ma il re riconobbe abilmente i vantaggi di un ampliamento della base della classe politica. Egli assicurò privatamente il suo “entourage” che avrebbe continuato a tenere personalmente con una mano le redini e che pertanto non avevano nulla da temere da Depretis al potere.
Il centro di gravità dello Stato si spostò così lievemente. Alcuni dei radicali più rumorosi, come Nicotera e Crispi, furono finalmente inseriti nel gruppo degli uomini di governo, e il Mezzogiorno in particolare ottenne una più larga rappresentanza nel ministero. Alcuni importanti gruppi sezionali cominciarono a difendere il nuovo ordine di cose anziché isterilirsi in un’opposizione faziosa e fu aperta la via alle legittime ambizioni dei più giovani. La maggior parte dei membri del nuovo gabinetto non erano mai stati ministri prima d’allora e il sistema di ripartire le spoglie fra i vincitori condusse molta gente nuova a ricoprire uffici minori. Con Agostino Depretis come presidente del Consiglio c’era ben scarso pericolo che si formasse un’altra «consorteria», in quanto egli, lungi dal nutrire rigide pregiudiziali, andò all’estremo opposto di promuovere con eccessiva facilità la fusione fra gruppi e interessi di ogni sorta. La Sinistra si rivelò subito ancora più della Destra un partito politico privo di una composizione stabile e di una linea precisa.
Tra i molti uomini di valore che giunsero al potere con Depretis vi erano Zanardelli al ministero dei Lavori Pubblici, il giurista napoletano Mancini a quello della Giustizia, il professor Coppino alla Pubblica Istruzione e l’ingegnere navale Benedetto Brin alla Marina. Personalmente, Depretis era uno dei politici più degni di rispetto della storia dell’Italia moderna. Continuò anche da presidente del Consiglio a vivere in un appartamento all’ultimo piano per giungere al quale bisognava fare centoventi gradini a piedi. Al contrario dei dottrinari e degli ideologi, egli fu sempre ragionevole e pratico, affrontando ogni problema con calma, dominio di sé e cautela. L’esperienza amministrativa acquistata come funzionario in vari rami dell’amministrazione gli aveva insegnato molto. Non era un grande uomo […] ma era abile nelle manovre politiche, ricco di espedienti e sempre moderato quanto bastava a non provocare grossi guai. La sua abitudine di aggirare i problemi piuttosto che affrontarli direttamente era un pregio, ma anche una debolezza. Non aveva che poche opinioni proprie veramente sentite e chiunque uscisse da una conversazione con lui si portava l’impressione di averlo dalla propria parte. Come ebbe a scrivere di lui Pareto:
“Spirito scettico, incurante di princìpi e di convinzioni, con pochi scrupoli per la verità… pronto a seguire tutte le vie che gli assicurassero la maggioranza, salvo a mutar completamente rotta non appena il vento mutava direzione, egli esercitò durante gli ultimi anni della sua vita la dittatura più assoluta che sia possibile in uno Stato a regime parlamentare”.»
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LA PRASSI DI GOVERNO DI DEPRETIS E DEI SUOI SUCCESSORI.
Salito al potere il Premier,che deve il suo successo ad una scissione interna alla Destra, propone l’abbandono definitivo del progetto di statalizzazione delle ferrovie: l’ala più radicale della sinistra ritira l’appoggio al Governo. Depretis convoca le elezioni generali, che si tengono il 5 novembre di quell’anno e torna alla Camera con una maggioranza amplissima. Per assicurarsi la vittoria alle urne non esita a truccare il voto generando ovunque scandalo.
Negli anni seguenti, come han fatto i suoi predecessori e chi gli succederà, quando s’accorge che nella maggioranza sorgono problemi, presenta le dimissioni a Sua Maestà, si ritira per qualche tempo, finché il Re è costretto a richiamarlo in carica. Così per anni esercita un forte potere su un parlamento dove veri e propri partiti non esistono e dove è facile convincere, in cambio d’una carica o d’una clientela, qualche deputato a passar dalla parte del Ministero.
Nel 1886, per esempio, offre a Francesco Crispi, suo avversario e fin lì Presidente della Camera, la carica di Ministro dell’Interno: questi accetta e quando Depretis muore, lo sostituisce alla Presidenza del Consiglio.
La pratica del trasformismo caratterizza tutto il periodo prefascista con effetti macroscopici come gli scandali che si verificano con grande frequenza – come quello della Banca Romana (1893) che travolge il primo Ministero Giolitti – o la pratica di truccare le elezioni.
Lo stesso Giolitti, capo del governo a più riprese tra il 1903 ed il ’14 è definito dallo storico Gaetano salvemini “ministro della malavita” perché durante le campagne elettorali si rivolge a mazzieri affinché, soprattutto nel Mezzogiorno, impediscano con le buone o le cattive a candidati o elettori avversi al governo di proporsi per la Camera o presentarsi ai seggi.
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ANALISI DEL FENOMENO.
Molti intellettuali italiani hanno commentato il “trasformismo”: per Benedetto Croce esso è fisiologico per l’evoluzione del parlamentarismo moderno; considerando la mancanza di schieramenti politici o propriamente riformatori o propriamente conservatori, per lo storico l’avvicinarsi di alcuni membri della Destra attorno al polo di Sinistra è il sintomo evidente che il processo parlamentare italiano si sta sviluppando correttamente.
Croce puntualizza, inoltre, che avvicinare elementi della Destra alla Sinistra non ha necessariamente un valore moralmente deplorevole, bensì una dimostrazione di pragmatismo: attraverso la pratica del trasformarsi, fu possibile trovare convergenze comuni in merito a singole questioni che difficilmente sarebbe stato possibile risolvere senza un accordo tra le diverse forze in campo.
Antonio Gramsci, invece, sostiene che il trasformismo svuota di significato lo scontro e le istanze ideologiche alla base dei diversi movimenti politici.
Ad esempio, il primo Ministero Depretis all’inizio è temuto dall’establishment perché teme che stia andando al potere un gruppo dirigente radicale, quasi rivoluzionario: con la pratica del trasformismo, però, molte delle istanze di cambiamento propugnate dalla Sinistra, quand’era all’opposizione, diventano vuote trovate retoriche prive di vero significato.
«Nonostante – conclude – alcune azioni riformatrici della Sinistra come ad esempio l’allargamento del suffragio e la riforma dell’istruzione, di fatto il trasformismo di Depretis immobilizzò lo scontro politico italiano e lo scambio dialettico divenne sempre più una sorta di scambio di favori e clientele fra le diverse parti del Grande Centro. Fulcro di questi scambi era sempre il capo del governo, che provvedeva a mediare e armonizzare le parti, a scapito di una più chiara e trasparente vita politica.»
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L’ETA’ REPUBBLICANA
LA PRIMA REPUBBLICA (1946-1994).
Col risorgere della democrazia, dopo il Ventennio fascista, ricompaiono i partiti: la Costituzione del 1948 prescrive all’art. 67 che «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita
le sue funzioni senza vincolo di mandato», cioè, può agire indipendentemente dal partito che l’ha candidato.
Questa norma produrrà, come vedremo più oltre, effetti devastanti sulla stabilità governativa, perché, data la natura parlamentare della Repubblica italiana, i governi per mantenersi in piedi, devono poter contare sull’appoggio il più possibile disciplinato della maggioranza di Deputati e Senatori.
In teoria, i partiti presenti in parlamento sono forze organizzate e coese, ma in realtà al loro interno agiscono delle correnti che sono come dei partiti dentro i partiti.
Così, ad esempio, nella Democrazia Cristiana, scrive Mack Smith[2] «un certo numero di notabili appartenenti allo stesso partito, ciascuno con il proprio gruppo di seguaci, cercava di escogitare una sfumatura politica o tattica che li distinguesse dai rivali e gli permettesse la creazione di una nuova maggioranza. […] Ciascuna corrente […] aveva il proprio ufficio centrale, le proprie fonti di finanziamento e la propria agenzia di stampa; ma ciò che manteneva salda la sua identità non erano tanto gli obbiettivi ideologici, quanto la distribuzione di posti e la competizione per le lucrose leve del potere clientelare all’interno della macchina amministrativa.»
Lo stesso avviene in altre forze politiche in modo più o meno esplicito: di conseguenza, i governi durano poco e le crisi sono frequenti.
In 75 anni di storia l’Italia repubblicana ha avuto oltre 70 Ministeri e 29 Primi Ministri: quasi mai i cambi di governo avvengono per opera delle opposizioni, più spesso si verificano per l’insorgere di conflitti intestini alle coalizioni, talvolta anche molto numericamente ampie, che sorreggono gli esecutivi.
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QUALCHE ESEMPIO DI TRASFORMISMO NOVECENTESCO.
Due clamorosi episodi di vero e proprio trasformismo accadono verso la fine degli anni 50: uno in Sicilia, l’altro a Roma.
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IL MILAZZISMO.
A Palermo, il 30 ottobre 1958 l’Assemblea Regionale siciliana è convocata per eleggere il nuovo Presidente del governo. I vertici nazionali della DC hanno indicato Giuseppe La Loggia, come candidato ufficiale del partito alla carica, ma nel segreto dell’urna spunta il nome di silvio Milazzo.
Questi, nel 1955, è già stato eletto presidente della Regione, ma in quell’occasione rifiuta l’incarico perché non è l’uomo prescelto dalla DC, forza politica dominante in Sicilia fin dal sorgere della Regione autonoma (1947).
Nel ’58, invece, a sorpresa accetta e ancora più sorprendentemente forma un governo che gode l’appoggio di diversi partiti tra cui il PCI (sinistra) e L’MSI (destra): Milazzo, infatti, è avversario del segretario nazionale della DC Amintore Fanfani, che in quel momento è anche Premier, che ha imposto al partito una linea centralista, mentre egli preferirebbe una condotta più autonomistica. Il nuovo presidente della Regione è quindi il frutto d’un conflitto che agita le correnti DC E che vedono il Capo dello stato giovanni Gronchi in dissidio col Presidente del consiglio.
Nel nuovo Governo regionale entrano rappresentanti della DC, del PCI, del MSI e di forze minori: comunisti e missini si son alleati insieme, dicono i loro leader locali «in nome dei superiori interessi dei siciliani».
Milazzo è immediatamente espulso dalla DC, per cui forma un nuovo partito che si presenterà alle successive elezioni regionali del giugno ’59, ottenendo 10 seggi su 90. Si tratta dell’Unione Siciliana Cristiano Sociale (USCS). Rieletto presidente il 12 agosto ’59 sarà costretto a dimettersi nel febbraio 1960, allorché maggiorenti della DC convincono Benedetto Majorana della Nicchiara dell’USCS a candidarsi alla Presidenza della Regione al posto di Milazzo, a capo d’una giunta composta da DC, PLI e monarchici, con l’appoggio esterno dell’MSI.
Milazzo nel ’62 si dimette dall’ARS e nel ’63 si presenta alle elezioni politiche nazionali con una propria lista, benché raccolga moltissime preferenze personali, non riesce ad entrare alla Camera: si estingue così il “Milazzismo”, un fenomeno politico tutto sommato effimero di cui si conserva ancora memoria e che si ripresenterà, sotto altre vesti, in epoche più vicine alla nostra.
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IL GOVERNO TAMBRONI.
Nelle settimane in cui in Sicilia cade il secondo governo Milazzo, è in corso a Roma una complessa vicenda politica che vede di nuovo di fronte le diverse correnti democristiane.
il 24 febbraio 1960 si dimette il secondo governo Segni. Dopo un mese di trattative, il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi il 25 marzo nomina Premier Ferdinando Tambroni. Questi costituisce un gabinetto monocolore che l’8 aprile ottiene la fiducia della Camera con 300 sì e 297 no. Oltre ai democristiani, votano anche la fiducia i Missini.
Diversi Ministri della Sinistra DC si dimettono e lo stesso Tambroni rassegna il mandato l’11, ma giovanni Gronchi, che aspira ad una trasformazione in senso presidenziale della Repubblica, come avvenuto in Francia nel 1958, ripropone tambroni e lo costringe a presentarsi al Senato per la fiducia. A fine aprile, palazzo Madama la concede, ma presto il governo dovrà far fronte a violente dimostrazioni di piazza che costeranno la vita a parecchi giovani a Genova, Reggio emilia e Palermo.
Tambroni lascia la carica a fine luglio, Fanfani è di nuovo chiamato a Palazzo Chigi, il conflitto tra le correnti democristiane prosegue ancora per anni tra quanti vorrebbero incorporare nell’area di governo i socialisti e quanti invece osteggiano quest’opzione.
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LA SECONDA REPUBBLICA (1994-2021).
Nella cosiddetta “seconda Repubblica” il trasformismo ridiviene pratica quotidiana di governo. già dopo le elezioni generali del marzo 1994 il nuovo Governo del Polo delle Libertà capeggiato da Silvio Berlusconi fa apertamente campagna acquisti soprattutto al Senato. Per effetto della nuova legge elettorale fortemente maggioritaria l’esecutivo ha una maggioranza risicata alla camera alta: così, si cercano e si trovano senatori disposti a passare da uno schieramento all’altro, venendo adeguatamente ricompensati.
anche le coalizioni che si succedono dopo il ’94 proseguono nella medesima pratica tant’è vero che i passaggi di deputati e senatori da una parte all’altra dell’emiciclo divengon pratica quotidiana, con risvolti a volte comici, a volte drammatici.
Nel 1998, il primo governo Prodi cade alla Camera per 313 voti contro 312 perché un deputato, aderente al centro-sinistra passa al Centro-destra.
Nel 2007 si scopre che un senatore riceve denaro per ritirare il proprio appoggio al secondo Ministero prodi, mentre nel 2010 i “responsabili” salvano il quarto governo Berlusconi dopo che questi ha perso l’appoggio di Gianfranco Fini.
Oggi, che sono praticamente scomparsi i partiti ideologici che hanno caratterizzato la storia politica italiana nella seconda metà del XX secolo, sembra un po’ d’esser tornati alla situazione dell’Ottocento: in Parlamento i cambi di casacca partitica sono all’ordine del giorno (solo nella XVII Legislatura ve ne sono stati oltre 500 tra Camera e Senato) ed il gruppo misto è suddiviso in un’infinità di componenti che nascono e si sciolgono con estrema facilità: a mano a mano che la XVIII Legislatura si avvicinerà alla fine è facile prevedere che vi saranno altri sommovimenti alla ricerca d’un luogo politico dove esser ricandidati per il XX Parlamento repubblicano che, tra l’altro sarà di dimensioni più ridotte.
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Si può allora concludere che il “trasformismo”, praticato già da Cavour nel 1852, è ormai una pratica sistematica di governo in Italia, magari di corto respiro, utile tuttavia a tener in piedi esecutivi che rischierebbero di cadere.
Difficilmente questa prassi sarà abbandonata perché tutti, anche se pubblicamente la deplorano, in privato ne godono o ne hanno goduto i benefici.
PIER LUIGI GIACOMONI
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NOTE:
[1] D. MACK SMITH: STORIA D’ITALIA DAL 1861 AL 1997, VOL. I, ED. LATERZA, ROMA-BARI, 1997.
[2] Op. Cit., VOL. II.