PREGHIERA ALLA VERGINE
(9 Dicembre 2021)

BOLOGNA. Mi è stato chiesto di illustrare e commentare la «Preghiera alla Vergine» scritta da Dante alighieri nel Canto XXXIII del Paradiso.

Pubblico la dispensa che ho preparato, contenente anche alcune mie considerazioni preliminari.
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Dante

Preghiera alla Vergine

Paradiso, Canto XXXIII

1 «Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
2 umile e alta più che creatura,
3 termine fisso d’etterno consiglio,
4 tu se’ colei che l’umana natura
5 nobilitasti sì, che ’l suo fattore
6 non disdegnò di farsi sua fattura.
7 Nel ventre tuo si raccese l’amore,
8 per lo cui caldo ne l’etterna pace
9 così è germinato questo fiore.
10 Qui se’ a noi meridïana face
11 di caritate, e giuso, intra ’mortali,
12 se’ di speranza fontana vivace.
13 Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
14 che qual vuol grazia e a te non ricorre,
15 sua disïanza vuol volar sanz’ ali.
16 La tua benignità non pur soccorre
17 a chi domanda, ma molte fïate
18 liberamente al dimandar precorre.
19 In te misericordia, in te pietate,
20 in te magnificenza, in te s’aduna
21 quantunque in creatura è di bontate.
22 Or questi, che da l’infima lacuna
23 de l’universo infin qui ha vedute
24 le vite spiritali ad una ad una,
25 supplica a te, per grazia, di virtute
26 tanto, che possa con li occhi levarsi
27 più alto verso l’ultima salute.
28 E io, che mai per mio veder non arsi
29 più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
30 ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
31 perché tu ogne nube li disleghi
32 di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
33 sì che ’l sommo piacer li si dispieghi.
34 Ancor ti priego, regina, che puoi
35 ciò che tu vuoli, che conservi sani,
36 dopo tanto veder, li affetti suoi.
37 Vinca tua guardia i movimenti umani:
38 vedi Beatrice con quanti beati
39 per li miei prieghi ti chiudon le mani!».
***
Alcune considerazioni preliminari.

1. Dante giunge al vertice del suo viaggio ultraterreno: è nella Candida Rosa dove Beatrice trova posto insieme a innumerevoli santi e sante: proprio Beatrice prega S. Bernardo di chiaravalle (1091 – 1153), importante mistico e intellettuale del cristianesimo medievale di fare da conduttore del pellegrino nelle massime sommità del Paradiso.

Dante al Canto XXXI, vv. 79-90 rivolge una preghiera a Beatrice, affinché «La tua magnificenza in me custodi,
sì che l’anima mia, che fatt’ hai sana,
piacente a te dal corpo si disnodi».

2. Nel successivo Canto XXXII, vv. 95-99 l’arcangelo Gabriele intona l’Ave Maria, che in forma di responsorio viene cantata da quanti si trovano nella Candida rosa

«cantando ‘Ave, Maria, gratïa plena’,
dinanzi a lei le sue ali distese.
97 Rispuose a la divina cantilena
da tutte parti la beata corte,
sì ch’ogne vista sen fé più serena.»

3. Lo stesso canto XXXII introduce la preghiera alla Vergine concludendosi al v. 151 con dei due punti:

151 E cominciò questa santa orazïone:
***
Vittorio Sermonti
(da LA COMMEDIA DI DANTE raccontata da Vittorio Sermonti, Giunti
Firenze-Milano, 2012).

Commento al canto XXXIII

«Vergine madre, figlia del tuo figlio»… con questo endecasillabo indimenticabile Bernardo di Chiaravalle si indirizza a Maria, infilando nella cruna dei due punti che chiudono il XXXII canto del Paradiso («e cominciò questa santa orazione») la santa orazione che apre il XXXIII.
Amico mio plurale, siamo arrivati infondo o – per dir meglio – in cima: cionondimeno mi permetterò un minimo supplemento di «istruzioni per l’uso». Dall’orlo del I dell’Inferno vengo ripetendo – come forse ricorderai – che ogni canto della Commedia li contiene «in nuce» tutti: onestissimo luogo comune. Purtroppo, il fatto che risulti specialmente ragionevole, se applicato al XXXIII del Paradiso, autorizza la generalità dei commentatori a lasciar salire per la circostanza il battiscopa delle note fino al soffitto della pagina, nel lodevole intento di suffragare con miriadi di citazioni spillate dai novantanove canti precedenti le parole, i versi, le immagini, i pensieri di quest’ultimo. Non aver paura… L’impegno che mi son preso di assecondare l’urgenza con cui Dante ci pilota nell’oceano del suo poema, non lo tradirò proprio alla fine. Per noi, a questa quota di Divina Commedia, sarà fin troppo tentar di riraccontarci una terzina dopo l’altra, con esitazione e tremore, e col sussidio di qualche noticina lessicale e di qualche timida riflessione. Come sempre, più o meno.
Tanto più che i misteri su cui verte questo canto sono misteri familiarissimi a qualsiasi cristiano, per inerziale e distratto che sia il suo cristianesimo. Aggiungo: misteri cosiffatti (verginità di Maria, madre e figlia di Dio; ubiquità del Dio uno e trino; doppia natura del Cristo) non attivano in questi versi definitivi le sottigliezze teologiche che hanno spesso complicato la lettura dei canti precedenti: anzi, tendono ormai a risolversi integralmente nel vertiginoso nitore della visione.
E non ci lasceremo spaventare dall’incomprensibilità, immemorabilità, indicibilità conclamate dal poeta stesso per questo estremo sogno di paradiso, visto che è proprio quell’incessante conclamare a dargli corpo, fulgore, sensualità di poesia, grazie a Dio!
Bene. Torniamo a compitare la preghiera che Doctor Mellifluus indirizza alla Vergine dal cuore della rosa dei beati.

«Vergine madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio (linea di demarcazione tracciata ab aeterno dalla provvidenza nella storia dell’uomo), // tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ’l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura (che il creatore dell’umana natura si compiacque di crearsi da sé in natura di uomo).
«Nel ventre tuo si raccese l’amore (si ripristinò il patto d’amore fra Dio e il genere umano), / per lo cui caldo ne l’etterna pace / così è germinato questo fiore (la chiesa trionfante, rosa della beatitudine eterna).
«Qui se’ a noi meridïana face / di caritate (fiaccola di carità smagliante e rovente come sole di mezzogiorno), e giuso, intra ’ mortali, / se’ di speranza fontana vivace (fonte inesauribilmente viva).
«Donna, se’ tanto grande e tanto vali, / che qual vuol grazia e a te non ricorre / sua disianza vuol volar sanz’ali (che chiunque, aspirando alla grazia, non ricorre a te, signora… le sue aspirazioni pretendono di volare senza ali).
«La tua benignità non pur soccorre / a chi domanda, ma molte fïate / liberamente al dimandar precorre (previene spontaneamente l’implorazione).
«In te misericordia (compassione), in te pietate (perfetta osservanza del patto di carità fra creatura e creatura), / in te magnificenza (regale oblazione d’amore), in te s’aduna / quantunque in creatura è di bontate (tutto il bene possibile in creatura umana).»
Così, in sette terzine, Bernardo di Chiaravalle ha praticamente esaurito il repertorio della dossologia mariana, prelevato dalle Scritture e dalla liturgia cantata, dai massimari dei teologi e dai suoi stessi scritti devozionali.
È vero: in questa preghiera non c’è invenzione di concetti o di immagini (la vergine Maria, non la si invoca per far bella figura con lei); ed è vero che la struttura dell’orazione obbedisce alle più collaudate simmetrie della retorica tardo-latina. Tuttavia queste terzine e quelle che completeranno l’indirizzo, nella loro singolare scansione (strofa chiusa con doppio enjambement e cesura forte al centro del verso centrale), paiono conciliare le gran volute della prosa oratoria con la fibrillazione ritmica dei primi inni cristiani, e condensando epiteti, emblemi, ossimori, paradossi, celebrano in una musica semplice e antica l’evidenza del mistero.
Debitamente formulate le lodi della Vergine, il santo oratore passa a perorare la supplica del cliente-committente, ostendendolo in ginocchio alla Madonna sul trono – par di vederli – con l’ampio gesto di patrocinio che conosciamo in innumerevoli tavole e pale d’altare:
«Or questi, che da l’infima lacuna / de l’universo (che dal fondo del buco dell’inferno) infin qui ha vedute / le vite spiritali ad una ad una (ha visto via via tutte le specie d’anime scorporate), // supplica a te, per grazia, di virtute / tanto (ti implora, in nome di Dio, di concedergli tanta energia visionaria), che possa con li occhi levarsi / più alto verso l’ultima salute (da potersi promuovere alla visione diretta della salvezza suprema: cioè, di Dio in persona di Dio). // E io (io, personalmente, Bernard de Clairvaux), che mai per mio veder non arsi / più ch’i’ fo per lo suo (che per desiderio di vederLo io stesso non ho mai bruciato più di quanto ora bruci per desiderio che Lo veda lui), tutti miei prieghi / ti porgo, e priego che non sieno scarsi (ti offro tutte le mie preghiere, con la preghiera che bastino), // perché tu ogne nube li disleghi / di sua mortalità co’ prieghi tuoi (a che tu con le tue, di preghiere, dìssipi compiutamente la caligine della sua condizione mortale), / sì che ’l sommo piacer li si dispieghi (così che la somma bellezza della verità compiutamente si sveli spalancandosi ai suoi occhi)».
In prossimità della foce, con questa estrema supplica di san Bernardo l’andatura della Commedia, ecco, serpeggia in una ressa di meandri metrici, e serpeggiando rallenta.
La supplica prevede un codicillo: «Ancor ti priego, regina, che puoi / ciò che tu vuoli, che conservi sani, / dopo tanto veder, li affetti suoi. // Vinca tua guardia i movimenti umani: / vedi Beatrice con quanti beati / per li miei prieghi ti chiudon le mani!».
Così l’oratore orante completa la sua famosissima orazione alla Vergine: raccomandando alla di lei regale onnipotenza di salvaguardare nel pellegrino celeste, spossato da tanta progressione di portenti e prossimo a tramortir di Dio, l’integrità delle percezioni, dei sentimenti e della memoria, e di preservare il poeta terreno che tornerà ad essere dai «movimenti umani»: dagli squilibri, cioè, tra attività emotive e intellettive; squilibri che la contemplazione simultanea del sommo bene e dell’unico vero avrà sospeso nel baleno d’un attimo.
\Una considerazione sulla preghiera come «genere letterario».
È buon uso abbinare questa di san Bernardo a quella che il pellegrino indirizzava due canti fa alla sua remota Beatrice, ed osservare come tematicamente la integri, perfezioni, e via dicendo. Ma mi domando se non sia più fecondo accostarla all’Ave Maria che il canto scorso l’arcangelo Gabriele intonava con le ali spalancate, e i beati riprendevano a responsorio; e ricordare come quell’inno angelico fosse stranamente catalogato per «divina cantilena». Senza pretendere che Bernardo, tecnicamente, canti, c’è da domandarsi se abbia senso iscrivere sotto quella medesima rubrica anche la sua preghiera.
Intanto: fra Due e Trecento cosa significava, di preciso, «cantilena»?
Nel lessico liturgico significava «salmodia solenne», inno di fedeli semplificato dalla sua stessa solennità; nell’uso profano, attestato dal De Vulgari Eloquentia, valeva invece «canzone di versi brevi e registro comico», insomma «canzonetta». Nel caso dell’angelo, andrà ovviamente privilegiata l’accezione liturgica del termine, ma non escluderei la profana e corrente, che concorre con quella all’esito di una elaborata semplicità.
Forse, sì: il libro arcano e popolare, che venti generazioni di tipografi ci han tramandato sotto il bellissimo titolo di «Divina Commedia», volge al suo lieto fine infilando due «divine cantilene»… A ridosso di Dio, proprio il «genere» orecchiabile e sublime della preghiera esaurisce l’itinerario conoscitivo che traccia tutto il poema: perché nulla – pensa il poeta -, nulla può avvicinarci di più al mistero della grazia, che l’atto elementare di invocarla.
Poi, silenzio. La supplica che Bernardo di Chiaravalle cantilena e Beatrice mima in un roseto di beati a mani giunte non richiede cenno o monosillabo d’assenso.
Fissando senza battito di palpebre il santo in preghiera, gli occhi musivi di Maria hanno attestato la ricezione dell’istanza e l’adempimento della grazia che, prevenendo l’istanza, la dettava. Ora, compiuta dal santo cistercense la liturgia della parola, consumato quello che i cantori del gregoriano sentivano come «sacrificium vocis», come un restituirsi all’Altissimo immolandosi nel suono della propria voce, quegli occhi prediletti e venerati da Dio basta tornino a indirizzarsi a Lui con limpidezza e ardire esorbitanti le risorse d’occhio creato, che la preghiera è inoltrata: «Missa est».
***
(Dal commento al canto XXXI):

S. Bernardo di Chiaravalle

Le note agiografiche accreditano a Bernardo ottimi requisiti di base: abati e santi d’epoca lo proclamano «alunno intimissimo di Nostra Signora» e «massimo amatore della Vergine»; il Breviario Romano lo dipinge «talmente dedito alla contemplazione, da non far praticamente uso dei sensi». E dobbiamo convenire che la doppia competenza lo rende eccezionalmente idoneo a caldeggiare l’intercessione della Vergine Maria, a che Dante sia ammesso alla contemplazione diretta di Dio.
Ma chi si domandasse laicamente come mai per quell’ufficio sommo Dante abbia scelto proprio lui, proprio nella biografia e bibliografia del santo spulcerebbe più d’un motivo di perplessità.
Nato a Fontaine-lès-Dijon di nobile casato borgognone l’anno di grazia 1091, a ventidue anni Bernardo veste la cappa bianca delle «cicogne di Cîteau»; a ventiquattro fonda l’abbazia cistercense di Clairvaux nella Champagne. Di lì versa sulla cristianità per poco meno d’un quarantennio il fascino soave dell’asceta, il prestigio del grande intellettuale, le direttive del capo carismatico.
Patrocinerà l’assunzione al soglio di almeno due papi; detterà la condanna conciliare del razionalismo di Pietro Abelardo, come del suo culto delle immagini, contro cui tempesterà col furore dell’iconoclasta; si batterà con pari accanimento per intimare al clero la pratica dell’ascesi e della povertà evangelica, e ai potenti della terra il rispetto della giurisdizione temporale della Chiesa; patrocinerà l’istituzione dell’ordine dei Templari e ne redigerà la regola; bandirà una crociata (la seconda). Amareggiato non poco dal suo esito catastrofico, morrà nel 1153.
Dante Alighieri, che nell’Epistola a Cangrande menziona il suo trattato De Consideratione, a documentare l’amnesia che consegue all’«excessus mentis», conosceva certo – di prima o seconda mano – altre opere mistiche di Bernardo, che peraltro non menziona mai.
Tuttavia l’azzeramento dell’identità, la «liquefazione dell’anima in Dio», che il santo borgognone persegue sistematicamente come traguardo dell’esercizio contemplativo, non si può dire – come ben sappiamo – che seducano più di tanto il poeta fiorentino. Il suo io, levitando, semmai si dilata, s’indìa, non si annienta.
E d’altronde sul piano etico – per tacer del politico – Dante si mostra alquanto refrattario a parecchie idee-forza che la tradizione francescana eredita proprio da Bernardo: in particolare, ad una, fortissima, la misericordia per le debolezze del prossimo nostro.
Quanto al culto della Vergine, possiamo star sicuri, amico mio, che le famose meditazioni bernardine sul Salve Regina figurassero nei grami scaffali del poeta ramingo. Ma l’acribìa dottrinale con cui il grande monaco disquisisce sui temi mariologici (contestando, fra l’altro, fieramente l’immacolata concezione, e disattendendo l’assunzione corporale della Vergine) non ha riscontro nell’orizzonte mentale e sentimentale di Dante. La devozione di Dante per Maria e per il suo corpo di mamma – ce ne parla da tre cantiche – è talmente oblativa, da non ammettere sottigliezze, a rischio di incorrere nella credulità degli ignoranti.
[…] «Doctor Mellifluus» lo chiamavano: e quel pio appellativo, dopotutto, sembra docilmente assimilarlo all’immagine strana d’un angelo che versa miele nei fiori.
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Carlo Ossola

(DA AVVENIRE.IT – Martedì 14 Settembre 2021)

Con Bernardo nella pienezza della vera luce

CARLO OSSOLA

San Bernardo appare d’improvviso, al canto XXXI, mentre Dante con «mente sospesa» cerca Beatrice: «Uno intendëa, e altro mi rispuose» (v. 58). Lo sgomento del pellegrino: «E “Ov’è ella?” subito diss’io » trova un’immediata risposta che impegna e orienta, per questi ultimi canti: «Ond’elli: “A terminar lo tuo disiro / mosse Beatrice me del loco mio» (vv. 65-66); la fedeltà a Bernardo sarà ad un tempo fedeltà a Beatrice e compimento di sé, in una perfetta circolarità d’amore e di coscienza, di coscienza d’amore: «E io ch’al fine di tutt’i disii / appropinquava, sì com’io dovea, / l’ardor del desiderio in me finii» (XXXIII, 46 – 48). Potremmo anzi dire – lo conferma la terzina che segue – che l’epilogo della Commedia si presenta come una adequatio amoris et intellectus, un amore che colma e adempie la comprensione precedendola: «Bernardo m’accennava, e sorridea, / perch’io guardassi suso; ma io era / già per me stesso tal qual ei volea» (XXXIII, 49-51).
La comprensione è, al sommo, pura manifestazione e illuminazione divina: «ché la mia vista, venendo sincera, / e più e più intrava per lo raggio / de l’alta luce che da sé è vera» (vv. 52 – 54). Uno dei versi più belli di tutta la Commedia: «l’alta luce che da sé è vera » è, nel suo fondo, calco giovanneo, eco di quel mirabile prologo: «Erat lux vera, quae illuminat omnem hominem, veniens in mundum» ( Jo, 1, 9): quella luce, nella sua plenitudine, si effonde su tutta l’umanità. E questa è forse la ragione per la quale Dante si fa abbandonare da Beatrice, dalle tracce di una memoria personale, per fare del suo poema, attraverso san Bernardo, una speranza universale, preparata – sono ancora le parole dello stesso Bernardo – da colei che, a sua volta, illumina l’universo: «Ipsa est igitur nobilis illa stella ex Jacob orta, cujus radius universum orbem illuminat, cujus splendor et praefulget in supernis» [“La Vergine è l’illustre stella nata da Giacobbe, il cui raggio illumina tutto l’universo, e il cui splendore rifulge nei cieli”] (san Bernardo, De laudibus Virginis Matris, Homilia II, in PL, 183, 70C).
\Meglio si spiega, così, anche l’incipitaria preghiera alla Vergine: quei versi non sono prologo che nell’esaudimento venga superato, ma proprio come nel Vangelo di Giovanni – ricapitolazione rivolta all’umanità intera: «tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ’l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura» (XXXIII, 4-6). Dante è il vertice dell’umanesimo cristiano, in seno alla Vergine facendo sbocciare ogni creatura: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / Umile e alta più che creatura»: l’invocazione di san Bernardo inizia con due vertiginosi paradossi, dei quali Erich Auerbach ha illustrato la fioritura. Ma l’origine stessa è nelle Homiliae di san Bernardo, ove la Vergine è presentata in un crescendo di antitesi: «Ora mi rivolgo al nascituro e al parto verginale […] E lì si manifesta una estensione tutta raccolta, una latitudine minuta, un’altezza umile, una profondità trasparente. Lì brilla una luce che non folgora, un Verbo che tace, un’acqua assetata, un pane affamato» (“ibi agnoscitur longitudo brevis, latitudo angusta, altitudo subdita, profunditas plana. Ibi agnoscitur lux non lucens, verbum infans, aqua sitiens, panis esuriens” ( De laudibus Virginis Matris, Homilia II. In Luc. I, 26, 27, in PL, 183, 65B). Tutta la preghiera, soprattutto, è intessuta di citazioni da san Bernardo; il trepido verso: «Così è germinato questo fiore» (XXXIII, 9) riscrive l’«aperta est terra laeta germinans Salvatorem » (ibid., De laudidibus Virginis Matris, Homilia I, in PL 183, 56D) da Isaia, 45, 8: «Si è aperta la terra, lieta facendo sbocciare il Salvatore»; così pure «meridiana face / di carità» (vv. 10-11) è definizione che proviene dallo stesso san Bernardo: «Processit igitur gloriosa Virgo, cuius lampas ardentissima ipsis quoque angelis lucis miraculo fuit» ( In Assumptione B. V. Mariae, Sermo II, in PL, 183, 421C). Ma san Bernardo, a sua volta, non faceva che portare a compimento una tradizione che già in Agostino aveva celebrato, alla lettera, la Vergine «umile e alta» matrice del divino: «Et ipsa nativitas [Christi] humana, humilis et excelsa. Unde humilis? Quia homo natus est ex hominibus. Unde excelsa? Quia de virgine. Virgo concepit, virgo peperit, et post partum virgo permansit» ( Sermo I De symbolo, cap. III, 6; in PL, 40, 630). \Così Dante ricapitola, nell’ultimo canto, il percorso millenario della sapienza cristiana, senza fine paradossale: «Excelsa est enim patria, humilis via. Patria est vita Christi, via est mors Christi: patria est mansio Christi, via est passio Christi» (“In alto è la patria, umile il cammino. Patria è la vita di Cristo, via è la morte di Cristo; patria è la dimora di Cristo, via è la passione di Cristo”: Agostino, In Ioannis evangelium tractatus CXXIV, Tractatus XXVIII, in PL,35, 1624). San Bernardo infine è l’intercessore che si specchia in Maria perché più in alto interceda, e in Dante si compiace quando l’intercessione arride: «Bernardo, come vide li occhi miei / nel caldo suo caler fissi e attenti, / li suoi con tanto affetto volse a lei, / che ’miei di rimirar fé più ardenti» (Par, XXXI, 139 – 142). Così tutto quell’ascendere del pellegrino e affrettarsi col desiderio non sarà, al culmine, che remissione a chi previene e con larghezza dona: «La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate / liberamente al dimandar precorre» (vv. 16-18); davvero «questa è quella madre che genera dentro i nostri cuori Gesù, grazia che previene » (“Haec est igitur mater, quae parit intus in cordibus nostris Iesum; gratia, quae praevenit” (Isacco della Stella, Sermones, Sermo X, in PL, 194, 1725A).
L’ultimo canto della Commedia e quell’inno alla Vergine restituiscono Dante e noi alla letizia che donandosi ci fa ricettacolo e offerta : «Sic pius Dominus, qui omnes homines vult salvos fieri, merita nobis extorquet a nobis: et dum nos praevenit tribuendo quod retribuat, gratis agit» (“Così il Signore, benevolo, che vuole che tutti gli uomini siano salvi, estrae da noi i nostri meriti: e mentre ci previene offrendoci ciò con cui ci remunera, agisce gratuitamente» (san Bernardo, De laudidibus Virginis Matris, Homilia IV, in PL, 183 , 86A). La grande pace dell’essere attraversati dal dono: «Io sono il recipiente. La bevanda è di Dio. E Dio è l’assetato» (Dag Hammarskjöld, Linea della vita).
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Marco Santagata

(da M. Santagata, Il racconto della Commedia, Guida al poema di Dante, Mondadori Libri, Milano, 2017)

CANTO 33
Preghiera alla Vergine. Visione della Trinità

«Vergine Madre, figlia del tuo stesso figlio, la più umile e insieme la più nobile di tutte le creature, linea divisoria (della storia umana) prefissata da sempre dalla divina provvidenza, tu sei colei che ha nobilitato la specie degli uomini tanto che il suo creatore non disdegnò di farsi lui stesso creatura. Nel tuo ventre si è riacceso quell’amore tra Dio e l’uomo da cui è sbocciato questo fiore eterno. Qui in Paradiso sei per noi beati fiaccola di carità splendente come il sole a mezzogiorno; giù tra i mortali sei viva fonte di speranza. Donna, la tua grandezza e il tuo potere sono tali che chiunque desiderando una grazia non ti si rivolge desidera invano. La tua bontà non soccorre soltanto chi la invoca, ma spesso anticipa spontaneamente la richiesta. In te si uniscono compassione, pietà, generosità, tutto il bene possibile in un essere umano. Adesso costui, che dalla più profonda voragine fino a qui ha visto tutte le condizioni delle anime, ti implora per grazia divina di concedergli la forza di sollevare il suo sguardo in alto, verso Dio. E io, che del desiderio di vederlo non ho mai bruciato più di quanto ora bruci del desiderio che lo veda lui, ti offro tutte le mie preghiere, e prego che bastino, affinché tu, con le preghiere tue, dissolva le nebbie del suo stato mortale tanto che la somma bellezza si riveli ai suoi occhi. Ti prego anche, o regina, di conservare pure le sue inclinazioni dopo una così alta visione. La tua protezione vinca le sue umane passioni: guarda come Beatrice e gli altri beati si associano a mani giunte alla mia preghiera!»

Maria teneva gli occhi fissi su Bernardo che la pregava, con ciò mostrando quanto quell’invocazione le fosse gradita, poi li rivolse verso l’eterna luce. Avvicinandosi al fine ultimo di tutti i desideri, Dante portò al culmine il suo. Bernardo gli faceva cenno, sorridendo, di guardare in su, ma lui già di sua iniziativa aveva rivolto gli occhi in alto.