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SPAGNA. DOPO LE POLITICHE, ALTO RISCHIO D’IMPASSE
(2 Agosto 2023)

MADRID. Dopo le elezioni politiche anticipate del 23 luglio, è alto il rischio d’un impasse che potrebbe condurre, come spiegheremo più oltre, ad una nuova consultazione popolare ravvicinata.

Difatti, dalle urne nessuno dei due blocchi contrapposti è uscito nettamente vincitore, potendo disporre della maggioranza assoluta dei seggi al Congreso de los Diputados.

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PERCHE’ SI E’ VOTATO A LUGLIO?

Si deve a Pedro Sánchez, Presidente uscente del Governo e Segretario Generale del PSOE, la decisione di indìre le elezioni generali per domenica 23 luglio dopo che la coalizione di sinistra da lui guidata aveva subìto una cocente sconfitta nelle elezioni amministrative e regionali del 28 maggio.

Avvalendosi delle prerogative attribuitegli dall’art. 115.1 della costituzione del 1978, ha proposto a Re Felipe VI di sciogliere le Cortes ed indire le elezioni in anticipo di qualche mese rispetto alla scadenza naturale del mandato quadriennale.

Il citato articolo infatti recita:

«Il Presidente del Governo, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, e sotto la sua esclusiva responsabilità, può proporre lo scioglimento […] delle Cortes Generales, che sarà decretato dal Re. Il decreto di scioglimento fisserà la data delle elezioni.»[1]

Gli obiettivi che il Premier intendeva raggiungere erano almeno tre:

1. evitare l’agonia d’una legislatura ormai agli sgoccioli;

2. bloccare sul nascere l’avanzata della coalizione di destra composta da PP e Vox, che, come dimostravano i risltati del 28-M, aveva il vento in poppa;

3. costringere l’estrema sinistra, formata da vari schieramenti in lotta l’un contro l’altro a coalizzarsi per evitare di scomparire.

In questo modo, in poche settimane, una ventina di partiti alla sinistra del PSOE han formato un cartello che, come vedremo, è riuscito ad entrare in parlamento.

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I RISULTATI.

Come detto, sulla scena nazionale si confrontavano due coalizioni di fatto: quella di destra composta da PP e Vox, e quella di sinistra costituita da PSOE e Sumar.

Accanto a queste formazioni, il quadro comprendeva un vasto insieme di liste regionali che da sempre recitano un ruolo rilevante sulla scena politica madrilena.

Vediamo allora com’è andata nel dettaglio.

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LA DESTRA

Assorbiti i voti di Ciudadanos, partito nato una quindicina d’anni fa, d’orientamento liberal-centrista, che negli ultimi anni ha subìto una letale emorragia di voti dopo aver raggiunto solo nel 2019 l’apice del consenso, il Partito Popolare (PP) ha raccolto oltre 8 milioni di voti, pari al 33,3% delle preferenze. Il suo gruppo parlamentare passerà da 89 a 137 componenti, registrando un progresso di 48 unità.

Ovviamente, la notte delle elezioni il presidente di questo partito, Alberto Núñez Feijóo ha rivendicato il diritto d’essere il prossimo capo del Governo perché leader della forza politica più votata.

Feijóo, tuttavia, deve far i conti con Vox, partito d’ultradestra, che può portargli dei voti importanti e che ovviamente avanza richieste politiche e programmatiche piuttosto onerose: questo partito, però, esce sconfitto dalle urne. Ottiene 3 milioni di voti, flette di circa 3 punti percentuali, ma lascia sul terreno 19 seggi, conseguendone 33.

Al presente, il blocco conservatore può contare su 170 voti.

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LA SINISTRA

I sondaggi della vigilia avevano preconizzato una “derrota” dell’izquierda che alla prova dei fatti non è avvenuta.

Il Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) ha raccolto oltre 7 milioni di voti, pari al 32% ed eletto 121 deputati (uno in più rispetto alla precedente legislatura).

Sumar, la coalizione messa insieme in fretta e furia dal ministro del lavoro Yolanda Díaz, è riuscita a raccogliere il 12,4% delle schede ed eletto 31 parlamentari.

In questo caso è certamente vero che Sumar non ha nemmeno lontanamente rinverdito i fasti di Podemos che solo pochi anni fa conquistò 71 deputati e minacciò da vicino la leadership socialista della sinistra spagnola, ma il rischio stavolta per le varie formazioni dei progressisti radicali era di non eleggere nemmeno un deputato, dal momento che il sistema elettorale, non propriamente proporzionale, prevede che l’assegnazione dei seggi avvenga su base provinciale senza recupero dei resti.

Di conseguenza, soprattutto nelle province più piccole, con pochi mandati da attribuire, lo sbarramento al di sotto del quale non si elegge nessuno può arrivare al 18-20% o ddirittura al 24% delle schede. Non a caso i grossi partiti, durante la fase finale della campagna elettorale, rivolgendosi agli elettori delle province con minor numero d’abitanti, han fatto appello al cosiddetto “voto utile” in modo da incrementare il numero degli eletti a scapito delle liste con meno seguito.

In questo momento, il blocco progressista può contare su 152 voti.

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I PARTITI REGIONALI

Per completare la composizione della nuova camera bassa spagnola, occorre citare i 28 eletti delle diverse liste regionali.

Costoro provengono dalle province basche, dalla Catalogna, dalle Canarie e dalla Navarra: sono portatori degl’interessi delle loro aree di riferimento e promettono il loro voto al candidato premier che sia disposto a soddisfar le loro rivendicazioni.

Di conseguenza, saranno settimane di trattative estenuanti in cui ciascuno venderà cara la pelle ed anche il singolo deputato, dal momento che l’investitura può dipendere anche dall’astensione d’un solo individuo renderà imprescindibili le richieste di Coalición Canaria o Unión del Pueblo Navarro che dispongon d’un unico seggio.

Le elezioni del 23 luglio han modificato i rapporti di forza nelle diverse regioni: vediamo nel dettaglio le differenti situazioni.

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PAESI BASCHI

La principale novità in questa regione è il successo di EH bildu, la forza politica che interpreta la versione più radicale del separatismo basco. Il partito di Arnaldo otegi ha raccolto 6 seggi ed ha prevalso sul Partito Nazionalista Basco (PNV) che ha perso un deputato (ne avrà solo 5).

Queste due formazioni ovviamente sono ostili alla linea neocentralista di PP e Vox e forse sono disponibili ad agevbolare la rielezione di Sánchez, ma ciò non avverrà senza concessioni sul fronte dei finanziamenti dell’amministrazione centrale al governo di Vitoria.

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CATALOGNA

Cambiamenti altrettanto rilevanti son avvenuti in Catalogna, la regione che nel 2014 e 2017 celebrò due referendum, non riconosciuti da Madrid, per staccarsi dalla Spagna e proclamare una repubblica indipendente.

Come già era in parte avvenuto durante le amministrative di maggio, il fronte indipendentista ha subìto dei rovesci.
Esquerra Republicana (ERC), la formazione che oggi guida il governo di Barcellona, perde metà dei suoi seggi a Madrid e Junts per Cat, lo schieramento più radicalmente secessionista lascia sul campo un mandato, mentre il partito socialista catalano PSC) raggiunge il 34% dei voti.

Ciò avviene nel momento in cui il movimento separatista sembra perdere consensi: oggi, dicono le indagini demoscopiche, solo il 42% dei catalani vuol separarsi dal Regno di Felipe, mentre il 52% preferisce lo status quo.

Gli indipendentisti più radicali offrono i loro voti a Sánchez se verrà emanata una legge di amnistia nei confronti di Carles Puigdemont ed altri esponenti del separatismo duro e puro tuttora autoesiliati all’estero.

Questa richiesta è però irricevibile per il PSOE che ha sempre combattuto le vampate secessioniste. Un canale di dialogo col catalanismo potrebbe essere un piano di copertura da parte di Madrid dell’enorme debito accumulato da Barcellona verso l’amministrazione centrale: 78 miliardi di euro. Complessivamente, le comunità e città autonome devono allo Stato 187 miliardi.

Alla fine, si potrebbe arrivare ad una seconda votazione con astensione dei deputati di JuntsxCat che permetterebbe a Sánchez di rimanere alla Moncloa, ma occorrerà negoziare fino all’ultimo: alcuni settori di Junts, infatti, già prima delle elezioni avrebbero preferito un governo PP-Vox in base allo slogan “tanto peor, mejor”. ma altri sono più ragionevoli.

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LE PROCEDURE ISTITUZIONALI

Fatte le elezioni, ora si sta mettendo lentamente in moto la macchina istituzionale che al momento ha solo una data fissa: il 17 agosto.

Quel giorno si costituiranno ufficialmente le nuove Cortes, articolate nel Congreso de los Diputados, (350 seggi) vero motore politico della Spagna, e dal Senato, (265 seggi di cui 208 eletti su base provinciale a suffragio universale ed altri 57 scelti dalle assemblee delle diverse entità territoriali).

Le due aule eleggeranno i rispettivi presidenti. Dopodiché, entro cinque giorni devono formarsi i gruppi parlamentari.

Attorno al 24 agosto il Presidente del Congreso dovrebbe esser in grado di comunicare al Re l’elenco dei gruppi e i rispettivi portavoce (capigruppo): a quel punto, a norma dell’art. 99 della citata costituzione, prenderà il via la procedura per la designazione del nuovo Presidente del Gobierno che la legge fondamentale disegna in questo modo:

«1. Dopo ogni rinnovo del Congresso dei Deputati […] il Re, sentiti i rappresentanti designati dai gruppi politici con rappresentanza parlamentare, e tramite il Presidente del Congresso, propone un candidato alla presidenza del Governo.

2. Il candidato proposto ai sensi del comma precedente presenterà il programma politico del Governo che intende formare e chiederà la fiducia.

3. Se la camera, col voto della maggioranza assoluta dei suoi membri (176 su 350, NDR), darà la fiducia al candidato, il Re lo nominerà Presidente. Se tale maggioranza non verrà raggiunta, la stessa proposta sarà messa nuovamente ai voti 48 ore dopo e la fiducia si intende accordata se otterrà la maggioranza semplice.

4. Qualora, dopo le predette votazioni, non venga concessa la fiducia, le successive proposte saranno trattate secondo le modalità previste nei commi precedenti.

5. Se trascorso il termine di due mesi, dal primo voto di investitura, nessun candidato avrà ottenuto la fiducia del Congresso, il Re scioglierà entrambe le Camere e indirà nuove elezioni con l’avallo del Presidente del Congresso.[2]

Il dettato costituzionale non impone dei tempi:

• il Re potrebbe condurre anche più d’un giro di consultazioni per maturare una decisione maggiormente certa d’ottenere in consenso parlamentare;

• il candidato da lui designato, prima di presentarsi al Congreso, potrebbe tenere incontri con singoli deputati, onde garantirsi i voti che gli necessitano per l’elezione o al primo o al secondo scrutinio.

Va rilevato infine che le votazioni per l’investitura del Presidente del Governo avvengono per appello nominale a scrutinio palese: ciò evita il fenomeno tutto italiano dei “franchi tiratori”.

In breve: per arrivare ad un’investitura effettiva potrebbero esser necessarie molte settimane.

Ipotizzando che Felipe apra i suoi colloqui coi partiti a fine agosto, il primo dibattito sulla fiducia potrebbe effettuarsi entro la prima metà di settembre. Dovesse finir male, da quel momento comincerebbero a scorrere quei sessanta giorni oltre i quali, se non si riesce ad eleggere un capo di governo, si devon sciogliere le Cortes e riconvocare gli elettori, cosa che potrebbe avvenire ai primi di Gennaio 2024.

Come si ricorderà, nel 2015-16 e nel 2019 vi furono due elezioni generali nel rapido volgere di pochi mesi.

Non solo: nel gennaio 2016 il candidato Presidente proposto dal sovrano, l’allora leader dei Popolari Mariano Rajoy, rifiutò l’incarico perché dichiarò: «non ho i voti per esser investito.».

Aggiungiamo, che la costituzione del ’78, ha introdotto nell’ordinamento spagnolo la sfiducia costruttiva, prevista dalla legge fondamentale tedesca.

Il Congresso può approvare una mozione di censura contro il Premier in carica, indicando per iscritto chi lo deve sostituire: la mozione s’intende accolta se consegue 176 voti, cioè la maggioranza assoluta dei membri del Congreso.

nel giugno 2018, per esempio, una mozione di questo tipo fu approvata, determinando la caduta dell’ultimo gabinetto Rajoy e l’insediamento al suo posto del leader socialista Pedro Sánchez.

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QUALI SONO LE PRINCIPALI DIFFERENZE TRA IL PREMIER SPAGNOLO E IL SUO COLLEGA ITALIANO?

La più volte ricordata costituzione del 1978 attribuisce al capo del governo spagnolo delle prerogative che il suo collega italiano non possiede.

Come s’è visto, l’inquilino della Moncloa può proporre, se necessario, al Re lo scioglimento delle Cortes e l’indizione delle elezioni generali.

Inoltre, può rimuovere membri del proprio gabinetto o assegnar loro deleghe diverse. In sostanza, il suo status giuridico è quello d’un superiore rispetto a ministri e segretari di Stato. Qualcuno ha paragonato la sua figura giuridica a quella del Cancelliere tedesco: anch’egli è eletto dal Bundestag, può esser rimosso, mediante una mozione di sfiducia costruttiva, può destituire ministri sgraditi o non all’altezza dell’incarico, può proporre la convocazione anticipata delle elezioni federali.
(In Germania l’elezione del BundesKanzler avviene a scrutinio segreto).

Com’è noto, il Presidente del Consiglio italiano non può fare nessuna di queste cose: non ha il potere di revoca dei ministri e non può proporre lo scioglimento delle Camere. In caso di sfiducia votata da una delle due aule deve dimettersi lasciando al Capo dello Stato la facoltà di nominare un successore o quella di congedare i due rami del Parlamento in vista di nuove elezioni.

Da noi si dice che il PCM è un “primus inter pares”: in passato era sicuramente così, anche se negli ultimi decenni la figura giuridica dell’inquilino di Palazzo Chigi, nella prassi, è divenuta un po’ più simile a quella d’un primo ministro.

Tutti i Presidenti del Governo spagnolo,prima o poi han proceduto a rimpasti ministeriali più o meno profondi e molti han convocato in anticipo le elezioni generali: dalla riconquista della democrazia (1975) e dal varo della costituzione (1978) si sono susseguite 15 elezioni generali e una quantità di consultazioni amministrative e regionali.

Sempre dal ’75 si son succeduti alla Moncloa 8 premier: il record di durata in carica spetta al socialista Felipe González Márquez che rimase premier 14 anni (1982-96); il più effimero, Leopoldo Calvo-Sotelo (1981-82).

In Italia, com’è noto, i governi sono meno duraturi (68 dal 1946 ad oggi) e i presidenti del Consiglio dei ministri che si son succeduti a Palazzo Chigi dalla proclamazione della Repubblica sono stati una trentina.

Il più longevo politicamente Alcide De Gasperi (1945-53), il più effimero Ferdinando Tambroni Armaroli (marzo-luglio 1960).

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ANALISI.

PERCHE’ IL VOTO SPAGNOLO ERA COSI’ IMPORTANTE ED ATTESO?

I media di tutto il mondo han riservato grande attenzione agli sviluppi della vicenda spagnola perché a meno d’un anno dal rinnovo del parlamento europeo (6-9 giugno 2024) si temeva che la destra, anzi l’ultradestra, salisse al governo d’uno dei paesi più importanti dell’UE.

Di questa realtà erano consapevoli anche i cittadini del paese che infatti si son recati alle urne massicciamente facendo registrare un tasso di partecipazione tra i più alti degli ultimi anni, oltre il 70%.

Ciò ha probabilmente tarpato le ali alla coalizione conservatrice che aveva vinto a mani basse le amministrative di maggio.

In più, il rischio concreto dell’elezione d’un governo di destra a quasi cinquant’anni dalla morte di Francisco Franco ha influito sul comportamento sia degli elettori che dei partiti avversi all’avanzata della combinazione nerazzurra.

Di questo parere ad esempio è Steven Forti, docente di storia contemporanea all’Università Autonoma di Barcellona nonché uno dei più acuti analisti del fenomeno Vox. Intervistato da avvenire.it all’indomani del voto del 23 luglio spiega: «L’eventualità di avere l’estrema destra all’interno del governo ha rimobilitato l’elettorato progressista che, invece, era rimasto maggiormente in disparte durante le regionali e le municipali. In particolare c’è stata una presa di posizione forte da parte delle donne di fronte al rischio di vedere modificate alcune leggi sulla violenza di genere. Abascal, (il leader di Vox, NDR) inoltre, ha puntato molto sul cosiddetto slogan «echar al sanchismo », «cacciare il sanchismo», ripetuto anche dai popolari. Non Sánchez ma il sanchismo. una categoria inventata, in cui rientrerebbero tutti i cosiddetti nemici della Spagna: socialismo, comunismo, indipendentismo, globalismo, femminismo. È stata “venduta” l’idea che il governo del Psoe fosse sostenuto dai «terroristi », soprattutto da gruppi baschi filo-Eta, cosa che ovviamente non era vera. Vox si è talmente concentrato su questo attacco frontale da dimenticare di presentare la propria idea di Paese. Al di là della retorica non ha quasi mai parlato del programma e questo, alla fine, ha pesato.[3]

E per l’Europa, quale messaggio viene da Madrid?

Non è un mistero, aggiungiamo noi, che la campagna per le elezioni comunitarie del prossimo anno sia già cominciata praticamente dappertutto ed è cosa nota che i diversi partiti di destra al governo in molti paesi membri, tra cui Svezia, Finlandia, Polonia, Ungheria, Grecia ed Italia stan cercando di creare una coalizione che conduca il PPE ad accordarsi coi gruppi di destra presenti a Strasburgo per eleggere l’anno prossimo un presidente di commissione d’orientamento conservatore nazionalista, in modo da realizzare quell’Europa delle Nazioni di cui parla apertamente lapremier italiana Giorgia Meloni. La conseguenza sarebbe un’Europa in cui i singoli Stati sarebbero,molto più di oggi, prevalenti rispetto alle esigenze comunitarie. Un grande mercato, dove però i 27 avrebbero sempre la possibilità di porre dei limiti e degli ostacoli alla circolazione dellemerci e delle persone.

Soprattutto, un Europa sempre più “vaso di coccio” rispetto ai numerosi “vasi di ferro” che agiscono già sulla scena mondiale:Cina e Stati Uniti in primis.

Il risultato del voto spagnolo segna una battuta d’arresto per questo progetto, ma in autunno si voterà altrove e non è detto che in Polonia, Slovacchia, Lussemburgo e Paesi Bassi le liste nazionalconservatrici non vincano e non vadano al potere.

In più, come s’è visto, nemmeno in Spagna possiamo esser certi che non si torni a votare tra qualche mese rimettendo in discussione l’esito interlocutorio che abbiamo descritto precedentemente, ma che lascia tuttavia aperti degli spiragli alla costituzione d’una maggioranza europeista e riformista.

PIER LUIGI GIACOMONI

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NOTE:

[1] Constitución del Reino de España, 6 de diciembre 1978, art. 115, apartado 1;
[2] Constitución del Reino de España cit, art. 99;
la traduzione dall’originale spagnolo è mia.
[3] L. Capuzzi, «Da Madrid un chiaro monito per le Europee: l’idea di spostare il Ppe a destra è un rischio», avvenire.it, 25 luglio 2023.

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