SIERRA LEONE ALLA PROVA DEL VOTO
(12 Marzo 2018)
FREETOWN. La Sierra Leone, mercoledì 7 marzo, è andata alle urne per rinnovare i poteri nazionali e locali: 3,1 milioni di elettori sono stati chiamati ad eleggere il Presidente della Repubblica, i 132 membri dell’Assemblea nazionale, nonché i sindaci ed i delegati di 14 distretti amministrativi.
La consultazione avviene a pochi mesi dalle terrificanti alluvioni che investirono Fretown, la capitale, che provocarono almeno 600 vittime e danni incalcolabili.
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La corsa presidenziale. Per la massima carica dello Stato, sono scesi in campo ben sedici candidati, tra cui due donne.
I pronostici della vigilia danno in vantaggio i candidati del All People’s Congress (APC) e del Sierra Leone People Party (SLPP), i due schieramenti che hanno sempre dominato la scena politica del paese, da quando nel 1961 ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna.
L’aspirante Presidente della Repubblica scelto dall’APC è l’attuale ministro Per gli Affari Esteri, Samura Kamara, mentre l’SLPP, all’opposizione, ha scelto invece l’ex generale Julius Maada Bio.
Il primo è considerato molto vicino al Capo dello stato uscente Ernest Bai Koroma, che non può ricandidarsi per raggiunti limiti di mandato; il secondo si propone, dopo aver già tentato la scalata alla massima magistratura statale nel 2012, quando raccolse il 38% delle preferenze.
Durante quest’ultima campagna elettorale, però, è stato costretto a chieder scusa per aver ucciso più di venti persone, durante un tentativo di colpo di Stato a cui partecipò nel 1992 quand’era un militare di carriera.
Il tradizionale dualismo tra APC e SLPP potrebbe esser turbato dalla comparsa di nuove forze politiche che potrebbero sottrarre voti ai partiti maggiori.
Il primo di questi è la National Grand Coalition (NCG), che ha candidato il suo leader Kandeh Kolleh Yumkella, in passato direttore dell’UNIDO, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dello sviluppo industriale;
il secondo è la Coalition for Change (C4C), guidata da Samuel Sam-Sumana, già Vice Presidente della Repubblica, allontanato dalla carica nel 2015.
Sumana, una volta emarginato dal potere, ha fondato questo nuovo schieramento in dissenso con la politica presidenziale, soprattutto per sottrarre all’APC i voti delle province nord-orientali in cui pare abbia la sua base elettorale.
Un terzo possibile outsider è Mohamed Kamaraimba Mansaray, già membro dell’APC, che ha fondato il partito Democratico dell’Alleanza.
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I risultati provvisori. La Commissione elettorale nazionale ha intanto pubblicato i primi risultati ufficiali delle elezioni presidenziali relativi al 75% delle schede.
Il più votato è Julius Maada Bio con il 43,3%, tallonato da Samura Kamara, con il 42,6%.
In un primo momento pareva in vantaggio, anche se di misura, il Ministro per gli Affari Esteri Kamara, poi,però,è avvenuto il cambio della guardia al vertice della classifica.
al di sotto delle aspettative le performance d’una serie di candidati in grado di turbare il tradizionale bipartitismo sierraleonese tra APC e SLPP:
• al terzo posto, ma con solo il 6,9% si colloca Kandeh Yumkella della National Grand Coalition;
• al quarto, l’ex vice presidente Samuel Sam-Sumana della Coalition for Change (C4C), col 3,4%.
Non avendo nessun concorrente ottenuto almeno il 55% dei voti, sarà necessario un turno di ballottaggio tra i due pretendenti più votati: la data di questa seconda votazione non è ancora nota perché – prescrive la legge – occorre prima che siano concluse tutte le operazioni di spoglio e verificati i casi di irregolarità.
Il presidente della commissione elettorale, Mohameed Conteh, ha dichiarato che è stato fatto tutto il possibile per garantire la correttezza del voto e dello scrutinio: ha tuttavia riconosciuto che in alcuni distretti sono avvenute irregolarità – per questo si sta procedendo al riconteggio dei voti – ed indagini sulla condotta di alcuni funzionari elettorali che avrebbero commesso gravi frodi.
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La campagna elettorale. La fase d’avvicinamento al voto, diversamente da quanto accade spesso in Africa, è stata tutto sommato tranquilla, senza incidenti né scontri tra supporter delle diverse liste in campo.
Il dibattito si è concentrato principalmente sul tema della corruzione, una piaga che impedisce al Paese di sfruttare appieno le materie prime di cui abbonda ed il reddito da esse prodotto.
Pur avendo un suolo ricco di diamanti, infatti, la Sierra Leone rimane uno dei Paesi più poveri al mondo.
Altro tema altamente coinvolgente: l’influenza, da alcuni ritenuta eccessiva di Paesi stranieri sull’economia nazionale: il governo uscente, ad esempio, è stato accusato d’essere stato finanziato dalla Cina per la costruzione d’un nuovo aeroporto ed un’autostrada che attraversa il Paese, progetti di punta del Presidente uscente Koroma.
Preoccupa l’opinione pubblica anche la presenza sempre maggiore di aziende nigeriane che starebbero assumendo un ruolo centrale.
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I controlli e la sicurezza. Per la giornata elettorale, le autorità hanno predisposto una serie di misure di sicurezza per garantire il regolare svolgimento del voto. Tra queste anche il divieto di circolazione di veicoli privati imposto dal governo, che l’opposizione ha fortemente criticato perché convinta che si tratti di un modo per ridurre l’affluenza alle urne. Affinché le operazioni di voto si svolgessero senza problemi l’organizzazione National Election Watch ha dislocato 11.122 osservatori nei 16 distretti elettorali.
Secondo le informazioni che giungono da Freetown, l’afflusso degli elettori ai seggi aperti dalle 7 alle 18 locali è avvenuto nella calma e lo scrutinio si è svolto pacificamente.
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Economia in lenta ripresa. Quello che appare certo è che il voto del 7 marzo arriva in un momento cruciale, in cui la Sierra Leone si sta lentamente riprendendo dall’impatto devastante dell’epidemia di Ebola, che tra il 2014 e il 2015 ha provocato solo nel Paese 3.955 morti (in tutta l’Africa occidentale le vittime son state 11.315).
Nel periodo in cui il virus flagellava il paese, pochi lavoravano e nessuno pagava le imposte.
A questo, si è aggiunto il blocco delle esportazioni, la chiusura delle frontiere, la riduzione della produzione mineraria e la contrazione delle attività economiche in moltissime zone. Una concomitanza di fattori negativi che hanno rallentato lo sviluppo del paese e bloccato ogni fonte di investimenti esteri.
Inoltre, lo Stato ovestafricano ha risentito pesantemente del crollo dei prezzi dei minerali ferrosi, registratosi nello stesso periodo in cui infuriava ebola.
Tra i problemi che colpiscono la fragile economia sierraleonese vi è l’inflazione che riduce notevolmente il potere d’acquisto dei 7,4 milioni di abitanti: a dicembre 2015 il tasso di svalutazione del Leone, lamoneta nazionale, era del 9,5%, un anno dopo ha raggiunto il 17,41%, regredendo nel novembre 2017 al 16,26%).
Secondo le critiche dell’opposizione tutto ciò si deve alla politica del governo uscente che ha favorito la svalutazione per far riprendere le esportazioni e ridare impulso ad un’economia danneggiata dall’epidemia di ebola.
Freetown risponde dati alla mano che, secondo la Banca Mondiale, la Sierra Leone, dopo aver visto crollare il proprio PIL del 20,6% nel 2015, ha registrato una debole ripresa negli ultimi due anni: +4,3% nel 2016, +5,4% nel ’17.
La crescita si deve principalmente ai nuovi investimenti nei settori minerario, agricolo ed ittico.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), se il governo proseguirà nelle riforme già intraprese, la crescita in atto rimarrà sostenuta a medio termine e l’inflazione scenderà al 7,5% nel 2020.
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Altri dossier per la nuova leadership. Oltre a corruzione ed inflazione altri impegnativi dossier attendono la nuova leadership che uscirà dal voto.
Innanzitutto, sono necessari ed urgenti nuovi investimenti per rivitalizzare il fatiscente servizio sanitario nazionale, favorire l’accesso all’istruzione dei giovani, componente maggioritaria della popolazione, garantire maggiore sicurezza contro l’imperversare della criminalità.
Si lamenta anche l’assenza di strutture che garantiscano l’inserimento dei più poveri nel ciclo economico e produttivo e la sussistenza d’un’economia informale e d’un sommerso che favoriscono lo sfruttamento e l’evasione fiscale.
L’opinione pubblica, inoltre, nutre scarsa fiducia nell’autonomia del potere giudiziario dalla politica e ritiene che in Parlamento siedano troppi corrotti.
Senza dimenticare la pesante eredità della guerra civile che dal 1991 al 2002 ha provocato la morte di oltre 50 mila persone e l’esodo di circa 2 milioni di civili.
Sono ancora vivide, in Sierra leone, le immagini dei bambini-soldato, arruolati dal RUF (Revolutionary United Front) e delle orrende mutilazioni che venivano inflitte dai miliziani a chi si rifiutava di combattere al loro fianco.
Il compito, quindi, che attende il nuovo Presidente è sicuramente arduo, ma già il fatto che lo scrutinio di mercoledì scorso si sia svolto nella calma e nell’ordine pare un buon viatico.
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La Sierra Leone. Situata sulla costa occidentale dell’Africa, confina a nord e ad est con la Guinea e a sud-est con la Liberia: è bagnata dall’Oceano Atlantico.
La sua superficie ammonta complessivamente a 71.740 km² ed è abitata da 7,4 milioni di persone.
Ottenuta l’indipendenza dal Regno Unito il 27 aprile 1961, ebbe una vita politica assai turbolenta col succedersi d’una serie di uomini forti che concentrarono nelle proprie mani tutto il potere.
Si arrivò così alla guerra civile del 1991 durante la quale le forze armate governative dovettero fronteggiare le milizie del RUF che perpetravano orrendi massacri tra la popolazione.
Chiuso Il conflitto con la sconfitta del RUF e l’arresto del suo leader Foday Sanko, tra l’altro foraggiato dal signore della guerra liberiano charles Taylor, che si procurava il denaro per finanziare le milizie, vendendo diamanti e droga, il Paese intraprese una lunga marcia verso la ricostruzione e la riconciliazione nazionale.
Questa transizione è tuttora in corso e sarà compito del nuovo Presidente e della sua amministrazione portarla avanti, onde impedire il riaccendersi di antichi rancori.
PIER LUIGI GIACOMONI