TOGO. PROPRIETA’ PRIVATA GNASINGBE’
(9 Maggio 2020)
LOME’. Il Togo, divenuto indipendente il 27 aprile 1960, è dal 1967 una proprietà privata degli Gnasingbé, padre e figlio.
Il padre, al potere ininterrottamente per 38 anni, ha trasmesso al figlio, alla testa dello stato da tre lustri la proprietà di tutto ciò che si trova sul territorio del piccolo Stato dell’africa occidentale.
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L’EPOCA COLONIALE.
I primi Europei a raggiungere le coste del Togo sono molto probabilmente i portoghesi, nel XV secolo, seguiti da danesi, francesi ed inglesi. Gli Europei cominciano a commerciare con le popolazioni locali: in particolare è fiorente il mercato degli schiavi che vengono inviati nelle piantagioni americane.
Il popolo Mina è quello che stringe rapporti commerciali più importanti coi bianchi: comprano schiavi dai Kabyé e da altri popoli dell’entroterra e li rivendono agli Europei.
Fin al XVIII secolo, nessun paese europeo tenta d’occupare il Togo, perché tutti preferiscono rimanere sulla costa del golfo di Guinea: la Danimarca è la prima a rivendicare il diritto al controllo della regione, ma nel 1884, il diplomatico tedesco Gustav Nachtigal stipula dei patti commerciali col Re Mlapa III (i cosiddetti trattati di Togoville), per cui il territorio passa nell’orbita di Berlino.
Questi eventi creano le condizioni per un rapporto tra le popolazioni togolesi e la Germania che sta costruendo un suo impero coloniale in Africa, comprendente anche il Camerun, nella stessa regione del Golfo.
L’operazione s’inserisce in un più ampio disegno che prevede che Berlino si conquisti in africa un “posto al sole”: accanto ai territori già nominati,divengono tedeschi il Tanganyika, il Ruanda ed il Burundi, nell’est del continente, nonché la Namibia nella regione australe.
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L’intera area togolese (ribattezzata Togoland) diviene successivamente protettorato (5 luglio 1884) e poi colonia tedesca: durante il trentennio di dominazione germanica (1884-1914) sono introdotte tecniche molto moderne per la coltivazione di cacao, caffè e cotone e vengono sviluppate le infrastrutture del Paese, fin a renderle tra le migliori nell’Africa del tempo. I coloni tedeschi però impongono alla popolazione locale un controllo quasi dispotico.
Il 26 Agosto 1914, nelle fasi iniziali del primo conflitto mondiale le esigue truppe germaniche che presidiano il Togoland capitolano di fronte all’attacco congiunto di britannici e francesi, che si spartiscono il territorio, in quella che è chiamata Campagna dell’Africa Occidentale.
La Società delle Nazioni il 26 luglio 1922 prende atto della situazione sul terreno e conferisce alle due potenze vincitrici il mandato per cogestire il Togo: quest’incarico sarà confermato nel 1946 dalle Nazioni Unite sotto forma di mandato fiduciario.
Durante il periodo coloniale, i Mina accrescono la loro influenza politica ed economica, grazie ai loro antichi legami con gli Europei ed anche perché vivono in prossimità della costa.
Gli Ewe, al contrario, si ritrovano divisi e indeboliti dalla spartizione del Togo fra britannici e francesi e da entrambi i lati del confine cominciano a premere per la loro riunificazione.
Le loro speranze svaniscono quando il Togoland britannico vota a favore dell’unificazione con la Costa d’Oro, successivamente ribattezzata Ghana, che sta per ottenere l’indipendenza da Londra (6 Marzo 1957).
Il Togo francese, invece, il 30 Agosto 1956 diviene una repubblica autonoma e quattro anni più tardi, ottiene la piena indipendenza dalla Francia: primo presidente della Repubblica è Sylvanus Olympio (1902 – 1963).
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SYLVANUS OLYMPIO.
L’uomo che proclama l’indipendenza del Togo è Sylvanus Epiphanio Olympio, Nato a Kpandu, nel futuro Togoland britannico, il 6 settembre 1902. La sua famiglia d’origine è una delle più ricche del Paese: egli stesso, dopo essersi laureato alla London School of Economics entra a lavorare alla Unilever e diventa nel 1929 general manager della United Africa Company’s, un’impresa di proprietà di questa multinazionale agroalimentare.
Nel 1942, il Togo cade sotto il controllo della Francia di Vichy e gli Olympio, che hanno relazioni col mondo anglosassone, sono accusati dalle autorità coloniali di collaborare con gli Inglesi: Olympio è arrestato e mandato in esilio a Djougou (Dahomey, oggi Benin) sotto stretta sorveglianza.
Gli anni della prigionia contribuiscono a mutare l’atteggiamento di Olympio nei confronti dei Francesi e lo convincono che è giunto il momento per chiedere con forza l’indipendenza del togo.
Terminata la guerra, sconfitti i collaborazionisti, Olympio è uno degli uomini più in vista del paese: nel 1946 fonda il Comitato per l’Unità Togolese (CUT) che rapidamente si trasforma da associazione culturale in partito.
Il CUT rivendica la riunificazione dei due territori che compongono il Togo, superando le frontiere coloniali: così Olympio si rivolge al Consiglio delle Nazioni Unite che gestisce i mandati fiduciari affinché il Paese diventi indipendente.
Allo stesso tempo si candida alle elezioni per l’assemblea territoriale e ne diviene presidente fino al ’51.
In quell’anno decide di boicottare le elezioni legislative e nel ’54 è arrestato: le autorità francesi lo condannano, togliendogli anche il diritto di votare ed esser eletto alle cariche pubbliche.
Tuttavia, la sua popolarità è grande: le Nazioni Unite invitano la Francia a concedere l’indipendenza al togo e Olympio è liberato dalle accuse e può presentarsi alle imminenti elezioni locali.
Il 27 aprile 1958 in Togo si vota ed il CUT ottiene una larga maggioranza in parlamento, Olympio assume la carica di Primo Ministro, nonché la guida di diversi dicasteri.
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Due anni più tardi l’indipendenza è realtà: nel 1961, col voto popolare giunge alla presidenza della Repubblica.
La nuova costituzione gli assegna ampi poteri: presto, come in altri Stati africani l’inclinazione autoritaria avrà il sopravvento sul rispetto delle regole democratiche. Tuttavia, Olympio non potrà esser mai accusato d’appropriazione indebita di beni dello Stato, né di megalomania: anzi vive austeramente nella propria abitazione privata, invece che nel palazzo presidenziale.
La sua politica estera è ispirata a collaborazione coi Paesi occidentali: riesce a stabilire anche buone relazioni con la Francia, che in precedenza l’ha avversato. Nel ’62 si reca in visita negli Stati Uniti dove incontra John Fitzgerald Kennedy, dimostrando, tra l’altro, di sapersi esprimere scorrevolmente tanto in francese, quanto in inglese.
Pessimi, invece, sono i rapporti col Ghana: Olympio sogna la riunificazione col togoland, la regione di cui è originario, ma il territorio è ormai perduto: il leader ghanese kwame Nkrumah propone di fondere i due stati, ma Lomé rifiuta. I due presidenti si accusano reciprocamente di complottare l’uno contro l’altro: Olympio, che in un primo momento non vuole creare un esercito, dà il via alla formazione di un pugno di militari (in tutto 216 effettivi).
Nel ’62 rientrano in patria i veterani togolesi che hanno servito nell’esercito francese: essi chiedono d’esser inclusi nelle nascenti forze armate nazionali, ma il presidente rifiuta.
Accusato da una crescente opposizione di autoritarismo, (il suo partito è divenuto nel frattempo virtualmente l’unico, sospettato di favorire soprattutto il Sud a scapito del Nord, criticato dai giovani del suo stesso partito per la dipendenza del Paese dagli aiuti francesi, Olympio è sempre più in difficoltà e finisce per usare la mano pesante contro gli avversari.
Nella notte del 13 gennaio 1963, 626 veterani insorgono, occupano i punti nevralgici della capitale ed arrestano quasi tutti i membri del governo: Olympio è ucciso e il suo corpo sarà ritrovato al mattino nei pressi dell’ambasciata americana di Lomé.
Il suo posto è preso dal suo antico rivale, Nicolas Grunitzky (1913 – 1969), fratello della moglie di Olympio: in maggio sarà eletto Presidente della Repubblica.
La vedova va esule nel vicino Dahomey e racconterà la sua versione dei fatti della tragica notte in cui suo marito perde la vita.
La notizia del colpo di Stato in Togo fa il giro del mondo, molte voci si alzano per condannarlo, ma nessuna vera inchiesta chiarirà mai completamente le circostanze degli eventi e le complicità che si nascondono dietro la superficie dei fatti.
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IL REGNO DI EYADEMA.
Quattro anni dopo, il 13 gennaio 1967, nuovo colpo di stato: Grunitzky è deposto dal colonnello Étienne Eyadéma (1935 – 2005), che controlla l’esercito, instaura un regime monopartitico e dà il via alla dinastia che tuttora domina il Paese.
Nato a Pya (Togo settentrionale), il 26 dicembre 1935 (alcune fonti parlano del’ 37, ma anche del ’30), di etnia Kabye da una famiglia di contadini, intraprende la carriera militare. Serve nell’esercito francese in Indocina, Dahomey, Niger, ed Algeria (1953-61), rientrando in patria nel 1962.
Nel ’63 partecipa al golpe, dichiarando successivamente d’aver personalmente sparato al Presidente Olympio perché l’aveva minacciato con una pistola.
Nicholas Grunitzky, nuovo leader del togo, ricompensa Eyadéma per l’aiuto prestato, nominandolo capo delle forze armate e promuovendolo colonnello (1965).
Il 13 Gennaio 1967, si presenta alla radio nazionale per comunicare al paese che le forze armate hanno pacificamente preso il potere: «con l’intenzione di non detenerlo a lungo».
In realtà, il 14 aprile successivo si autoproclama Presidente della Repubblica e Ministro per la difesa nazionale, cariche che deterrà ininterrottamente per 38 anni.
Tra i suoi primi passi, invita gli esuli politici a rientrare in patria e nel 1969 crea un nuovo partito il Rassemblement du Peuple Togolais (RPT) di cui diventa leader incontrastato.
Nel 1972 è rieletto plebiscitariamente alla presidenza, così come nel ’79 e nell’86.
Il suo lungo “regno” contribuisce a stabilizzare politicamente ed economicamente il Togo, ma i progressi economici registratisi negli anni Settanta, non proseguono negli Ottanta, a causa del crollo dei prezzi dei prodotti d’esportazione (caffè, cacao, cotone). In più, corruzione, nepotismo, malagestione fanno esplodere l’indebitamento del paese verso l’estero.
Eyadéma, comunque mantiene un saldo controllo del paese anche quando si decide di aprire le porte della scena politica al multipartitismo: nelle presidenziali del 1993 il generale è rieletto, anche perché ha impedito al suo più pericoloso rivale, Gilchrist Olympio, figlio del primo presidente del Togo di candidarsi: gli ostacoli e le scarse garanzie di un’equa contesa elettorale convincono Olympio a boicottare il voto.
Nel 1998, rischia di perder il potere: ufficialmente ottiene il 52,1% dei voti, mentre Olympio si proclama vero vincitore della contesa, denunciando pesanti brogli.
Nel 2003, è rieletto per l’ultima volta (in precedenza il Parlamento ha modificato la costituzione per consentirgli di ricandidarsi): Olympio non può presentarsi, perché la Commissione elettorale gliel’impedisce sollevando continuamente nuovi cavilli.
L’ormai anziano generale può correre quasi indisturbato per un nuovo mandato che non porterà a termine: ormai malato, si spegne il 5 febbraio 2005 a Plane (tunisia) dove si è recato per farsi curare.
Secondo Comi M Toulabor (ricercatore del Centre d’études d’Afrique Noire, Eyadema ha tra i suoi amici personali Jacques Chirac (presidente francese dal 1995 al 2007 [NDR]).
«Egli rimane al potere per 38 anni grazie a due colpi di Stato, corruzione sistematica, frodi elettorali, l’appoggio incondizionato dell’esercito e della sua etnia di appartenenza.
Il solido sostegno di diversi Paesi esteri (specialmente la Francia), e i guadagni prodotti dall’esportazione delle materie prime di cui il Paese dispone consolidano il regime del generale che foraggia con opportune sovvenzioni la sua etnia, i Kabye».
inoltre, grazie ad una propaganda ossessiva, alimenta il culto della sua personalità:
– si definisce invulnerabile, tanto quando esce indenne da un incidente aereo (gennaio 1974), quanto nel momento in cui una guardia del corpo gli spara, mancandolo.
(anzi, la data dell’incidente aereo è festeggiata ogni anno come la “vittoria contro le forze dell’Inferno).
Viene pubblicato, a beneficio dei bambini, un albo di fumetti in cui è ritratto come un supereroe, cui nulla può succedere perché tutti i nemici son inevitabilmente sconfitti.
Ancora:
– a Lomé fa costruire un enorme palazzo presidenziale ed una statua di bronzo;
– i suoi ritratti sono dovunque, appesi alle insegne dei negozi e nei quadranti di certi orologi da polso che ogni 15 secondi s’illuminano mostrando il volto del superpresidente.
– alle sue dipendenze, ha oltre mille donne che danzano e cantano alla sua presenza.
Anch’egli, sempre nel ’74, come Mobutu in Zaire, cambia nome: l’8 maggio in nome dell’autenticità decide di non chiamarsi più étienne, ma Gnasingbé: inoltre nazionalizza la compagnia togolese dei fosfati che, dice lui, è la vera causa dell’attentato, cui è scampato.
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L’EREDE.
Faure Gnassingbé nasce il 6 Giugno 1966 nel Togo sudorientale: nel 1998 entra in Parlamento: nel luglio 2003 è nominato Ministro per le Miniere, le infrastrutture e le telecomunicazioni.
L’anno precedente, Papà Gnasingbé, consapevole che la vecchiaia lo sta indebolendo, fa approvare dal parlamento una modifica alla costituzione che abbassa l’età per esser eletto Presidente della Repubblica: il minimo di anni è trentacinque, invece che quarantacinque, come fissato antecedentemente, proprio quelli che al momento ha il figlio Faure che diviene, perciò l’erede designato.
L’anno dopo il generale, come detto, è riconfermato, ma la morte lo coglie, si dice per attacco cardiaco.
Le forze armate non perdono tempo: proclamano Faure capo dello stato, ma l’Unione africana (UA) protesta: bisogna rispettare le regole costituzionali.
Esse prevedono che se il Presidente muore, gli succede il capo del Parlamento per 60 giorni e poi si vota.
a Lomé ci riprovano: modificano in due e due quattro la costituzione: Faure è eletto speaker della camera così può completare il mandato del padre.
Stavolta anche altri insorgono e minacciano sanzioni al togo: Faure rinuncia alla carica e si candida alle successive presidenziali che vince senza problemi.
L’opposizione denuncia diffusi brogli e i suoi supporters si scontrano con le forze di sicurezza: rimangon sul terreno 22 morti e 18.500 persone vanno in esilio nei paesi vicini.
Nel ’10, ’15 e quest’anno è rieletto alla massima carica dello Stato con percentuali che vanno dal 60 al 72%, come il 22 febbraio scorso: invano i critici denunciano il prepotere del clan Gnasingbé che fa di uno Stato una sua proprietà privata.
Vanamente si è sperato che il Paese imboccasse la via d’una democratizzazione: anche le ultime elezioni son state dominate dal clan al potere che ha impedito che emergesse un altro vincitore.
Il Togo è formalmente una repubblica, ma in realtà è,come molti Stati africani, una monarchia di fatto: ci vorranno anni perché questo ed altri paesi di quel continente passino dal regime monarchico ad una vera repubblica dell’alternanza.
PIER LUIGI GIACOMONI
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