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SESSANT’ANNI FA, TAMBRONI
(14 Luglio 2020)

ROMA. «Di nuovo a Reggio Emilia di nuovo la` in Sicilia
son morti dei compagni per mano dei fascisti

Di nuovo come un tempo, sopra l’Italia intera
Fischia il vento infuria la bufera»

Con queste parole, Fausto Amodei nel 1960 commemora con una celebre canzone di protesta, intitolata «per i morti di Reggio Emilia» i cinque giovani che nel luglio 1960 perdono la vita in scontri con la polizia durante una manifestazione di protesta.

Quei tragici avvenimenti segnano il culmine di un duro conflitto che oppone apparati dello Stato a forze democratiche.

Sessant’anni fa, oltre che a Reggio, a Genova, Palermo, Catania, la gente scende in piazza per protestare contro il Governo Tambroni, un debole monocolore, voluto dal Capo dello Stato, appoggiato provocatoriamente in Parlamento dall’MSI, una forza politica d’estrema destra, costituita da reduci della Repubblica Sociale italiana, nostalgici del Fascismo.

Da decenni, la pubblicistica cerca di capire cosa è davvero accaduto in quei mesi dietro le quinte per giungere a quell’esito drammatico: allora il tentativo di trasformare l’Italia in una specie di “quinta Repubblica” modellata sulla falsa riga di quella francese fallisce, ma poi altri avvenimenti, ancora più tragici costelleranno di sangue l’intera storia del nostro Paese e dimostreranno al di là d’ogni ragionevole dubbio, che c’è sempre stato chi ha pensato, progettato e tentato di realizzare da queste parti una svolta autoritaria.

Del resto, l’Italia di allora è uno degli Stati di frontiera tra il cosiddetto “mondo libero” e l’area comunista che si estende da Trieste a Vladivostok, mentre la natura peninsulare del nostro territorio la rende, ieri come oggi, una naturale portaerei tra l’Europa e il Medio Oriente.

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UN RAPIDO QUADRO D’INSIEME.

IN ITALIA.

Siamo in un momento cruciale nella storia politica italiana del secondo dopoguerra: mentre il cinema vive il suo periodo d’oro (escono Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti e La dolce vita di Federico Fellini), il «miracolo economico» è al suo culmine e Roma ospita le Olimpiadi, il Paese attraversa la peggiore crisi istituzionale dalla nascita della Repubblica: da un lato è in evidente declino la formula centrista inaugurata da Alcide de Gasperi nel 1947, dopo la fine del governo del CLN, dall’altro, la sinistra DC preme affinché l’area di governo si apra ai socialisti.

I comunisti e l’MSI sono esclusi dall’area di governo: possono solo sperare di governare le giunte locali, ma non possono entrare nel governo nazionale: tuttavia tra il ’58 ed il ’59 si realizza in Sicilia una strana coalizione di governo guidata da silvio milazzo che va dai missini ai comunisti ed esclude il partito cattolico.

E’ un esperimento di trasversalità che dura poco, ma che mette i brividi alla schiena dei dirigenti democristiani, abituati a gestire a Roma come a palermo il governo ed il sottogoverno.

Nel mondo cattolico, precedentemente egemonizzato dal conservatorismo di Pio XII, si registrano spinte innovatrici a seguito dell’elezione del Card. Angelo Giuseppe Roncalli al soglio pontificio col nome di Giovanni XXIII.

Il nuovo Papa, che pubblicherà la “pacem in terris” ed incontrerà nel ’63 un dirigente del PCUS, ha indetto il Concilio Ecumenico Vaticano II che produrrà un profondo rinnovamento della Chiesa cattolica.

Da quell’importante evento nasceranno decine di movimenti di base che alla lunga porranno fine al collateralismo tra le gerarchie ecclesiastiche e la DC.

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NEL MONDO.

Negli stati Uniti, il 6 novembre è eletto alla presidenza John Fitzgerald Kennedy che durante il suo mandato (1961-63) proverà ad avviare un processo di distensione col Segretario Generale del PCUS Nikita Sergeevic Kruscev, al fine d’allentare la “guerra fredda”, che oppone dal ’46 le due superpotenze ed i loro alleati.

Negli anni delle amministrazioni democratiche Kennedy-Johnson verranno varate norme che riconosceranno alla minoranza nera una serie di diritti civili, come l’accesso all’istruzione ed al voto, che scardineranno la politica segregazionista impostasi per decenni nel Paese.

Nel 1958 nasce la Comunità Economica Europea che raggruppa sei Stati, tra cui l’Italia, ma non la Gran Bretagna, mentre in Francia il Generale Charles de Gaulle è riuscito ad imporre un regime fortemente autoritario per evitare che il paese tracolli nella fase più convulsa della guerra d’Algeria che sta mettendo fortemente in discussione le fragili istituzioni della Quarta Repubblica.

La Germania rimane divisa in due tronconi, mentre in spagna e Portogallo persistono i totalitarismi franchista e salazarista.

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FUORI D’EUROPA.

In Africa, sedici stati ottengono l’indipendenza, tra cui Nigeria, Madagascar e Congo: qui presto scoppieranno diverse guerre civili che lacereranno per anni il Paese.

In America Latina la rivoluzione cubana del ’59 crea i presupposti per un mutamento degli equilibri politici in molti Stati, retti da dittature militari.

Col processo di decolonizzazione in atto, diversi leader del cosiddetto “terzo mondo” (Jawarlal Nehru [India], gamal Abdel Nasser [Egitto], Sukarno [Indonesia], Josip Broz Tito [Jugoslavia]) varano il movimento dei Non allineati, il club dei paesi, che almeno sulla carta, non dovrebbero essere alleati né degli USA né dell’URSS.

In sud Africa si accentua la politica di “apartheid” con l’approvazione di norme sempre più restrittive per la maggioranza nera della popolazione: nel ’61 si registrerà il massacro di sharpeville e nel ’62 Nelson Mandela sarà condannato ad una lunghissima pena detentiva, mentre in vietnam muove le prime mosse quel conflitto che vedrà coinvolte le forze armate americane ed interesserà tutta l’Indocina fino al 1975.

In cina, Mao lancia il «grande balzo in avanti» che costerà milioni di morti, mentre in turchia le forze armate kemaliste destituiranno Adnan Menderes, poi fucilato, perché vorrebbe delaicizzare lo Stato.

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LA SCENA ITALIANA.

Proprio la rapida attuazione delle riforme istituzionali volute da de Gaulle, di cui abbiamo accennato, affascina molti uomini politici italiani, tra cui il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e diversi esponenti della destra democristiana che vorrebbero modificare l’assetto istituzionale dellO Stato, attribuendo più ampi poteri all’inquilino del Quirinale, come è avvenuto a Parigi,dove in pochi mesi si è passati da una repubblica parlamentare ad una semipresidenziale.

In questo contesto, s’inserisce la figura di Fernando Tambroni: il politico marchigiano, già membro della Costituente, più volte ministro dell’interno, sembra esser la persona giusta per imprimere una svolta alla situazione politica in senso marcatamente autoritario.

Dopo che a febbraio si è dimesso il Segni 2, il 21 marzo Tambroni riceve l’incarico per la formazione d’un nuovo Governo: un monocolore che dovrebbe far approvare il bilancio dello stato – il paese è in esercizio provvisorio – e gestire la fase finale di preparazione delle imminenti olimpiadi.

Il Ministero che giura il 26 marzo vede la presenza di ministri e sottosegretari rappresentativi di tutte le correnti del partito cattolico ed è chiaro a tutti che sarà di decantazione in vista d’una nuova compagine.

Alla Camera, dopo un dibattito di quattro giorni, l’8 aprile, ottiene la fiducia con 300 sì e 293 no. Inaspettatamente, votano a favore del governo i deputati dell’MSI che risultano determinanti, data l’opposizione di tutti gli altri partiti. Conseguenza: il giorno successivo i ministri della sinistra DC si dimettono perchè ritengono inaccettabile che un esecutivo sia sostenuto da un partito d’ispirazione neofascista.

Anche Tambroni si dimette il 12 aprile,ma dopo aver condotto delle consultazioni, fallito un incarico assegnato ad Amintore Fanfani che vorrebbe creare un esecutivo DC-PSDI-PRI aperto al PSI, Gronchi chiede al Premier in carica di ripresentarsi in parlamento, in particolare al Senato, per ottenervi la fiducia. Il 29 aprile Palazzo Madama la concede con 128 sì e 110 no.

Rapidamente, aumenta la tensione nel paese: il progettato VI congresso nazionale del MSI previsto a Genova dal 2 al 4 luglio produce delle reazioni in tutta Italia.

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CRONOLOGIA ESSENZIALE DEI FATTI.

25 giugno: Primi disordini a Genova contro il congresso del MSI. Una manifestazione non autorizzata di militanti comunisti è dispersa da polizia e carabinieri: malgrado l’intervento dei militari, i manifestanti si riuniscono E danno luogo ad una sassaiola contro le forze dell’ordine, che reagiscono caricando e sparando lacrimogeni. Arturo Michelini, Segretario dell’MSI, si appella al governo per il ristabilimento dell’ordine in città in vista dell’assise.

28 giugno: Sandro Pertini, ex partigiano e futuro presidente della Repubblica, parla a Genova contro lo svolgimento del Congresso dell’MSI ad una manifestazione antifascista che si sposta poi al ponte monumentale, a cinquanta metri dal teatro Margherita, destinato ad ospitare il congresso; viene annunciata una guardia d’onore ininterrotta del sacrario partigiano con uomini e gonfaloni delle varie città del Nord, distintesi nella lotta di liberazione.
L’associazione degli industriali denuncia la Camera del Lavoro di Genova perché promuove “scioperi politici”.

29 giugno: sciopero generale a Genova contro il Congresso del MSI. Dopo un imponente corteo cariche della polizia e scontri. Bombe lacrimogene, automezzi delle forze dell’ordine sono dati alle fiamme. Feriti sei cittadini e centonove tra carabinieri e poliziotti.
Quasi settanta arresti.

1-3 luglio: Il PCI chiede le dimissioni del governo Tambroni.
L’MSI, dopo le prime dichiarazioni di ritiro dell’appoggio al governo, esita a prendere un’effettiva decisione. A Genova è intanto vietato un comizio antifascista di Ferruccio Parri, ex leader di Giustizia e Libertà e Presidente del Consiglio nel 1945. Indetto per il 3 luglio un convegno delle forze antifasciste per chiedere lo scioglimento dell’MSI.
Tambroni si incontra con Giovanni Gronchi, Presidente della Repubblica ed Aldo Moro, Segretario della DC, per esaminare la situazione politica. PSI e PSDI chiedono l’apertura della crisi.
Il prefetto di Genova, non potendo garantire la piena protezione del teatro Margherita, propone lo spostamento del congresso dell’MSI a Genova Nervi. Al rifiuto del partito l’evento è definitivamente vietato: la PS si incarica di scortare i delegati missini giunti a Genova alla stazione e all’aeroporto.

3 luglio: un editoriale de’ “Il Secolo d’Italia”, organo dell’MSI, scrive che con l’annullamento del congresso il vero sconfitto è lo Stato democratico, costretto ad arrendersi alla piazza e alla sedizione, e con lo Stato la Costituzione e le libertà democratiche. Alla Camera, dove si discute il bilancio del Ministero degli Interni, Franz Turchi e Pino Romualdi esprimono opinioni contrastanti sull’appoggio parlamentare al governo: per Romualdi non si può sostenere un governo che permette ai partiti di sinistra di dominare la piazza e colpire le forze dell’ordine. Dalla riunione dell’esecutivo nazionale L’MSI esce diviso: per Giorgio Almirante sostenere ancora il governo significherebbe perdere la faccia di fronte agli elettori. Turchi ritiene invece che farlo cadere farebbe il gioco del PCI.

5 luglio: parlando al Senato sul bilancio del proprio ministero Giuseppe Spataro, ministro degli interni, dichiara che il PCI ha approfittato della convocazione del congresso del MSI a Genova per sfruttare il legittimo sentimento antifascista della popolazione e indirizzarlo non solo contro il Governo, ma anche contro lo Stato e le libertà democratiche che garantisce. Insorgono i senatori di PCI e PSI: il presidente Cesare Merzagora è costretto a sospendere la seduta dopo un vivo e prolungato tumulto con tentativi di aggressione al banco del Governo. Ripresa poi la seduta il bilancio è approvato nonostante l’assenza del gruppo missino.

6 luglio: Roma. Nonostante il divieto della Prefettura una delegazione di parlamentari della sinistra si presenta alle 19 a Porta San Paolo per deporre una corona di alloro alla lapide dei caduti.
Squadre di carabinieri a cavallo, facendo uso di idranti, entrano in azione per disperdere i manifestanti che li hanno accompagnati.

7 luglio: Reggio Emilia. Durante una manifestazione contro le cariche dei carabinieri a Roma sono uccisi dalla polizia Lauro Farioli, (22 anni, operaio), Ovidio Franchi, (19 anni, operaio), Marino Serri, (41 anni, pastore), Afro Tondelli, (36 anni, operaio), Emilio Reverberi, (39 anni, operaio).
Sono sparati 182 colpi di mitra, 14 di moschetto e 39 di pistola.

8 luglio: il presidente del Senato Cesare Merzagora propone una tregua di quindici giorni tra le forze dell’ordine e le organizzazioni protagoniste della protesta antifascista. Favorevoli alla proposta il PCI e il PSI, riserve della direzione DC, contrari il PLI, il PDI e il MSI. Sciopero generale in tutta Italia indetto dalla CGIL, non aderisce la CISL.
In Sicilia la polizia spara contro i dimostranti antifascisti: due morti a Palermo e uno a Catania.

9 luglio: Reggio Emilia. Si svolgono i funerali delle cinque vittime degli scontri del 7 luglio. Presenti Palmiro Togliatti, Segretario del PCI, Ferruccio Parri e Mauro Scoccimarro, nonché le delegazioni del PCI, del PSI e del PSDI. Partecipano anche diversi esponenti della Resistenza, delle forze antifasciste.

In vista del dibattito alla Camera sulla situazione politica 25 parlamentari DC riuniti sotto la presidenza di Giuseppe Pella, già Premier nel ’53-54, si pronunciano per la difesa del governo Tambroni. Al contrario la sinistra DC chiede un immediato mutamento della formula politica e sollecita un’apertura a sinistra.

9 luglio: si riunisce in assemblea pubblica il Consiglio della Resistenza che chiede le dimissioni del governo DC-MSI di Tambroni. Annunciata una proposta di legge per lo scioglimento dell’MSI. A Palermo alla presenza di Agostino Novella, segretario della CGIL, di Luigi Longo e di una ampia rappresentanza di parlamentari e dirigenti sindacali delle sinistre si svolgono i funerali delle vittime degli scontri con la polizia. Iniziative in molte altre città, fra cui Torino e l’assemblea degli eletti emiliani a Reggio Emilia conclusa da Pietro Ingrao.

11 luglio: in vista del dibattito sui fatti di Reggio Emilia e sulla situazione politica che si svolgerà il giorno dopo alla Camera si riunisce la Direzione DC. La discussione è animata. Si confrontano le varie posizioni. Di fatto si rinvia ogni decisione politica. Punto di compromesso: un poco convinto sostegno all’operato del governo di fronte ai «disordini». L’Unità del 12 luglio denuncia con una sequenza fotografica come la polizia, a Reggio Emilia, abbia sparato a freddo sui dimostranti. Riporta inoltre la notizia di giovani di Genazzano, in provincia di Roma, torturati dai carabinieri per aver scritto sui muri Abbasso Tambroni.

12 luglio: alla Camera discussione sulle interpellanze relative ai fatti accaduti a Roma e Reggio Emilia. Intervengono Pietro Nenni (PSI), Giuseppe Saragat (PSDI), Giovanni Malagodi (PLI), Palmiro Togliatti (PCI). Terminata la seduta è diffusa la notizia che è convocata per la mattina del giorno dopo (13 luglio) la Direzione della DC. La convocazione è stata richiesta dalla sinistra DC per sollecitare un governo di centro-sinistra aperto al PSI.

13 luglio: si riunisce la Direzione della DC per esaminare le proposte di Saragat e Malagodi di un appoggio dei loro partiti ad un governo d’emergenza. L’orientamento che prevale, nonostante le riserve di Tambroni, è la disponibilità ad un esecutivo con l’appoggio dei partiti minori di centro (PLI, PSDI e PRI). Disponibilità che viene esplicitata da Luigi Gui, capogruppo DC, nel suo intervento nel dibattito alla Camera. A Montecitorio i parlamentari comunisti e socialisti di Reggio Emilia, in una conferenza stampa, presentano un nastro registrato da un cittadino in cui si dimostra che polizia e carabinieri hanno aperto il fuoco premeditatamente.
Ferruccio Parri presenta al Senato una proposta di legge per lo scioglimento dell’MSI cui la maggioranza nega il carattere d’urgenza.

16 luglio: mentre continuano le manifestazioni antifasciste in tutta Italia viene raggiunto l’accordo per un governo monocolore DC presieduto da Amintore Fanfani e sostenuto dall’appoggio esterno di PLI, PSDI e PRI. Da una battuta di Aldo Moro l’esecutivo viene definito delle «convergenze democratiche». MSI e monarchici accusano il PLI di aver capitolato alle esigenze di un centro-sinistra di cui non farà parte.
L’MSI presenta una proposta di legge per istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sull’operato del PCI.
La DC manterrà la fiducia all’esecutivo Tambroni fino alla presentazione di un diverso esecutivo.

17-19 luglio: con la piena approvazione delle «convergenze democratiche» tra la DC, il PSDI, il PRI ed il PLI Tambroni riunisce il consiglio dei ministri. Preso atto della formazione di una nuova maggioranza il presidente del consiglio onora l’impegno assunto davanti al Parlamento e si reca dal capo dello Stato per presentare le dimissioni.

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IL DOPO TAMBRONI.

Negli anni successivi si formeranno vari governi di centro-sinistra organico, con la presenza cioè dei socialisti: Pietro Nenni, in particolare, sarà vicepremier negli esecutivi presieduti da Aldo Moro (1963-1968): l’impostazione marcatamente riformista dei primi esecutivi Fanfani (1960-63) si perderà un po’ per strada, tuttavia verranno varate riforme importanti come la nazionalizzazione delle compagnie elettriche, la creazione della scuola media unica, lo statuto dei lavoratori.

I rapporti tra DC e “laici” si deterioreranno negli anni Settanta in occasione della battaglia sul divorzio, legge approvata nel 1970 con l’opposizione di democristiani e missini. Si giungerà nel maggio ’74 ad una violentissima campagna elettorale in vista del referendum che sancirà col 59,1% dei voti l’affermazione dell’opzione divorzista.

Nel 1964, lo si scoprirà dopo, il presidente della Repubblica Antonio Segni verrà a conoscenza del “piano solo” un tentativo di alcune forze occulte per condizionare il governo Moro ed evitare un suo ulteriore spostamento a sinistra.

Nel 1969 prenderà avvio la “strategia della tensione” con gli attentati di Milano (Piazza Fontana), mentre l’anno successivo nella notte tra il 7 e l’8 dicembre un tentativo di golpe verrà bloccato mentre era in fase d’attuazione.

Gli anni Settanta, poi, sono contraddistinti dall’emergere di diverse movimenti terroristici d’estrema destra e d’ultrasinistra, che segneranno gli «anni di piombo» italiani: attentati, assassini, rapimenti come quello di Aldo Moro, presidente della DC, costelleranno quasi quotidianamente l’attualità nazionale.

Molti di questi tragici eventi non saranno mai completamente chiariti, ma nel 1990 l’opinione pubblica apprenderà che in Italia ha operato una struttura segreta denominata «Gladio» che aveva il compito d’impedire con qualunque mezzo l’avvento al potere dei comunisti, mentre nel 1981 a castiglion Fibocchi verrà scoperta l’esistenza d’una loggia massonica segreta «Propaganda 2» a cui sono iscritti uomini dello stato, politici, giornalisti, imprenditori… La «P2» ha in progetto di realizzare un «Piano di rinascita democratica» che prevede la creazione d’una repubblica presidenziale, la sottomissione di radio, tv e giornali al potere politico: insomma la creazione d’uno Stato autoritario.

La «P2» per far questo ha già messo le mani nelle banche e nei giornali ed è in sostanza uno Stato dentro lo Stato.

Anche la Chiesa è coinvolta in questo progetto: non solo perchè vi sono alti prelati iscritti alla Loggia, ma perché lo IOR (Istituto per le Opere di religione) diretto da Mons. Paul marcincus è direttamente coinvolto in diverse operazioni finanziarie poco chiare.

E Tambroni? Dopo la caduta del suo fragile Ministero quasi scompare dalla scena politica: morrà d’infarto nel 1963.

PIER LUIGI GIACOMONI

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