PERU’. DEMOCRAZIA A UN PASSO DAL COLLASSO
(30 Dicembre 2022)
LIMA. La democrazia peruana, già molto fragilizzata dalla corruzione e dal discredito in cui sono caduti tutti i partiti politici, sembra prossimo al collasso.
L’AUTOGOLPE MANCATO
L’ultimo episodio, d’una lunga serie, avviene il 7 Dicembre: al mattino il Presidente della Repubblica José Pedro Castillo Terrones scioglie il parlamento, avoca a sé tutti i poteri ed indìce nuove elezioni per un’assemblea costituente; al pomeriggio, il Congreso de la República, ignora l’ordine di sciogliersi e con voto quasi unanime (101 sì, 6 no e 10 astensioni) gli revoca il mandato ed incorona al suo posto la prima vicepresidente Dina Ercilia Boluarte Zegarra, 60 anni, che giurando fedeltà alla costituzione, invoca una «tregua politica» e propone di formare un governo d’unità nazionale.
Questo autogolpe, che diversi commentatori considerano come il suicidio politico di Castillo, avviene dopo diciotto mesi di scontri tra un debole ed inesperto presidente ed un parlamento in cui si muovono vecchi marpioni della politica nazionale.
Egli, un outsider della politica peruana, sperava forse d’imprimere un profondo cambiamento, di gettare le basi per uno stato nuovo, «chiamato a sciogliere i nodi atavici di corruzione e ingiustizia, a partire dalla riforma agraria e da quella tributaria.» come scrive Lucia Capuzzi[1]
Castillo, tra i tanti errori commessi durante la sua turbolenta presidenza, da un lato «ha accantonato presto le sue promesse ed è scivolato nella palude della cattiva gestione, – prosegue Capuzzi – finendo risucchiato in un turbine di cinque gabinetti governativi e ottanta ministri sostituiti in meno di un anno e mezzo», dall’altro, aggiungiamo noi, è coinvolto in una sequela di scandali di corruzione che lo coinvolgono in prima persona e che interessano anche la moglie, la sorella ed altri elementi dell’entourage presidenziale.
Per uscire dal pantano in cui lui stesso si è cacciato, crede che sia giunto il momento di sbarazzarsi del Congresso, ritenuto dall’opinione pubblica una spelonca di ladri, ed autoassegnarsi tutti i poteri in vista della convocazione d’un’assemblea che avrebbe riscritto la costituzione fujimorista del ’93 con una più nuova e magari più socialmente equa.
Dopo aver annunciato il suo editto in TV però scopre d’esser solo: tutto il Perù che conta l’abbandona al suo destino e in poche ore si trova rinchiuso sotto pesanti accuse nel carcere di Barbadillo a Lima. In un’altra cella, nello stesso penitenziario, si trova un altro ex capo di Stato: Alberto Fujimori, l’ultimo dittatore, che il 5 aprile 1992 congedò il Congresso, si autoassegnò tutti i poteri, riscrisse la costituzione e tenne ilpotere per sé e il suo “cerchio magico” fin al novembre 2000 quando scappò in Giappone.
LE PROTESTE POPOLARI
Dopo questi drammatici avvenimenti, seguiti in TV da una popolazione attonita, la tensione nei giorni successivi va crescendo: a partire dal Sud del Paese scendono in campo giovani attivisti della sinistra, sostenitori di Castillo che occupano le strade, gli aeroporti ed altre infrastrutture. Altri compiono atti vandalici, come la distruzione di aule di tribunale e la disattivazione di centrali elettriche.
Il Governo, per fronteggiare l’ira popolare, sceglie le maniere forti: proclama lo stato d’emergenza ed affida alle forze armate il compito di ristabilire l’ordine.
Poliziotti e soldati aprono il fuoco sui dimostranti ed uccidono, si dice, almeno 30 persone, perlopiù giovani e giovanissimi, anche minorenni.
LE RAGIONI DELLA PROTESTA
Sono almeno quattro le correnti di pensiero che si coalizzano, scendendo per le vie e le piazze di diverse città peruane come Arequipa, Cuzco e Ayacucho:
- C’è chi vuole le immediate dimissioni di Dina Boluarte;
- Chi invece esige l’immediato scioglimento del Congresso;
- Altri invocano l’Assemblea Costituente, come promesso da Castillo in campagna elettorale;
- Tutti sono per la scarcerazione del Presidente deposto.
- RICHIESTA DI DIMISSIONI DI DINA BOLUARTE
Quest’istanza è particolarmente forte nel dipartimento di Apurímac, la provincia d’origine della “presidenta”.
C’è chi accusa la prima donna Presidente del Perù d’esser ormai lontana dal modo di pensare dei suoi conterranei; non pochi la definiscono “traditrice” di Castillo e ricordano che un anno fa, di fronte alla prima mozione d’impeachment presentata al Congresso contro Castillo, Boluarte dichiarò che se il presidente fosse stato deposto, lei non lo avrebbe rimpiazzato:
«Chi protesta – scrive Mirelis Morales Tovar
[2] – affermano che Boluarte, non essendo stata eletta, ma nominata dal parlamento, non è legittimata ad esercitare la Presidenza della Repubblica fin »alle prossime elezioni.»
Diversi costituzionalisti fanno notare che se Boluarte, che fin al 7 dicembre era prima vicepresidente del Paese si dimettesse, il suo probabile successore sarebbe l’attuale presidente della camera, istituzione assai invisa alla popolazione.
- SCIOGLIMENTO DEL CONGRESSO
Altri manifestanti, come detto, chiedono l’immediato scioglimento del Congresso, unica camera del parlamento peruano. In base alla costituzione vigente (1993) il Presidente della Repubblica può dissolvere il legislativo e convocare entro quattro mesi nuove elezioni parlamentari.
Nel 2019, un simile provvedimento fu assunto da Martín Vizcarra, Presidente dal 2018 al 2020: anche allora il Capo di stato era in conflitto coi legislatori e sperava, ricorrendo al voto d’avere un’aula più favorevole.
Non andò così e nel novembre 2020 vizcarra fu destituito per “incapacità morale”.
A termini di costituzione, il Congresso può esser sciolto se rifiuta di concedere la fiducia a due governi, uno dopo l’altro.
Oggi però la questione è diversa: la gente non ha fiducia nei Congressisti e vorrebbe che “se ne andassero tutti”.
«I manifestanti – narra ancora Morales Tovar – attribuiscono la responsabilità di questa crisi politica ai deputati, perché considerano che rispondono a interessi individuali e si oppongono alla politica di Castillo per difendere i loro interessi personali, non quelli del popolo.»
«Il Perù è in mano ad una mafia, cui non importa nulla di chi ha vinto le ultime elezioni!», commenta Alex Zapana, un dimostrante arequipano di 27 anni che in questi giorni ha partecipato alle proteste, intervistato da bbcmundo.
Il Congresso ha rimosso o costretto alle dimissioni dal 2016 ad oggi tre Presidenti: Pedro Pablo Kuczynski (2016-18), Martín Vizcarra (2018-20), Pedro Castillo (2021-22).
L’attuale Costituzione pone le condizioni per un conflitto permanente tra legislativo ed esecutivo, soprattutto se il Capo dello Stato in carica non dispone anche della maggioranza parlamentare.
Nei fatti, ciò rende ingovernabile il Perù e l’espone ad una cronica instabilità.
Secondo una legge approvata il 21 dicembre, le prossime elezioni generali, con in palio sia la Presidenza della Repubblica che il Congresso, si terranno nell’aprile 2024, ma sono forti le pressioni, anche popolari, perché l’appuntamento con le urne sia ulteriormente anticipato. I deputati però fan resistenza, perché la legge li rende immediatamente non rieleggibili, perciò, malgrado i discredito in cui l’istituzione rappresentativa è caduta, stan tentando di prolungare la propria esistenza al massimo possibile.
- CONVOCAZIONE D’UN’ASSEMBLEA COSTITUENTE
Una delle promesse fatte da pedro Castillo durante l’ultima campagna elettorale è la riscrittura della Costituzione: l’attuale fu redatta durante la dittatura di Alberto Fujimori (1990-2000).
«In Perù, non c’è la democrazia, ma una continua lotta di potere che non permette la governabilità», comenta Enyel Asencio, un lavoratore autonomo di 30 anni che ha partecipato alle manifestazioni antigovernative a Cajamarca, interpellato da bbcmundo.
«stiamo chiedendo un’assemblea costituente per scrivere un nuovo patto sociale.»
In perù, in duecento anni di storia, sono state emanate una qundicina di costituzioni diverse: la più longeva è rimasta in vigore dal 1860 al 1920; prima di quella del ’93 ne era stata emanata una nel 1979, dopo undici anni di regime militare.
- LIBERAZIONE DI PEDRO CASTILLO
Lima è anche al centro di notevoli pressioni internazionali perché venga rilasciato dalla prigione l’ex Presidente Castillo: i capi di Stato di Argentina, Bolivia, Cile, Colombia e Messico han firmato un documento con cui dichiarano di non riconoscere l’attuale Capo di Stato come legittimo e domandano che l’ex sindacalista andino venga rimesso in libertà.
Il Messico, inoltre, ha concesso asilo politico all’ex “primera dama” Lilia Paredes ed ai figli.
La Presidente Boluarte ha risposto dichiarando “persona non grata” l’ambasciatore di Città del Messico.
Per il momento le relazioni diplomatiche tra i due Paesi latinoamericani non sono interrotte, ma certo sono ad un livello assai basso: il Perù accusa Città del Messico d’ingerenza nei suoi affari interni, come ha dichiarato la Cancelliera Ana Cecilia Gervasi.
Non è chiaro se il Perù possa resistere a lungo al rischio d’un isolamento internazionale nell’area sudamericana, considerato lo stato di grave crisi socioeconomica che lo sta investendo.
Quanto alla protesta popolare che nelle ultime settimane l’ha paralizzato, le festività natalizie ne hanno in parte indebolito la forza d’urto, permettendo alle autorità di tirare un sospiro di momentaneo sollievo: sembra però che dopo il 4 Gennaio 2023 riprenderanno gli scioperi e i blocchi stradali. Il rischio del caos per il Perù è ancora dietro l’angolo.
ATTACCAMENTO ALLA DEMOCRAZIA
La storia del Perù è contrassegnata da un frequente alternarsi di deboli governi elettivi e lunghi periodi di dittatura militare. In una recente indagine condotta da alcuni centri studi nordamericani si è chiesto ad un campione dell’opinione pubblica latinoamericana qual è la fiducia che la gente assegna alle istituzioni democratiche.
Ebbene, i peruani sono tra i meno entusiasti. Per parecchi di loro sarebbe preferibile che il potere fosse nelle mani d’un uomo forte piuttosto che in quelle d’una congerie di partiti in eterna lotta fra di loro.
In effetti, i periodi di dittatura sono stati per il Paese andino quelli in cui sono state introdotte riforme da tempo invocate: durante il regime di Juan Velasco Alvarado (1968-75) fu attuata la riforma agraria, furono smembrati i latifondi e venne creato un minimo di welfare state che poi sarebbe stato smantellato negli anni 80 e 90 del Novecento. Inoltre vennero introdotte norme a difesa delle popolazioni native che erano state sempre discriminate sia durante la dominazione spagnola che in epoca postindipendenza.
Ciò ha spinto qualche commentatore a dire che il Perù è cambiato di più sotto i regimimilitari che in epoca costituzionale.
Sapranno gli attuali governanti in carica, in particolare la prima donna “presidenta” del perù smentire quest’assioma? Sapranno ridare al Perù un futuro che al momento appare estremamente incerto ed indecifrabile?
PIER LUIGI GIACOMONI
NOTE:
[1] L. Capuzzi, Perù: 180 minuti, il tempo di tenuta della democrazia, avvenire.it, 11 dicembre 2022;
[2] M. Morales Tovar “Necesitamos hacer borrón y cuenta nueva”: 3 reclamos de las protestas en Perú (además del regreso del expresidente), bbcmundo.com, 14 Dicembre 2022: la traduzione in italiano dei brani in spagnolo è mia.