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TEORIA DEL COMPLOTTO
(9 Febbraio 2017)

Nel corso d’una recente campagna elettorale alcune forze politiche, al fine di spaventare l’opinione pubblica, hanno affermato che era in corso un grande “complotto”, detto anche “gomblotto”, condotto da alcune forze oscure che avevano come obiettivo l’instaurazione d’un regime tirannico per favorire non meglio precisati interessi ed affari.

La “teoria del complotto” avvelena la scena politica e sociale italiana ormai da molti anni e condiziona nel bene e nel male il nostro modo di ragionare e d’interpretare i fatti.

Come si vede da quest’articolo anche negli Stati Uniti la “teoria del complotto” è molto presente ed influenza sia la vita sociopolitica, che la produzione artistica.
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Teoria del complotto

(Mario Maffi)

(da Autori Vari: Americana, ed. Il Saggiatore, Firenze, 2012)

Come tutte le mitologie che si rispettino, anche quella partorita dalla Guerra d’indipendenza ha il suo eroe negativo. Si tratta del generale Benedict Arnold, il quale, deluso dallo scarso apprezzamento dimostrato dalle alte sfere per il suo contributo alla causa, si fece assegnare il comando della fortezza di West Point con l’intento di cederla all’esercito inglese: gli Stati Uniti non erano ancora nati, e già c’era chi complottava contro di essi (la trama fu scoperta e Arnold passò dalla parte del nemico, mettendosi in luce in alcune brillanti operazioni).

Per Richard Hofstadter, il teorema del complotto è una costante nella politica americana, dove proliferano «l’esagerazione, il sospetto e fantasie cospiratorie» che danno forma a un peculiare «stile paranoico» (The Paranoid Style in American Politics, 1964). Hofstadter prendeva spunto da avvenimenti a lui vicini, facendo riferimento a un discorso del senatore John McCarthy, nel quale si attribuiva la situazione precaria della nazione a «una cospirazione di proporzioni mai viste nella storia umana»; tuttavia, le radici di questo atteggiamento ossessivo e persecutorio affondavano nel tempo, giungendo addirittura agli albori della storia nazionale: l’identità stessa del paese è stata influenzata dalla continua paura di sinistri nemici, reali o immaginari.

La paura del complotto era dunque iscritta nel Dna della repubblica. Se difatti l’esperimento americano era fin dall’inizio investito di millenarismo, con gli Stati Uniti come «terra promessa» capace di portare il genere umano alla perfezione, la constatazione di quanto la realtà storica fosse lontana dall’ideale poteva suscitare il timore che forze oscure stessero tramando contro il paese. Il sigillo ufficiale, poi, riprodotto sulle banconote da un dollaro, dichiarava che Dio guardava con favore al progetto americano e quindi, se il colpevole non era l’onnipotente, allora doveva trovarsi da qualche altra parte.

Dopo la Seconda guerra mondiale, lo «stile paranoico» e la «teoria del complotto» sono diventati parte integrante della cultura popolare. Con la nascita e la crescita della Central Intelligence Agency (Cia) e dopo l’«incidente» di Roswell, è andata diffondendosi la percezione di un governo centrale che agisce nell’ombra e si affretta a insabbiare le prove di fatti compromettenti che sfuggono al controllo pubblico. In particolare, i numerosi omicidi politici degli anni sessanta – dei fratelli John e Robert Kennedy, dei leader afroamericani Malcolm X e Martin Luther King – hanno contribuito a trasformare i discorsi legati al «complotto» in una sorta di lingua franca atta a dare una spiegazione «plausibile» ai più diversi fenomeni. Nello stesso anno in cui Hofstadter dava alle stampe il suo saggio, per esempio, la femminista Betty Friedman rintracciava un intento cospiratorio da parte dei mass media nei confronti della donna, alla quale si voleva imporre un’immagine standard di femminilità, mentre David Wise e Thomas Ross, ne’ Il governo invisibile, registravano la distanza sempre più manifesta fra i proclami che gli organismi politici annunciavano alla luce del sole e le strategie perseguite di nascosto. Oppressione sociale, diffusione di malattie letali, perfino i quattro superbowls consecutivi persi dai Buffalo Bills tra il 1990 e il 1993: per tutto esiste una potenziale spiegazione cospiratoria. Il complotto allora è uno dei canali attraverso cui il cittadino comune esprime dubbi sulla legittimità dell’autorità del governo: non è un caso che le percentuali di affluenza alle elezioni negli Stati Uniti siano tra le più basse del mondo.

Sfruttando i più diversi tipi di scenario, la «teoria del complotto» riesce a dare un senso a una realtà che appare confusa e difficile da interpretare: divide il mondo in maniera netta tra le forze del bene e quelle del male, e così offre una spiegazione che vorrebbe far luce sulle cause di una situazione presente, individuale o collettiva, ritenuta insoddisfacente. Cinema e letteratura popolare hanno tratto ispirazione a piene mani dal «complottismo», a volte facendo centro: come nel caso di L’eroe della Manciuria (1959), thriller di Robert Condon poi adattato per il grande schermo (con la partecipazione di Frank Sinatra) – storia di un soldato americano catturato dai comunisti durante la guerra di Corea, che subisce il lavaggio del cervello e diventa un killer inconsapevole (quando il film uscì, non era ancora stato rivelato che la Cia lavorava da tempo in segreto e senza autorizzazione al «Progetto Mkultra», il cui obiettivo era studiare e mettere a punto tecniche per influenzare la mente umana).

L’assassinio di Kennedy e, pochi giorni dopo, del presunto cecchino Lee Harvey Oswald per mano di Jack Ruby ha dato il via alle speculazioni più ardite e fantasiose sui mandanti occulti e ispirato ricostruzioni cinematografiche (JFK, di Oliver Stone, del 1991) e letterarie (Libra di Don DeLillo, del 1988, e Il racconto di Oswald, di Norman Mailer, del 1995). Il lavoro di DeLillo è molto significativo: il protagonista Nicholas Branch, nonostante accumuli fatti, prove e testimonianze, riesce a intravvedere solo alcuni fili conduttori della vicenda, ma non una singola narrazione lineare che spieghi l’accaduto nella sua interezza – metafora della condizione umana in una contemporaneità in cui, al proliferare delle informazioni, corrisponde una comprensione del mondo parziale e lacunosa.

Un altro dei capisaldi del genere è I tre giorni del condor (1975), film di Alan J. Pakula, nel quale i «cattivi» sono gli stessi americani: schegge impazzite della Cia manovrano contro altri agenti, allo scopo di occultare un piano per mettere sotto controllo alcuni paesi produttori di petrolio. Il protagonista Turner, l’agente che sfugge per un soffio all’eliminazione della sua unità, impersona un Adamo americano pessimista, che vagabonda attraverso New York senza un luogo sicuro dove rifugiarsi né amici di cui potersi fidare.

Parto della fantasia dello scrittore Thomas Pynchon è invece il complotto del Tristero, una compagnia di spedizioni che, scomparsa nel XVIII secolo, avrebbe continuato aesistere in segreto e starebbe meditando un ritorno in grande stile: ne L’incanto del lotto 49 (1963), l’esecutrice testamentaria Oedipa Maas si imbatte in simboli e tracce nascoste, ma questa volta è l’autore stesso a prendere per il naso il lettore – al momento decisivo, quando il frammento mancante che spiegherà il mosaico sta per essere mostrato, la narrazione infatti s’interrompe. Anche lo scrittore afroamericano Ishmael Reed, nel romanzo Mumbo Jumbo (1972), crea un complicato edificio cospiratorio, cui è imputato il fallimento del progetto di liberazione animato dai neri d’America attraverso il «Rinascimento di Harlem».

Sulla cospirazione, è poi giocata la serie tv X-Files (1993-2002), nella quale due agenti dell’Fbi hanno il compito di indagare su fatti misteriosi: offrendo spiegazioni plausibili ma assai improbabili a eventi dai contorni poco chiari (dall’apparizione di Ufo alla presenza di individui mutanti), gli episodi instaurano un gioco con il pubblico, in cui la soluzione definitiva agli enigmi rimane sempre differita – lasciando spazio anche all’ironia, quando viene rivelato che il più grande battitore di ogni tempo, Babe Ruth, era in realtà un alieno.

BIBLIOGRAFIA

Gordon B. Arnold, Conspiracy Theory in Film, Television, and Politics, Praeger Publisher, Westport 2008.

Richard Hofstadter, The Paranoid Style in American Politics and Other Essays, Alfred A. Knopf, New York 1965.

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