SUD AFRICA. LA VITTORIA MUTILATA DELL’ANC
(18 Maggio 2019)
PRETORIA.
Nelle elezioni legislative sudafricane dell’8 maggio l’ANC ha di fatto subìto un arretramento trasformando un successo in una “vittoria mutilata”.
I dati diffusi dalla Commissione elettorale indicano infatti che l’African National Congress, che fu a lungo diretto da Nelson Mandela, è sceso al 57,5% delle preferenze, (solo cinque anni fa aveva toccato il 62,1% e nel 2009 aveva il 65,9%) e conquistato 230 dei 400 seggi della camera bassa del Parlamento di Città del Capo (nel 2014 ne aveva vinti 249).
Altro dato rilevante, che dimostra come stia aumentando la disaffezione alla politica e la delusione per il governo dell’ANC, è il netto calo dell’affluenza: nel 2014 aveva votato il 73,4%, l’8 maggio solo il 66%.
Le altre principali liste in lizza hanno registrato risultati alterni: la Democratic Alliance (DA), guidata da Mmusi Maimane, 38 anni, è scesa dal 22,2 al 20,8%, eleggendo 84 deputati (-5), mentre un vero boom han fatto registrare gli Economic Freedom Fighters passati dal 6,4 al 10,8, conquistando 19 seggi in più rispetto a 5 anni fa.
Il loro leader Julius Malema, anch’egli 38 anni, sapendo di trovare orecchie attente all’interno dell’ANC, dove è forte una corrente massimalista, predica nuove nazionalizzazioni e chiede che le terre dei farmers bianchi vengano redistribuite ai disoccupati neri.
Complessivamente, ben 48 partiti hanno presentato liste a queste elezioni e ben tredici di essi hanno vinto seggi nella nuova camera.
Nelle contemporanee elezioni provinciali l’ANC ha conquistato la maggioranza assoluta in otto territori su 9, ma nel Gauteng, la provincia di Johannesburg, capitale economica, e Pretoria, capitale politica, il partito del Presidente raggiunge di misura la maggioranza assoluta (50,2%) e dispone d’un solo seggio di vantaggio sulle opposizioni.
Sicuramente, Cyril Ramaphosa sarà rieletto alla testa dello Stato per un mandato di cinque anni, ma dovrà dimostrare di saper metter in atto strategie per un rinnovamento profondo della scena socioeconomica di uno dei paesi guida dell’Africa del terzo millennio.
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UN PAESE DISEGUALE.
Il Sud Africa è, secondo la Banca mondiale, il Paese che registra le maggiori disuguaglianze al mondo. Nonostante una classe media sempre più numerosa, il 20% delle famiglie nere vive ancora in condizioni di estrema povertà, rispetto al 2,9% delle famiglie bianche. Inoltre, tra il 2011 e il 2015 almeno 3 milioni di sudafricani, su circa 57 milioni d’abitanti, sono finiti in povertà.
Sebbene in Africa sia la seconda potenza dopo la Nigeria la crescita ha subìto un vistoso rallentamento: nel 2018, ad esempio, il PIL è cresciuto solo dello 0,8% ed il tasso di disoccupazione ha superato il 27% sull’insieme della forza-lavoro.
La stessa industria mineraria, da sempre settore trainante negli ultimi anni ha visto calare produzione, occupazione e profitti.
Altri dati dimostrano come il quadro sia inquietante: secondo the Economist il 42% delle persone ha la luce dentro casa, rispetto al 10% del ’94, Però ancora il 13% vive in baracche di cartone e lamiere, prive di servizi igienici. La criminalità nel paese è endemica e numerose sono le manifestazioni di xenofobia nei confronti degli immigrati africani, giunti dai paesi vicini per cercarvi lavoro.
Crescenti disuguaglianze sociali, allora, rilancio dell’economia, disoccupazione giovanile, lotta alla corruzione ed alla criminalità endemica, riforma agraria e violenze xenofobe ai danni di cittadini di altri Paesi africani immigrati in Sud Africa sono stati i temi centrali della campagna elettorale, ma saranno anche le questioni su cui dovrà misurarsi il nuovo governo e su cui sarà giudicato tra un quinquennio.
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IL “BUFALO”
L’attuale leader dell’ANC e Presidente uscente, Cyril Ramaphosa, 66 anni, si fece le ossa durante gli anni dell’Apartheid quando capeggiò il movimento sindacale COSATU, all’interno del quale operava il combattivo NUM, l’Unione dei Minatori che diede del filo da torcere al governo di p. w. Botha. Dopo la fine della segregazione razziale, Ramaphosa, fu eletto alla presidenza della commissione che redasse la Costituzione e si dice che Nelson Mandela l’avrebbe voluto come suo successore. L’ANC però scelse dapprima Thabo Mbeki e poi Jacob Zuma: entrambi travolti da pesanti scandali di corruzione.
Ramaphosa nel frattempo è divenuto un ricco imprenditore ed avvocato e nel febbraio 2018 è stato eletto alla Presidenza della Repubblica per risollevare le sorti d’un paese precipitato in una spirale corruttiva inarrestabile.
Tra i primi atti della sua amministrazione vi è stato il siluramento dei vertici dell’Agenzia delle entrate e della Procura nazionale, accusati di favorire gli arricchimenti illeciti degli uomini politici.
Considerato un abile negoziatore e un riformista, avrà l’arduo compito di ripulire il partito dai corrotti. Se infatti all’estero persiste l’immagine-mito dell’ANC come simbolo di un partito eroico che ha lottato contro la segregazione razziale, nel Sud Africa si sprecano ormai le accuse di corruzione contro i membri della formazione al governo ininterrottamente dal 1994. La corruzione nel Paese è endemica: l’ex presidente Zuma con le mazzette era a suo agio; il segretario generale dell’Anc, Ace Magashule, è considerato più o meno un gangster; Ramaphosa, che pure di scheletri nell’armadio ne ha, promette di raddrizzare la situazione. Pensa alle grandi aziende private e internazionali come volano per far ripartire l’economia.
Eppure c’è un’altra realtà assai significativa: l’81% degli elettori ha meno di trent’anni. Sono nati a ridosso della fine dell’Apartheid e ora pretendono un Sudafrica dove non ci siano corruzione e xenofobia.
Il «Bufalo», nomignolo che accompagna il presidente (sono una sua passione, due anni fa vendette all’asta a un milione di dollari alcuni rari esemplari che aveva comprato in Uganda), ha sempre amato le trattative ma all’occorrenza ha dimostrato di non fare prigionieri. Dopo l’incerto risultato elettorale che segna per l’appunto un crollo delle preferenze sotto la quota psicologica del 60% bisognerà vedere se sarà lui il cacciatore o la preda, ossia, fuor di metafora, se sarà lui ad eliminare i rivali o se costoro lo faranno fuori per sostituirlo con qualcun altro.
PIER LUIGI GIACOMONI