RIVERA PONE SEI CONDIZIONI A RAJOY PER GOVERNARE INSIEME
(14 agosto 2016).
MADRID. e’ un ferragosto particolare in Spagna: da otto mesi il Paese ha un governo “in funzione”, cioè che si
limita al disbrigo degli affari correnti.
dopo due elezioni generali, le prime il 20 dicembre 2015, le seconde il 26 giugno 2016, non si riesce a varare un
esecutivo in totale pienezza di poteri.
In particolare, dopo il voto di giugno, a luglio si è costituito il nuovo Parlamento, sono stati eletti i
presidenti delle due Camere, sono stati formati i gruppi parlamentari, sono state avviate dal Re le consultazioni
per individuare un candidato Presidente del Governo e lì il meccanismo si è inceppato, perché ora si tratta di
trovare una maggioranza.
Mariano Rajoy, Presidente del Governo “in funzione” e candidato a succeder a se stesso, va ripetendo
instancabilmente che senza l’appoggio del PSOE non vi sarà altra alternativa che riconvocare i cittadini alle urne,
Pedro Sánchez, Segretario del PSOE, ripete, altrettanto instancabilmente, che i socialisti voteranno “no”
all’investitura di Rajoy e che questi deve trovare sostenitori nella sua area politica di centro-destra.
Il 10 agosto, il presidente di Ciudadanos, Albert Rivera, ha presentato al premier uscente un documento contenente
sei condizioni per governare insieme: Legalità, trasparenza, corruzione e rinnovamento della classe politica,
questi i temi al centro delle proposte avanzate e che saranno esaminate il 17 agosto prossimo dal Comitato
direttivo del PP, di cui fanno parte circa 100 delegati, e che, se accettate, potrebbero sbloccare la situazione.
Tuttavia, la strada per giungere alla formazione del nuovo governo centrale è in salita: se Popolari e Ciudadanos,
infatti, decidessero di coalizzarsi e presentare al Parlamento un progetto di governo, non avrebbero la maggioranza
dei voti.
Il sistema politico spagnolo prevede, infatti, che un candidato Presidente del Governo, per esser eletto alla
carica, deve ottenere dal Congresso dei Deputati, camera politica del Regno, 176 voti su 350. Se non raggiunge
questo traguardo, può sottoporsi ad una seconda votazione nella quale risulta eletto se ottiene un voto in più
delle opposizioni. PP e Ciudadanos al momento possono contare su 169 “sì” e 181 “no”.
Ecco perché sia Rajoy che Rivera stanno premendo su Pedro Sánchez perché decida, almeno in sede di seconda
votazione, d’astenersi, permettendo d’evitare una terza chiamata alle urne.
Entrambi i leader sanno che in casa socialista non mancano coloro che vorrebbero costringere il giovane segretario
a dare “luce gialla”, se non proprio “verde” a questa specie di “grande coalizione”.
Sánchez, che tra l’altro presto dovrà affrontare un complesso congresso nazionale del partito, durante il quale sarà passata ai raggi x la sua politica, è soggetto alla pressione dei
Presidenti delle regioni governate dai socialisti: si tratta dei cosiddetti
“baroni” territoriali del PSOE: costoro vedono come fumo negli occhi la prospettiva d’un governo PSOE-Podemos e temono una terza elezione in un
anno.
Alle loro uscite, anche sulla stampa, si sono aggiunte le dichiarazioni degli ex premier socialisti Felipe González e José Luis Rodríguez Zapatero.
Va ricordato che il PSOE nelle ultime due elezioni ha fatto registrare le sue peggiori performances dalla
rinascita della democrazia in Spagna: se già il risultato del 2011 fu ritenuto disastroso, lo sono ancora di più i
numeri del 2015 e 2016.
Nel frattempo, malgrado il governo “in funzione” la Spagna mette a segno risultati economici sfolgoranti:
il PIL a luglio è cresciuto del 3,1%, rispetto allo stesso mese del 2015, e la disoccupazione è scesa al 20%,
tagliando un traguardo che non si toccava dal molti anni.
Il tasso di disoccupazione, infatti, nel Regno di Filippo VI di Borbone è sempre stato molto più alto della media
europea toccando anche il 27%.
PIERLUIGI GIACOMONI