PROSEGUE LA PROTESTA DEI MAPUCHE IN CILE
(15 agosto 2016).
SANTIAGO. Salgono a 17 le chiese, cattoliche e protestanti, attaccate quest’anno da sconosciuti nel contesto della
protesta degli indigeni Mapuche che rivendicano i territori ancestrali,
espropriati dai colonizzatori ed oggi nelle mani dei latifondisti. C’è, però, chi dubita fortemente che questi
attentati incendiari siano opera dei Mapuche, difesi e sostenuti sia dalla Chiesa Cattolica che dalle confessioni
protestanti.
I principali leader nazionali del gruppo etnico hanno condannato questi atti che vanno a colpire il dialogo in
corso tra autorità e indigeni per risolvere la questione.
In più, in un’intervista a Radio Cooperativa, la Presidente della Repubblica Michelle Bachlet ha promesso che
proprio questa settimana riunirà un tavolo di lavoro per affrontare i problemi sollevati dagl’indigeni, che
costituiscono il 12% della popolazione cilena, formata complessivamente da 16 milioni d’abitanti.
L’ipotesi che circola è che in realtà questi attacchi alle chiese siano opera di settori contrari al dialogo tra
governo e Mapuche, perché un eventuale accordo tra le parti potrebbe sottrarre terre fertili all’industria
agroalimentare.
Le terre del Cile. Va infatti tenuto presente che l’Araucanía, epicentro della protesta degli Indios, è una regione
con un clima quasi di tipo mediterraneo e la terra è molto fertile e produttiva.
Si tratta dei migliori terreni del Paese
dove si può coltivare, anche intensivamente, una gran quantità di prodotti agricoli, aree poco urbanizzate, quasi
pianeggianti.
Il Cile, com’è noto, è una striscia di terra, lunga oltre 8.000 chilometri, bagnata ad ovest dall’Oceano Pacifico
e delimitata ad est dalla Cordigliera delle Ande, montagne altissime che possono arrivare fino a 6-7000 metri
d’altitudine sul livello del mare.
Quindi, quella regione è per il Paese latinoamericano un’area estremamente preziosa per la produzione di derrate
alimentari, buone sia per l’alimentazione della popolazione,sia per l’esportazione sul mercato internazionale.
Il resto del territorio è costituito a nord da deserti ed a sud da regioni gelide e non di rado coperte di
ghiaccio: tutte aree decisamente inospitali.
Le rivednicazioni dei Mapuche. L’etnia Mapuche chiede che lo Stato cileno si riconosca come bi-nazionale, quindi
che accetti anche come parte integrante della sua struttura istituzionale la nazionalità Mapuche.
Ciò significa che tutti i popoli che vivono nel Paese devono avere parità di diritti ed eguali opportunità.
Fin dal 1880, anno in cui gli indigeni furono sconfitti dallo stato cileno, i Mapuche sono stati
espropriati delle loro terre e trattati come persone di Serie B.
Ora, come altri popoli indigeni nel continente americano, ne hanno abbastanza e vogliono far sentire forte la loro
voce.
Le vie d’uscita. Due paiono esser le strade da intraprendere per la soluzione di questa complessa vertenza:
1. la ripresa d’un dialogo tra governo di santiago ed indigeni che conduca al raggiungimento d’un accordo vero da
applicarsi nella realtà concreta;
2. l’isolamento delle frange estreme che credono che l’unico modo possibile per imporre il proprio punto di vista
sia la violenza e la devastazione.
Si vedrà presto se dalle parole, si passerà alla realizzazione di atti concreti, portando ad una riappacificazione
tra autorità cilene ed indigeni.
PIERLUIGI GIACOMONI