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SUD AFRICA

L’ANC PERDE LE LEGISLATIVE E FORMA UN GOVERNO DI COALIZIONE
(16 Giugno 2024)

PRETORIA. Dopo trent’anni di potere quasi assoluto, l’ANC (African National Congress) perde le legislative: il 29 maggio conquista solo il 40,2% dei voti ed elegge 159 deputati sui 400 che compongon l’Assemblea Nazionale.

Il vero vincitore della settima elezione generale dalla fine dell’Apartheid è Jacob Zuma che col suo partito, Umkhonto we Sizwe, conquista il 14,5% ed elegge 58 deputati, mancando però la maggioranza assoluta nel KwaZulu-Natal, dove dovrà cercarsi degli alleati per formare il governo provinciale.

Deludente il risultato dell’Alleanza Democratica (DA) che si conferma come secondo partito, rimanendo sulle stesse posizioni di cinque anni fa: 21,8% in voti e 87 seggi: tuttavia governerà la Provincia occidentale del Capo, uno dei cuori pulsanti del Paese.

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JACOB ZUMA

A 82 anni, contestato per la sua condotta quand’era presidente, processato ed incarcerato, Jacob Zuma rimane uno dei leader più popolari tra i neri, soprattutto quelli d’etnia Zulu.

Cresciuto in un villaggio rurale dello Zululand, oggi KwaZulu-Natal, figlio d’una madre rimasta vedova, a 17 anni aderisce all’ANC ed entra in Umkhonto we Sizwe, “la lancia di ferro della nazione”, nome dato al partito da lui fondato nel dicembre 2023 in vista delle legislative appena svolte.

Partecipa alla lotta contro l’Apartheid: arrestato, Condannato a 10 anni di reclusione (1963), scarcerato, va in esilio, diventando capo dei servizi segreti dell’organizzazione.

Dopo le elezioni del 1994, vinte da Mandela, è ai vertici dell’ANC: diverrà vicepresidente sotto Thabo Mbeki e successivamente capo dello Stato.

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IL SACCHEGGIO

Nel ’99, appena arrivato alla vicepresidenza, scoppia il primo scandalo in cui è coinvolto: si tratta dell’“Arms Deals”, un contratto per l’acquisto d’armi da diversi Paesi europei: Zuma è accusato d’aver incassato una cospicua tangente.

Nel 2005, Mbeki l’allontana dalla vicepresidenza: il suo “consigliere finanziario” Shabir Shaik è infatti condannato per aver percepito una tangente da un’impresa francese che fabbrica armi.

La destituzione apre una guerra interna al partito-Stato: Zuma, due anni dopo, fa rimuovere Mbeki dalla presidenza dell’ANC, evento che preparerà la strada al suo definitivo tramonto politico.

Nel 2009, Zuma giunge al vertice dello Stato: comincia il saccheggio delle risorse pubbliche: non c’è settore in cui non si allunghino le mani rapaci del Presidente e del suo entourage.
Il banchetto dura fin al 2018, quando il parlamento, controllato dall’ANC lo depone:
da allora comincian processi e incarcerazioni: per tanti la stella di Zuma è ormai sul viale del tramonto.

Invece, come l’araba Fenice, l’anziano leader populista risorge ed ora sarà sicuramente una spina nel fianco di Cyril Ramaphosa, l’uomo che l’ha sostituito alla guida del Sud Africa.

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CYRIL RAMAPHOSA

La storia di Ramaphosa è complessa: dopo essersi fatto un nome, durante gli anni dell’Apartheid, come leader di COSATU (Confederation of South Africa Trade Unions), diventa un ricco uomo d’affari: sei anni fa è chiamato a guidare l’ANC per ripulire il partito-Stato dai corrotti.

Nel 2019, vince comodamente le legislative, conquistando 230 seggi in parlamento, poi però vengon gli anni della pandemia (2020-22 e la guerra russo-ucraina.

Nel biennio segnato dal Covid, Pretoria assume un atteggiamento ambiguo: per un po’ di tempo nega l’esistenza della malattia, poi acquista vaccini inefficienti che non servon a protegger la popolazione, specialmente i più poveri.

Quando poi la Russia, uno dei BRICS, gruppo di paesi di cui anche il Sud Africa fa parte, aggredisce l’Ucraina, Pretoria assume una condotta sfuggente. Nell’agosto 2022 è previsto il vertice del gruppo: alla riunione dovrebbe anche partecipare Vladimir v. Putin, ma la Corte Internazionale Penale dell’Aia ha spiccato contro di lui un mandato d’arresto.

In teoria, Ramaphosa dovrebbe farlo arrestare al suo arrivo, ma è chiaro che non succederà: all’ultimo momento, Putin rinuncia al viaggio e manda il suo ministro degli Esteri Sergey V. Lavrov.

Ramaphosa, che non può disgustare eccessivamente l’Occidente, Stati Uniti in testa, poiché guida una delle economie leader dell’Africa, deve muoversi quindi con notevole cautela.

Prudenza che deve esercitare ora che le elezioni han dato all’ANC la maggioranza relativa, ma non il potere assoluto come in passato: il 6 giugno il Presidente ha proposto ai partiti sudafricani di formare un governo d’unità nazionale,[1] tanto al centro, quanto nelle province.

DA si è detta disponibile a trattare, gli altri schieramenti han avanzato pregiudiziali e condizioni: si vedrà nei prossimi giorni quale esito avrà questa proposta di colui che malgrado tutto è il candidato a succeder a sé stesso.

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LE RAGIONI DELLA DEBACLE

La sconfitta era attesa: già durante la campagna elettorale si percepiva che il consenso attorno all’ANC stava evaporando, soprattutto nelle aree urbane. Più consistente invece era il seguito in ambiente rurale.

Cause del crollo che in cinque anni ha visto volatilizzarsi un terzo dei consensi? La corruzione dilagante, l’inefficienza dell’apparato pubblico, il permanere delle disuguaglianze ereditate dall’Apartheid e la diffusa criminalità.

A ciò si aggiunge la povertà crescente e la disoccupazione che raggiunge quasi il 40% della popolazione attiva, costituita in gran parte da giovani.

Eppure il PIL sudafricano è il secondo del continente, dopo la Nigeria, e la ricchezza di cui dispone il paese è enorme, tanto in termini di materie prime, quanto per la presenza d’un’industria manifatturiera.

Il nuovo governo che si formerà nelle prossime settimane avrà compiti ardui da svolgere nel momento in cui l’opinione pubblica sembra aver, non senza motivo, dubbi sulla capacità del ceto dirigente di regger le sorti della Repubblica Arcobaleno, secondo la felice espressione di Desmond Tutu.

PIER LUIGI GIACOMONI

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NOTA:

[1] Il 14 giugno, ANC, DA e IFP (Inkhatha Freedom Party, forza politica appoggiata dagli Zulu) han raggiunto un accordo per formare un governo di coalizione che disporrà di 263 seggi in Parlamento: con 283 voti contro 44 andati a Julius Malema, Ramaphosa è rieletto Presidente.

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