SVIZZERA. ULTERIORE SVOLTA A DESTRA
(16 Dicembre 2023)
BERNA. La Svizzera svolta ulteriormente a destra: le elezioni per il 52o parlamento federale han decretato un consistente aumento di voti e seggi per il Partito del Popolo (SVP-UDC)[1] ed un crollo per i Verdi che perdono 4 punti percentuali e sei seggi.
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I RISULTATI
CONSIGLIO NAZIONALE
Al Consiglio Nazionale, detta anche camera del popolo, (200 seggi) l’SVP-UDC è risalito dal 25,4 al 27,9% ed ha recuperato i 9 seggi persi nel 2019, ottenendone perciò 62 anziché 53.
Le due liste verdi, che quattro anni fa avevan creato la sorpresa, accumulando complessivamente 44 seggi, registrano ingenti perdite:
• i Verdi veri e propri, grandi sconfitti di questa tornata, scendon dal 13,2 al 9,8% ed eleggon 23 deputati anziché 28;
• i Verdi liberali, ambientalisti moderati, confermano il 7,6% ottenuto nel 2019, ma perdono 6 mandati (10 anziché 16).
I tre partiti tradizionali della scena politica svizzera fan registrare poche variazioni rispetto al recente passato:
– I socialdemocratici (SPS-PSS) passano dal 16,8 al 18,3% ed eleggon 41 deputati (+2);
– I liberali dell’FDP-PLR perdono 8 deicimi di punto (14,3 anziché 15,1%) e cedon un seggio (28 anziché 29);
– die Mitte (il centro) che riunisce insieme i cristiano popolari e i borhghesi democratici debuttan con un incoraggiante 14,1% ed eleggon 29 deputati.
Completan il quadro altri piccoli partiti, a carattere per lo più regionale che mandan in tutto 7 parlamentari.
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CONSIGLIO DEGLI STATI
Per conoscere la composizione del Consiglio degli Stati, detta anche Camera dei Cantoni, si son dovuti attendere i ballottaggi svoltisi in novembre in nove Cantoni.
Il Centro risulta il gruppo più numeroso (15 seggi), seguon i liberali con 11, i socialdemocratici (9), l’SVP (6), i Grünen (3), i Verdi liberali e l’MCG (1).
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SISTEMI ELETTORALI DIVERSI
Le due camere federali svizzere son elette con sistemi elettorali differenti: la legge che disciplina le elezioni del Consiglio Nazionale prevede che la camera bassa sia eletta con metodo proporzionale a base cantonale, eccettuati i cantoni meno popolati che inviano a Berna un solo deputato.
Dopo ogni censimento generale della popolazione, il governo emana un’ordinanza che redistribuisce i 200 seggi ai diversi Stati: per effetto di quello del 2020, Basel Stadt ha perso un seggio (4 anziché 5) e Zürich ne ha guadagnato uno (36 invece che 35).
Nei cantoni di Glarus, Nidwalden, Obwalden, i due Appenzell ed Uri, dove si elegge un solo deputato, il metodo scelto per l’elezione è l’uninominale secco: il candidato più votato va a Berna.
Per il Consiglio degli Stati, camera alta, le leggi elettorali son diverse da cantone a cantone: dovendosi eleggere due rappresentanti per ciascuno Stato, uno per i sei semicantoni, spesso si è scelto il doppio turno.
Nella prima votazione passa il candidato che ottiene la maggioranza assoluta; nella seconda è sufficiente la relativa.
In Appenzell InnerRhoden, il senatore è eletto dalla Landsgemeinde, l’assemblea popolare cantonale.
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L’ARCHITETTURA ISTITUZIONALE
La Confederazione elvetica, dal 1848, ha un’architettura istituzionale piuttosto complessa: essendo nata da un accordo di 23 Stati sovrani, il potere esecutivo è affidato, in origine con competenze limitate, ad un collegio di sette membri, il Consiglio Federale, eletto ogni 4 anni dall’assemblea federale, le due camere riunite congiuntamente.
Il Governo, per esercitare le proprie funzioni, non ha bisogno della fiducia del legislativo, ma è tenuto a sottoporre la maggior parte delle proprie deliberazioni alle camere.
Nel 1874, con la prima revisione totale della Costituzione federale, s’introduce la “democrazia semidiretta”. I cittadini posson inoltrare, mediante raccolta firme, delle iniziative popolari sia di carattere legislativo che costituzionale che, una volta completato l’iter parlamentare, vengon sottoposte al voto popolare: per questo diverse volte all’anno si tengon nella Confederazione diversi referendum federali, cantonali e comunali.
Questo e altro rende il processo decisionale molto lento, perché sulle materie più importanti, occorre far di tutto per raggiunger un compromesso: questo obbliga le forze politiche e sociali ad un complesso dialogo al fine di smussare gli angoli: una proposta troppo radicale andrebbe incontro ad una solenne bocciatura in sede di votazione popolare.
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IL CONSIGLIO FEDERALE
Diversamente da quanto avviene in altre democrazie parlamentari, il governo non nasce da un accordo programmatico di coalizione, ma da un patto politico fissato una volta per tutte.
Quando nel 1848 vien varata la costituzione della Svizzera moderna, il Partito Liberale Radicale è la forza politica predominante: fin al 1891 monopolizza i seggi governativi. Poi gradualmente cede posti agli altri partiti. Nel ’91, appunto, è eletto il primo rappresentante del partito Cattolico Conservatore, nel 1929 entra l’SVP-UDC, nel 1943 il SPS-PSS.
Nel 1959 i quattro partiti più importanti del Paese raggiungono un’intesa: i tre più forti avranno nel governo due rappresentanti, il quarto uno solo.
E’ la cosiddetta “formula magica”: ciò non impedisce ai singoli schieramenti né di votare contro proposte governative né di lanciare iniziative popolari o promuovere referendum contro leggi adottate dalle camere, perché non c’è il rischio di crisi di governo,come quelle che si aprono periodicamente nei paesi confinanti.
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L’ELEZIONE DEL GOVERNO
A livello cantonale o comunale gli esecutivi son eletti direttamente dal popolo applicando leggi elettorali stabilite localmente.
A livello federale l’elezione del governo spetta alle camere riunite congiuntamente all’inizio di ogni legislatura: ognuno dei sette connsiglieri federali uscenti deve dichiarare per iscritto se intende correre per un nuovo mandato. Generalmente, gli uscenti vengon riconfermati (nella storia elvetica solo quattro ministri non son stati rieletti), nel caso in cui uno dei sette dichiari di non riproporsi, si apre la corsa alla sua successione.
Ogni candidato, per esser eletto, deve ottenere la maggioranza assoluta dei voti validamente espressi, tolte schede bianche e nulle.
I membri dell’assemblea posson votare liberamente chi vogliono, anche un non parlamentare o una persona che ritengono degna di stare fra i sette.
Il voto avviene separatamente per ciascun consigliere federale, partendo da chi da più tempo siede in governo.
Gli eletti prestan giuramento di fedeltà alla Costituzione.
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L’ELEZIONE DEL 13 DICEMBRE
Dopo il voto d’autunno, dunque, il 13 dicembre l’Assemblea Federale si è riunita per eleggere il Consiglio Federale.
Sei dei sette membri del Governo si ripropongono e vengon rieletti: il più votato è il titolare dell’Economia Guy Parmelin (SVP-UDC) che raccoglie 215 voti su 246; la meno Elisabeth Baume-Schneider (SPS-PSS), cui vanno solo 151 schede.
In mezzo si situano tutti gli altri: colui però che è attaccato da una forza parlamentare ostile che vorrebbe entrare in governo perché ritiene d’avere i voti per esserci è il liberale Ignazio Cassis che dal 2017 dirige il Dipartimento degli Affari Esteri.
Suoi avversari son i Verdi che, malgrado abbian perso voti e seggi il 22 ottobre, rivendicano un posto tra i sette e ritengono il PLR sovrarappresentato al governo.
Essi sperano che nel segreto dell’urna qualche deputato socialdemocratico, alleato degli ambientalisti, non segua l’indicazione proveniente dalla dirigenza del partito che invita a votare i candidati ufficiali: alla fine qualche voto arriva perché Gerhard Andreys, nominativo idnicato dai Verdi, raccoglie 59 voti, molti di più di quanto dispone il gruppo parlamentare, ma Cassis è confermato con 167 schede.
L’ingresso dei Verdi in Consiglio Federale per adesso non avviene, ma è solo una questione rinviata.
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LA SUCCESSIONE DI BERSET
Come detto, tra i sette uscenti,uno non sollecita la rielezione: è Alain Berset (SPS-PSS), titolare del Dipartimento degli Interni, che a giugno ha comunicato il proprio ritiro.
Conseguenza: dopo le elezioni di ottobre parte la corsa alla sua successione.
il gruppo socialdemocratico propone un ticket, cioè due candidati fra i quali l’assemblea può scegliere.
Costoro nei giorni precedenti la votazione si incontrano con gli altri gruppi assembleari per sottoporsi a un esame sulle proprie competenze.
Già prima del voto dal centro-destra emergono critiche verso la scelta fatta dall’ SPS-PSS: entrambi i concorrenti vengono dalla sinistra del partito. Ciò potrebbe spingere qualcuno a votare un nominativo d’orientamento più moderato e dialogante.
Infatti, il 13 dicembre, quando comincian gli scrutini per la scelta del sostituto di Berset emerge il nome di Daniel Josich, socialdemocratico zurighese, noto per le sue posizioni più centriste.
Josich ottiene tra 60 e 70 schede, ma non riesce a battere il candidato più forte proposto dal suo partito, il basilese Beat Jans che alla fine è eletto con 134 preferenze su 245.
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SICUREZZA, INFLAZIONE ED IMMIGRAZIONE IRREGOLARE
Perché nel 2023 in Svizzera ha vinto l’SVP-UDC e i Verdi han perso?
Dopo le elezioni del 2019 e l'”onda verde” sembrò che le questioni ambientali e l’emergenza climatica fossero per la Confederazione le priorità più importanti: il voto del 2023 ha riportato alla ribalta le questioni della sicurezza, dell’inflazione e dell’immigrazione irregolare, tutti temi cavalcati in campagna elettorale dall’SVP.
L’aumento del 43% delle domande d’asilo nella prima metà del 2023 e l’arrivo di più di 65.000 rifugiati dall’Ucraina han fornito ai sovranisti gli strumenti per condurre la loro battaglia fondata sull’assioma straniero uguale assassino.
«Sui social media – narra theguardian.com – si son viste immagini terroristiche: delitti commessi da non svizzeri, coltelli insanguinati, criminali incappucciati, pugni, volti contusi e donne spaventate.»
Una propaganda dai toni decisamente xenofobi che alla fine, però, ha dato i suoi frutti.
Anche il contesto internazionale ha fatto il suo gioco: le guerre in Medio Oriente e in Ucraina, coi loro corollari di profughi e di aumenti del costo della vita, han cambiato l’ordine delle priorità.
La Svizzera, dicono dall’SVP, deve esser più sovrana, neutrale, indipendente che in passato.
E’ quanto pensa, ad esempio, Christoph Blocher, 82 anni, miliardario zurighese, già deputato e ministro, che da oltre trent’anni detta la linea al partito: la Svizzera – dice in un’intervista a lemonde.fr – deve rimanere rigorosamente neutrale, non partecipare a conflitti, né aderire ad alleanze.
«questa strategia funziona perfettamente, visto che non abbiamo preso parte a guerre negli ultimi due secoli. Berna è in grado di difender da sola il territorio nazionale: la neutralità ci permette di sviluppare la diplomazia dei buoni uffici, uno status di mediatore rigorosamente neutrale.»
Da ciò discende, per esempio, l’opposizione di Blocher alle sanzioni decretate da Palazzo Federale nei confronti della Russia dopo l’invasione dell’Ucraina:
«Partecipando a questo conflitto, siamo di fatto diventati uno dei nemici della Russia, per questo abbiamo ricevuto le congratulazioni del presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Ciò è deplorevole perché un giorno dovremo porre fine a questo conflitto e la Svizzera avrebbe potuto fungere da mediatore. Inoltre, l’ultimo incontro tra Putin e Biden prima della guerra si è svolto a Ginevra nel giugno 2021. Ora però non possiamo più fare da mediatori perché per Mosca siam parte in causa.»
«La Svizzera – conclude Blocher – ha bisogno di più neutralità non d’esser membro d’un’alleanza.»
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L’SVP
Partito che nel corso della sua storia ha assunto diversi nomi, dagli anni Novanta del XX secolo è costantemente in crescita soprattutto a scapito delle altre formazioni di centro-destra, liberali e democristiani.
Il punto di svolta si ebbe con la votazione sull’adesione della Confederazione allo spazio economico europeo (EES): l’SVP, guidato da Blocher, si mise a capo del movimento contrario a quest’accordo che a suo avviso avrebbe fatto di Berna una colonia della nascente Unione europea.
La campagna fu insolitamente aspra e si concluse con un netto no popolare: da allora il partito inaugurò un trend di crescita che non si è ancora arrestato.
Nel 2003, Blocher fu eletto in Consiglio Federale dove rimase un quadriennio: nel 2007 ne fu estromesso, ma continuò ad esercitare molt’influenza dentro e fuori il partito, che nelle elezioni del 2015 toccò il suo massimo storico: 29,4% e 62 seggi.
Fra l’altro, se all’inizio il fenomeno SVP era praticamente circoscritto ai cantoni svizzero tedeschi, quell’anno vi fu una crescita esponenziale anche nell’area latina (Ticino e Romandia).
A dicembre di quell’anno fu eletto il secondo rappresentante UDC in governo: Guy Parmelin, proveniente appunto dal Canton Vaud.
Nel ’19 ci fu una flessione, che è stata in parte riassorbita il 22 ottobre: ora il presidente del partito, Marco Chiesa, spera che il risultato emerso dalle urne spinga ad esempio i liberali a sostenere alcune delle proposte dei nazionalisti, creando così un fronte spostato nettamente a destra, in contrapposizione con la sinistra rosso-verde.
Sarà forse il tema che dominerà la politica svizzera dei prossimi anni?
PIER LUIGI GIACOMONI
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NOTE:
[1] A seconda delle aree linguistiche, i diversi partiti svizzeri assumono denominazionidiverse:
– l’SVP della Svizzera tedesca, nei cantoni latini diventa UDC;
– il FDP, sempre nell’area germanica, a Ginevra e Lugano prende la sigla PLR;
– Il SPS alemanofono, in Romandia e Ticino diventa PSS.
Per scrivere questo pezzo, abbiam scelto d’usare, quando è stato necessario farlo, i nomi originali dei cantoni. Zürich anziché Zurigo, Basel Stadt, invece che Basilea Città…