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RISCHIA UNA LUNGA RECLUSIONE L’EROE DI HOTEL RUANDA
(21 Settembre 2020)

KIGALI. Rischia 25 anni di reclusione Paul Rusesabagina, 66 anni, l’uomo che ha salvato da morte sicura almeno 1.200 persone, rinchiuse all’interno dell’Hotel des Milles Collines a Kigali, nei mesi del genocidio ruandese tra aprile e luglio del 1994.

Rusesabagina è stato arrestato il 30 Agosto, mentre si trovava a Dubai, da agenti dei servizi segreti di Kigali che l’hanno successivamente portato in Ruanda, per rispondere di gravissime accuse: terrorismo, banda armata, minacce alla sicurezza dello Stato.

L’ex direttore dell’Hotel des Milles Collines è accusato dalle autorità ruandesi di sostenere un movimento di guerriglia, il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), accusato d’aver sferrato attacchi nelle province sudoccidentali del Paese al confine col Burundi.

Rusesabagina, noto avversario del presidente Paul Kagame, al potere dal 1994, ha negato le accuse,ma il giudice che ha esaminato la causa nei giorni scorsi, l’ha rimandato in carcere in attesa di processo «perché è più che fondato il timore che l’imputato, se lasciato libero, possa inquinare le prove o fuggire.»

Paul Rusesabagina, 66 anni, d’etnìa Hutu, viveva da anni tra Stati Uniti e Belgio ed aveva creato una fondazione per favorire la riconciliazione e prevenire ulteriori genocidi.

«La procura di Kigali – ha scritto Avvenire – l’aveva già accusato nel 2010, insieme alla leader dell’opposizione Victoire Ingabire, di finanziare attività terroristiche e gruppi armati; e con queste accuse Ingabire, la principale rivale del governo di Paul Kagame, era stata arrestata e condannata a 13 anni di carcere, fino al suo rilascio per una grazia del presidente, nel settembre 2018.»

La vicenda narrata nel film “hotel Ruanda” è ricostruita nel libro di Philip Gourevitch “Desideriamo informarla che domani verremo uccisi con le nostre famiglie” (Einaudi, Torino, 2000).

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LE REAZIONI.

Diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno definito
l’arresto e l’incriminazione di Rusesabagina una ritorsione per le sue prese di posizione politiche che non sono piaciute a Kigali.

La figlia adottiva dell’eroe di “Hotel Ruanda”, Carine Kanimba, ha dichiarato all’agenzia di stampa AFP che egli era a Dubai per partecipare a delle riunioni, improvvisamente è comparso in manette a Kigali.
«Non so – aggiunge Kanimba – come sia giunto in Ruanda: di certo non l’avrebbe fatto di sua iniziativa perché sapeva che in quel Paese lo vogliono morto.»

«Parlando alla TV ruandese – scrive BBC News Africa – il Presidente Paul Kagame ha smentito le voci che riferiscono d’un rapimento compiuto dai servizi segreti di Kigali:

“Lasciatemi dire che non è stato un <rapimento>: Rusesabagina lo confermerà senz’altro.
Non c’è stato nessun rapimento e non c’è alcun errore nella procedura che l’ha portato qui.”

Il Presidente ruandese non ha però spiegato come mai Rusesabagina si trovi in Ruanda, ha solo detto: «Egli è arrivato per fare ciò che aveva in programma di fare.»

i critici di Kagame l’accusano di non tollerare nessuna opposizione: molti suoi avversari sono finiti in prigione ed altri fuggiti all’estero o eliminati.

Kagame replica alle critiche sostenendo d’esser impegnato perché sian superati gli odi etnici che hanno a più riprese insanguinato il Ruanda: tuttavia, a tutt’oggi è un personaggio controverso.

Numero uno dei servizi segreti ugandesi negli anni Ottanta al servizio di Yoweri Museveni, fondò e diresse il Fronte Patriottico Ruandese (FPR) che nel 1990, poco dopo la visita in ruanda di Papa Giovanni Paolo II invase il piccolo stato dei Grandi Laghi.

Dopo la macelleria collettiva che portò alla morte di oltre un milione di persone divenne Ministro per la Difesa e uomo forte del regime, ma non Presidente della Repubblica.

Nel 2000 fece deporre il presidente fantoccio Pasteur Bizimungu e di elezione in elezione si è mantenuto al potere fin ad ora: di recente il parlamento ruandese ha approvato modifiche costituzionali che gli dovrebbero permettere di rimanere al potere fino al 2034.

La situazione nel Paese non è però completamente stabilizzata e fuori dal territorio nazionale operano diversi movimenti di guerriglia antigovernativi.

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SCREDITARE RUSESABAGINA.

Quando nel 2008 Paul Rusesabagina è emerso come avversario del regime è partita l’operazione di screditamento dell’ex direttore del Mille colline.

Questi aveva scritto nella sua autobiografia “an ordinary man” che «il Ruanda è governato per il beneficio di una piccola élite di tutsi».

Il presidente ribattè giudicando come «esagerata» la percezione del pubblico rispetto alle imprese di Rusesabagina nei mesi del terrore.

Poi, sempre nel 2008, Due uomini cominciano a dar la caccia all’eroe del genocidio: Alfred Ndahiro, giornalista, consigliere di comunicazione di Kagame e Privat Rutazibwa, un universitario.

«Insieme, con puntiglio implacabile, quasi feroce, che a molti parve sospetto – ha scritto Domenico Quirico su La Stampa del 2 Settembre – demolirono la leggenda dell’uomo che aveva creato un luogo in cui la speranza potesse sopravvivere.

Leggemmo un ritratto capovolto, un arrivista meschino che si faceva pagare dollaro su dollaro la pietà , che trafficava con i responsabili del massacro, che ha ascritto cinicamente a suo merito circostanze cui soltanto si deve la salvezza di quei 1200 tutsi.

I due autori – conclude Quirico – interrogarono i superstiti e coloro che lavoravano nell’albergo.
Ciò che gli sceneggiatori di “Hotel Ruanda” non hanno fatto.»

Il racconto made in Ruanda va preso con le molle: l’intento dei due ricercatori era demolire l’immagine di un uomo che ha salvato 1.200 persone durante la più sanguinosa pulizia etnica del Novecento in Africa, che nel tempo si è rivelato uno spietato critico del nuovo padrone del Paese delle Mille colline.

Il dovere dei giornalisti dovrebbe esser quello d’approfondire i fatti, verificarne l’autenticità e svelare le menzogne di Stato.

Se è vero che Rusesabagina è stato prelevato dai servizi segreti ruandesi per esser riportato a Kigali, questo solo fatto getta un’ombra sinistra su tutta la campagna volta a screditarlo e fa temere per la vita stessa del prigioniero ora nelle mani d’una giustizia certo non indipendente.

Si vedrà forse già nelle prossime settimane se siamo di fronte ad un procedimento equo ed imparziale o ad un nuovo episodio del’eterna lotta dell’uomo onesto e probo contro le forze del sopruso e della prevaricazione.

PIER LUIGI GIACOMONI

 

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