SPAGNA. SANCHEZ CE L’HA FATTA
(25 Novembre 2023)
MADRID. Pedro Sánchez Pérez-Castejon ce l’ha fatta: dopo mesi di trattative instancabili, condotte nel massimo riserbo, è riuscito a farsi rieleggere dal parlamento di Madrid Presidente del Governo spagnolo per la terza volta.
Il percorso che l’ha riportato alla Moncloa è stato lungo ed articolato: è partito da una grave sconfitta per concludersi con una brillante elezione.
Proviamo a ricostruire gli ultimi sei mesi di vita politica spagnola:
28 maggio: il PSOE perde pesantemente le elezioni amministrative. Nelle settimane successive si formeranno in una dozzina di regioni e in centinaia di municipi maggioranze di centro-destra.
Sánchez, utilizzando le prerogative che la costituzione del 1978 gli mette a disposizione, propone al Re di sciogliere le Cortes per convocare elezioni generali anticipate per il 23 Luglio.
L’obiettivo è duplice:
• sparigliare le carte a destra;
• costringere i partiti alla sua sinistra a scegliere tra coalizzarsi o sparire;
La doppia scommessa riesce.
23 Luglio: dalle urne esce rafforzatissimo il Partido Popular che guadagna la maggioranza relativa e supera i socialisti che tuttavia progrediscono leggermente rispetto al 2019. Soprattutto l’estrema destra perde voti e seggi e una coalizione PP-Vox non è possibile.
17 Agosto: si costituiscono le nuove Cortes.
Al Senato, dove il PP ha la maggioranza assoluta, è eletto un presidente proveniente da questo partito, ma al Congresso, vero motore politico del paese, va alla Presidenza la socialista Francina Armengol e l’ufficio di presidenza è a maggioranza di centro-sinistra.
Nei giorni successivi, Re Felipe VI conduce un rapido giro di consultazioni che termina con la proposta d’eleggere alla Presidenza del Governo Alberto Núñez-Feyjóo,leader del PP.
26-29 settembre: primo dibattito sull’investitura.
Feijóo si presenta al Congresso chiedendo d’essere eletto capo dell’esecutivo in quanto leader del partito più votato. La camera gli dice due volte no.
Da quel momento comincia il conto alla rovescia: se entro 60 giorni dal primo dibattito non si riuscirà a designare un nuovo primo ministro le Cortes saran sciolte nuovamente e si convocheran elezioni per il 14 gennaio 2024.
3 ottobre: nuovo giro di consultazioni.
Felipe propone al Congresso il nome di Pedro Sánchez.
Si entra nella fase decisiva delle trattative: il nodo sono i voti dei partiti catalanisti Esquerra Republicana de Catalunya (ERC) e Junts per Cat (JxCat). Senza i loro 14 voti non si elegge nessun premier.
Se ERC sembra disponibile a raggiungere velocemente un accordo col PSOE, JxCat non è dello stesso avviso.
vuol una trattativa che riconosca la Catalogna come nazione, che venga condonato l’enorme debito che Barcellona ha contratto col tesoro centrale, che entro quattro anni i cittadini catalani possano decidere col voto se rimaner membri dello stato spagnolo o uscirne ed infine che venga varata una legge che amnisti coloro che han partecipato al “procès”, cioè a quell’insieme di atti che han conddotto nel 2017 alla fallita proclamazione della república de Catalunya.
Se queste condizioni non saran soddisfatte JxCat non voterà per Sánchez.
9 Novembre: l’accordo è cosa fatta. Nasce una coalizione che comprende PSOE, Sumar, il cartello d’una ventina di partiti alla sinistra dei socialisti, PNV, EH Bildu (baschi), BeNeGa (galiziani), ERC e JxC (catalani).
All’ultimo momento si aggiunge Coalición Canaria che a Tenerife governa col PP ma che decide di votare a favore del candidato socialista.
15-16 Novembre: secondo dibattito di investitura.
Pedro Sánchez si presenta al Congresso con un lungo e articolato discorso programmatico di un’ora e 40 minuti. Segue un serrato confronto coi leader di partito.
• Núñez-Feijóo gli rinfaccia d’aver venduto la Spagna ai catalanisti e d’aver rotto il patto per cui d’ora in poi chi dovesse minacciare l’unità del paese finirà poi per esser amnistiato;
• Santiago Abascal, leader di Vox, estrema destra, grida al “colpo di Stato”;
• i rappresentanti del nazionalismo catalano lo metton in guardia: se non rispetterà gli accordi firmati, salterà la legislatura e riprenderanno forza le rivendicazioni indipendentiste.
Alla fine con 179 sì e 171 no il Congresso promuove il progetto di governo illustrato dal candidato.
20 Novembre: è annunciata la composizione del nuovo gabinetto. 22 ministri, 12 donne e 10 uomini, 17 del PSOE e 5 di Sumar.
Podemos non entra nell’esecutivo perché né Sánchez né Yolanda Díaz, vicepremier e ministro del lavoro, nonché fondatrice di Sumar, vogliono la riconferma di Irene Montero, compagna di Pablo Iglesias e sponsor della legge del “solo sí es sí”, norma che ha fatto uscire di prigione un certo numero di maniaci sessuali condannati per aggressioni a donne e ragazze. Un pasticcio che ha messo in ombra gli indiscutibili successi economici e sociali del secondo governo Sánchez e che ha influito non poco a consegnare regioni e comuni alla destra, punto di partenza della crisi appena risolta.
Nel momento in cui in Europa la destra, anche estrema, sembra avere il vento in poppa, mentre la sinistra è in evidente affanno, il traguardo tagliato da Sánchez dev’esser considerato un ottimo risultato. si vedrà col tempo se si tratta d’una vittoria di Pirro o d’una costruzione duratura in grado d’arrivare al 2027 o giù di lì.
PIER LUIGI GIACOMONI