RUANDA. VENTICINQUE ANNI FA IL GENOCIDIO
(7 Aprile 2019)
KIGALI
Un quarto di secolo fa, il Ruanda, piccolo Stato dell’Africa dei Grandi Laghi, fu devastato da un’ondata di folle
violenza che provocò la morte di forse un milione di persone, su una popolazione che ne contava allora 7,5 milioni.
Un settimo degli abitanti morì in cento giorni uccisa col fuoco, coi machete, con le armi per realizzare un’assurda
pulizia etnica: eliminare i Tutsi ed i loro amici dal territorio nazionale, creando una Hutuland priva di senso e
contraria alla storia.
Erano gli anni in cui in Iugoslavia si cercava di realizzare lo stesso progetto: creare degli Stati etnicamente
puri: i serbi in una Grande Serbia, i croati in un’altrettanto Grande Croazia e al diavolo tutte le possibili
mescolanze e multietnicità. Gli eventi iugoslavi erano su tutti gli schermi televisivi da anni e qualcuno in ruanda
deve aver pensato che se lo facevano in europa, lo si poteva anche realizzare in un piccolo angolo del continente
nero.
Ciò che esplose il 7 aprile 1994 era la messa in opera d’un progetto che germogliava da tempo e che vedeva insieme
una complessa coalizione, che univa, come si comprese successivamente, circoli di potere, gruppi estremisti della
destra locale, sostenuti da una martellante propaganda.
Questa campagna di persuasione, non occulta, sosteneva, come in Iugoslavia, che non era più possibile convivere
insieme, Tutsi e Hutu, gli uni accanto agli altri, che occorreva separare le coppie miste, rimandare gli “alti” da
dove erano venuti. Indiscusso protagonista di questa campagna fu una delle prime radio libere aperte nel Paese,
Radio Mille Colline, che giorno dopo giorno andava ripetendo gli stessi slogan ed invitava gli Hutu ad armarsi.
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BREVE STORIA DEL RUANDA
Il Ruanda diviene indipendente il 1° Luglio 1962, nel momento in cui altri Stati africani conseguono lo stesso
obiettivo, lo stesso giorno raggiunge la piena sovranità anche il burundi, Paese gemello con caratteristiche
morfologiche e umane molto simili. Il cammino verso l’indipendenza del ruanda è drammatico: nel 1959 muore il re,
d’etnìa Tutsi e lo sostituisce il figlio Kigeri V, ma gli Hutu non vogliono un altro sovrano: desiderano prendere
loro il potere. Ne segue una guerra civile che dura fino all’indipendenza e che si conclude col ritiro del padrone
coloniale, il Belgio, e l’avvento al potere del ParMe-Hutu (il partito per l’emancipazione degli Hutu). Primo
Presidente della Repubblica è Gregoire Kayibanda che imporrà un regime a partito unico fino al 1973. I tutsi per
sfuggire ai rastrellamenti ed alle distruzioni di villaggi, vanno esuli nei Paesi vicini, Uganda e Congo e vi
fondano delle aree di presenza ruandese.
Il 5 Luglio 1973, le Forze Armate ruandesi attuano un colpo di Stato: Kayibanda è rovesciato (morrà due anni dopo),
il ParMe-Hutu è sciolto e la costituzione soppressa. Il nuovo regime vuol introdurre dei cambiamenti: vien
introdotto un nuovo partito unico il MRND (Movimento Rivoluzionario nazionale per lo Sviluppo) che ha come
obiettivo d’unire il Paese, al di là delle appartenenze etniche, ma le carte d’identità con l’indicazione della
propria origine, introdotte dai Belgi, non vengon abolite. La propaganda ufficiale, martellante, quotidiana insiste
sull’argomento che «siamo tutti ruandesi», che «Non ci sono distinzioni tra gli uni e gli altri», che «dobbiamo
costruire una nazione forte, cooperando tutti allo sviluppo». Però per i Tutsi ci sono limitate prospettive di
emancipazione, l’etnìa è concentrata in alcune aree ben determinate e per molti giovani le uniche possibilità di
progresso negli studi sono il seminario o le università nei paesi vicini.
Fino a quando il quadro economico generale regge, il consenso popolare nei riguardi del regime di Jouvenal
Habyarimana rimane forte, anche se l’apparato repressivo dello Stato è allerta e gli oppositori veri o presunti
vengono fatti sparire o inviati in esilio.
Nel 1983 si assiste ad una prima incrinatura nei rapporti col vicino Uganda: Kampala vuol rimandare in ruanda i
tutsi che vivono da decenni nei suoi distretti meridionali perché li accusa, non a torto, d’esser parte di quella
ribellione politica che porterà al potere nel 1986 Yoweri Museveni. Infatti, tra le file dell’NRA (National
Resistence Army), il movimento di Museveni, si sta facendo un nome quel Paul Kagame che poi avrebbe guidato il
Fronte Patriottico Ruandese (FPR).
Habyarimana riesce ad evitare il rimpatrio degli esuli degli anni sessanta, ma è chiaro che il riemergere della
controversia è solo questione di tempo.
Nel 1989 l’Africa è investita dal vento del rinnovamento che sta coinvolgendo tutto il mondo a seguito della caduta
del muro di Berlino e del superamento dei blocchi. La Francia che è il Paese di riferimento di tutto il mondo
francofono preme perché venga abbandonato il più rapidamente possibile negli stati postcoloniali il partito unico a
favore del multipartitismo. Dappertutto vengon convocate conferenze nazionali per la ridefinizione dei poteri nelle
diverse realtà: è il vento della democrazia che sconvolge un quadro politico fermo da tempo. François Mitterrand
condiziona il finanziamento per la costruzione d’un nuovo aeroporto a Kigali ed altri investimenti all’introduzione
del multipartitismo ed alla creazione d’un regime semipresidenziale. Habyarimana fa buon viso a cattiva sorte,
concede una nuova costituzione, nomina un Primo Ministro, apre le porte ai partiti, alle radio private, alla
libertà di stampa, ma intanto si sta surriscaldando di nuovo la frontiera nord. Nell’ottobre 1990 il fronte
patriottico ruandese, guidato da Fred Ruygiema penetra nel territorio nazionale e guadagna terreno rapidamente: in
pochi giorni i suoi ribelli calano su Kigali. Habyarimana deve chiedere aiuto al belgio, ex potenza coloniale, alla
francia e allo Zaire. Le sue sole forze, 5.000 soldati e un aereo, non sono sufficienti a contenere la rivolta.
Belgi, francesi e zairesi riescono a respingere l’invasione, ma nel Paese le vecchie ruggini riesplodono. Qua e là
si registrano i primi casi di giovani ammazzati a colpi di machete, capanne vengono date alle fiamme, c’è chi si
rifugia nelle chiese per sfuggire all’ira dei massacratori: non è ancora il genocidio, ma la tensione va crescendo.
In francese i politici dicono delle cose, in Kinyarwanda, la lingua nazionale, altre. C’è chi ancora sostiene che
«siamo tutti ruandesi, non c’è differenza tra noi», a beneficio soprattutto dei diplomatici stranieri, poi però
aggiunge che è venuto il momento di ricacciare da dove è venuta la feccia della nazione, cioè i tutsi e i loro
amici.
Nei primi anni Novanta la guerra avanza piuttosto lentamente e, parallelamente si attivano, col contributo
dell’ONU, che invia dei contingenti di caschi blu, delle conversazioni di pace ad Arusha (Tanzania), ma chi visita
il Ruanda poche settimane prima del 7 aprile 1994 racconta che è aumentata la circolazione di armi, che con pochi
soldi è possibile acquistare una granata, un Kalashnikov ed un machete. Nell’inverno 1993-1994 i ribelli dell’FPR
giungono a Kigali e si rinserrano nel centro della città: sembra che siano in grado d’infliggere il colpo di grazia
al morente regime, ma la presenza dei caschi blu li frena. si arriva così alla sera del 6 aprile.
E’ ormai calata la notte su Kigali quando l’aereo con a bordo il presidente Jouvenal Habyarimana sta per atterrare
all’aeroporto di Kanombe. Il capo dello Stato sta rientrando da Arusha dove ha concluso un ennesimo accordo di pace
con l’FPR che prevede la cogestione del potere tra le due fazioni. Con lui c’è anche il suo collega burundese
Cyprien Ntaryamira. Mentre l’apparecchio è in fase d’atterraggio viene colpito da un razzo sparato da terra. Il
velivolo esplode, per le persone a bordo non c’è scampo.
Radio Ruanda non dà la notizia perché le sue trasmissioni sono già terminate, riprenderanno il mattino dopo, ma
RTML, l’emittente che da mesi sta facendo il lavaggio del cervello alla gente, sa tutto e diffonde l’informazione.
scatta l’operazione “pulizia etnica”.
Già nella notte tra il 6 ed il 7 aprile bande di Interhamwe (coloro che combattono insieme) si abbandonano ai primi
massacri con gli strumenti che hanno in mano: granate, machete, benzina e armi da fuoco. Tra le prime vittime c’è
il Primo ministro Agathe Uwilingyimana che viene fatta a pezzi sotto gli occhi dei caschi blu che la dovrebbero
proteggere, ma che non hanno il mandato di sparare. verranno uccisi anche loro. La stessa terribile sorte tocca
anche ad altri ministri del governo. vengono rapidamente organizzati dei posti di blocco per fermare chi scappa:
gli armati massacrano sul posto chi ha scritto sulla carta d’identità che è Tutsi. Intanto RTML invita a rimandare
i tutsi indietro: quindi i corpi dei morti vengono gettati nei fiumi, in particolare nell’Akagera che sfocia nel
Lago Vittoria per poi confluire nel Nilo, perché secondo una storia che tutti in ruanda sanno a memoria, i Tutsi
son approdati al paese delle Mille Colline dall’Etiopia.
Sempre RTML invita i vicini di casa a denunciare, pena la morte se non lo fanno, i tutsi o i loro amici che
conoscono. Gli eccidi si estendono a macchia d’olio e vi partecipano anche preti e suore che non esitano ad
ammazzare barbaramente. La gente si rifugia nelle numerose chiese cattoliche nella speranza che la morte lì non
arrivi: invece gli Interhamwe arrivano anche lì e fanno stragi negli stessi luoghi dove domenica 3 aprile, giorno
di Pasqua, avevano cantato e ballato insieme per festeggiare la Risurrezione del Redentore.
Per cento giorni il ruanda è come squassato da una follia omicida che non fa prigionieri e che si conclude solo
quando il 17 Luglio 1994 i militanti dell’FPR s’impadroniscono del potere: nello stesso periodo i sostenitori del
regime se ne vanno lasciandosi dietro una scia di sangue. I nuovi rifugiati ruandesi troveranno ospitalità
nell’area del Kivu in Zaire ed in Tanzania: si calcola che siano circa 2 milioni di persone.
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IL DOPOGUERRA
Il nuovo regime, tuttora al potere, da un lato cerca di ristabilire l’ordine, arrestando migliaia di persone
ritenute, a vario titolo, complici degli eccidi. Per anni lascia scoperte le fosse comuni coi cadaveri delle
vittime orrendamente mutilati ben in vista ed obbliga gli ospiti stranieri a vedere l’orrendo spettacolo: lo farà
col Segretario Generale dell’ONU l’egiziano Boutros-boutros Gali in visita nel Paese, per punirlo per non aver
appoggiato una risoluzione al Palazzo di Vetro che definiva quanto stava accadendo in ruanda un genocidio.
I processi ai colpevoli vengon rinviati a data da destinarsi, mentre i detenuti marciscon nelle carceri
sovraffollate in mezzo al putridume.
Ogni tentativo di ribellione è represso senza pietà, come avviene a Kibuye nel 1995. Kigali è tuttavia attenta ad
evitare che il numero delle vittime della repressione raggiunga quel livello che farebbe scattare l’allarme a
livello internazionale, dato lo scarso interesse che le agenzie d’informazione mondiale mostrano per l’Africa, a
meno che il numero dei morti non divenga tale da non poter occultare la notizia.
Nel 2000, poi, l’uomo forte del regime, il Ministro per la Difesa Paul Kagame, un tutsi nato in ruanda nel 1957, ma
emigrato da bambino in Uganda, diviene Presidente della Repubblica, carica che ancor oggi ricopre.
Sul piano internazionale, Kigali partecipa alle due guerre del Congo, quella del 1996-97 che pone fine alla lunga
tirannia del Maresciallo Mobutu (1965-1997) e quella del 1998-2003 per il controllo delle ingenti risorse minerarie
che si trovano nel sottosuolo congolese. Ancor oggi, il Ruanda è accusato d’armare le milizie che nelle regioni
orientali del Kivu e dell’Ituri periodicamente compiono massacri contro la popolazione civile.
L’obiettivo di Kigali è, da un lato allontanare dal proprio confine nazionale la pressione dei militanti Interhamwe
che non vedono l’ora di rientrare nel Paese per vendicarsi della sconfitta patita nel ’94, dall’altro, metter le
mani sui minerali di cui è ricco il Congo orientale e che, venduti, fruttano denaro.
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IL TRIBUNALE INTERNAZIONALE
I terribili crimini compiuti in Ruanda hanno fatto oggetto d’una complessa serie di processi tenutisi ad Arusha
davanti al Tribunale Internazionale incaricato di giudicare autori e mandanti del genocidio. dopo numerose udienze
la corte è riuscita ad emettere delle pesanti condanne a carico di alcuni esponenti del regime di Habyarimana, ma
altri sono riusciti a sottrarsi al giudizio dei magistrati. Tra questi vi è la moglie del Presidente deceduto
nell’incidente del ’94, Agathe, al centro d’un complesso giro di armi con la Francia. diverse fonti l’accusano
d’aver formato un circolo, l’Akazu, che stava complottando contro il marito, ritenuto troppo accondiscendente verso
l’FPR.
Il Tribunale Penale Internazionale non è riuscito a chiarire chi sia il mandante del delitto che ha portato alla
morte di Habyarimana, dando il la alla carneficina. di conseguenza, anche se alcuni responsabili del genocidio sono
in prigione e vi resteranno a lungo, molte circostanze dei torbidi avvenimenti di venticinque anni fa rimangono
ancora da chiarire.
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UNA RICCA BIBLIOGRAFIA
Sulle vicende ruandesi che qui abbiamo rapidamente riassunto esiste una ricca bibliografia anche in italiano:
segnaliamo in particolare i libri di colette Braeckman, giornalista belga esperta della regione dei Grandi Laghi,
che, oltre ad avere un blog
http://blog.lesoir.be/colette-braeckman/
(in francese)
ha scritto numerosi libri. Tra essi segnaliamo:
«Ruanda, Storia di un genocidio» ed. Strategia della lumaca, Roma, 1995.
sulla complessa questione etnica segnaliamo:
Michela Fusaschi: Hutu-tutsi, alle radici del genocidio ruandese, ed bollati Boringhieri, Torino, 2000
Una testimonianza dall’interno è:
André Sibomana: j’accuse per il ruanda, Ed. EGA, Trapani, 2004.
molti dei libri citati recano al loro interno delle ricche bibliografie che possono servire per approfondire
l’argomento.
PIER LUIGI GIACOMONI