SERBIA. VUCIC RIELETTO PRESIDENTE, PARLAMENTO PIU’ ARTICOLATO
(1 Maggio 2022)
BELGRADO. Aleksandar Vucic succede a sé stesso alla presidenza della Repubblica Serba: col 60% dei voti, il capo dello stato ha conservato il 3 aprile la carica e rimarrà al potere fin al 2027.
tuttavia, nelle contemporanee elezioni legislative il Partito del Progresso (sns) disporrà solo di 120 dei 250 seggi dell’Assemblea Nazionale. Conseguenza, sarà obbligatorio cercare dei partner per formare un governo di coalizione.
Altrettanto incerto si presenta il futuro dell’amministrazione municipale di Belgrado: qui l’SNS ha ottenuto 48 dei 110 seggi del Consiglio comunale e per eleggere il sindaco della capitale occorrerà stringer delle alleanze con le forze minori.
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PARLAMENTO VARIEGATO.
Se, per l’appunto, la corsa alla Presidenza della Repubblica non ha avuto storia, il candidato giunto secondo, Zdravko Ponos, ha raccolto solo il 18,8%, più variegata si presenta la composizione del Parlamento.
anzitutto, i progressisti non hanno più la maggioranza assoluta né in voti (44,3%) né in seggi; poi altre formazioni hanno acquisito una rappresentanza.
“Uniti per la vittoria della Serbia” — la coalizione guidata da Ponos col 14,1%, elegge 38 deputati; la lista “Ivica Dacic – Primo ministro”, coalizione guidata dal partito socialista il 10,8% (32 seggi), alternativa nazional Democratica 5,5 (15 seggi) e Possiamo 4,8% (13 seggi). Altre liste raccolgono i restanti 32 mandati.
due anni fa, in occasione delle politiche anticipate, il predominio dei progressisti nel legislativo serbo era quasi totale (196 seggi su 250), ma allora quasi tutta l’opposizione aveva deciso di boicottare il voto per protestare contro il monopolio dei media da parte del Presidente e del suo partito.
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COMMENTI E REAZIONI.
Esprimendosi sull’esito dello scrutinio presidenziale vucic ha ringraziato gli elettori per la confermata fiducia, tra l’altro l’affluenza alle urne ha sfiorato il 60%, tasso di partecipazione insolito per la Serbia dove l’astensionismo va molto di moda.
«Sono contento – ha detto – che un gran numero di persone abbia votato e dimostrato la natura democratica della Serbia », aggiungendo poi che la posizione di Belgrado in relazione alla guerra in corso non cambierà: buoni rapporti con la Federazione russa, ma neutralità verso tutti i combattenti. Belgrado, del resto non ha aderito alle sanzioni decretate da 43 paesi contro Mosca. A proposito della questione dei riforninmenti di gas e petrolio, il leader serbo ha detto: «Dobbiamo vedere cosa fare per ciò che concerne il petrolio, vi saranno colloqui sul gas» ma il messaggio per europei, russi ed americani è chiaro: «Proseguiremo nella politica di neutralità e non aderiremo ad alcuna alleanza militare».
Parole gradite a Mosca: il Presidente russo Vladimir V. Putin è stato uno dei primi leader mondiali a congratularsi con Vucic: «Auspico che la vostra attività come capo dello Stato possa continuare a contribuire alla partnership strategica esistente tra i nostri due Paesi».
Politico di lungo corso, fu già ministro ai tempi di Milosevic, Vucic,nazionalista conservatore, da un lato vorrebbe portare la Serbia nell’Unione europea, dall’altro desidererebbe tener buoni rapporti con la Russia dalla quale in passato ha ricevuto carri armati e con cui ha una lunga consuetudine di vicinanza panslava e panortodossa.
la sua campagna elettorale, impostata dapprima sui temi di maggior rilevanza nazionale quali la corruzione, la criminalità, l’ambiente… è stata sconvolta dallo scoppio della guerra russo-ucraina che ha scompaginato l’agenda politica.
Così, il tema dominante del dibattito è diventato la collocazione internazionale della Serbia in rapporto al conflitto, tenuto conto delle relazioni privilegiate con la Russia: in proposito Vucic ha sfruttato abilmente la situazione, tentando d’accreditarsi come l’unico leader in grado di garantire stabilità e sicurezza tanto per la Serbia che per tutti i Balcani.
Sembra passato in secondo piano il processo d’adesione di Belgrado all’UE: in un primo momento pareva che il percorso si sarebbe concluso intorno al 2025 qualora fosse stato risolto il contenzioso sul Kosovo, stato autoproclamatosi indipendente nel 2008, ma non riconosciuto né dalla Serbia che lo considera una propria provincia, né da alcuni importanti membri dell’Unione come Spagna e Romania.
I negoziati tra Serbia e Kosovo per la soluzione delle loro divergenze sono fermi da oltre un anno e non è chiaro se e quando riprenderanno: per il momento tanto a Belgrado quanto a Prishtina prevale il punto di vista nazionalista, cosa che rende improbabile il raggiungimento d’un’intesa in tempi rapidi.
quanto a Bruxelles, non sembra ansiosa d’inglobare nell’alveo comunitario un Paese retto da un “uomo forte” che segue nella sua politica una linea molto simile a quella adottata da viktor Orbán in Ungheria.
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EFFETTI COLLATERALI INDESIDERATI.
Molti commentatori temono però che tra gli effetti collaterali indesiderati del conflitto russo-ucraino vi sia il riacutizzarsi dei contrasti nei balcani occidentali, in particolare in Bosnia-Erzegovina. Qui, il leader dei serbobosniaci Milorad dodik ha lasciato intendere nei mesi scorsi che la sua componente etnica potrebbe separarsi dalla repubblica con capitale Sarajevo o per divenire completamente indipendente o per far ingresso in Serbia. Un simile passo potrebbe far deflagrare di nuovo i contrasti tra le tre comunità che compongono lo Stato, spingendo per esempio i croati a volersi fondere con Zagabria e creando le condizioni per un microstato musulmano.
ci vorrà comunque molta moderazione per evitare che la “polveriera balcanica” riesploda con conseguenze difficilmente prevedibili.
PIER LUIGI GIACOMONI