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PERU’ A RISCHIO DI ANARCHIA?
(19 Novembre 2020)

LIMA. Perù a rischio di anarchia? Dopo che in pochi giorni ben due presidenti hanno lasciato la carica, il pericolo che il Paese andino possa precipitare in una spirale d’ingovernabilità è alto.

Il 17 Novembre il Congreso de la República, lo stesso che otto giorni prima aveva aperto la crisi, ha designato Francisco Sagasti, 66 anni, uno dei 19 deputati che ha votato contro l’impeachment di Vizcarra, alla presidenza della Repubblica. Costui dovrà traghettare il Perù verso le elezioni generali, previste per l’11 aprile 2021, ma il percorso non sarà semplice.

Prima di tutto, perché il Congresso è frammentato in una miriade di forze politiche in guerra aperta l’una contro l’altra, poi perché molti parlamentari hanno conti aperti con la giustizia per gravi casi di corruzione (secondo l’ex presidente Vizcarra ben 68 sono accusati di crimini come tortura ed omicidio), infine perché l’opinione pubblica non dà nessuna fiducia alla casta politica che da decenni governa il Paese, ridotta com’è a comitati d’affari dediti alla mazzetta.

«Il loro indebolimento – scrive Lucia Capuzzi su Avvenire.it – è un’eredità avvelenata della dittatura fujimorista, terminata nel 2000. Come la corruzione endemica, istituzionalizzata dall’ex dittatore – al momento in carcere per crimini contro l’umanità – e resa strumento sistematico di governo.»

L’elezione di Sagasti, dunque, sembra andare nella direzione auspicata dalla piazza e risponde all’invito della Conferenza episcopale peruana che aveva chiesto ai politici di «ascoltare le grida e i clamori della popolazione ». mentre l’arcivescovo di Lima, Carlos Castillo, aveva esortato a non sottovalutare le manifestazioni che hanno messo in evidenza le contraddizioni del Paese.

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I FATTI.

Già in settembre il parlamento peruano aveva tentato di deporre il presidente della Repubblica Martín Alberto Vizcarra Conejo (1963), ma la mozione venne rigettata. Il 9 Novembre però l’Assemblea con 105 voti su 130 membri ne adotta un’altra con cui si dichiara che il Presidente è moralmente incapace di gestire il Perù. Perché, secondo alcuni, avrebbe accettato denaro quand’era governatore della provincia
di Moquegua tra il 2011 ed il 2014.

Il legislativo, da tempo in conflitto col Capo dello Stato, applica l’art. 113 della Costituzione del 1993 che stabilisce che il ruolo di presidente può essere dichiarato vacante se la persona che ricopre l’incarico non è in grado fisicamente o moralmente d’esercitare le funzioni connesse con la suprema magistratura dello Stato.

Conseguenza: in mancanza d’un vice presidente, Mercedes Aráoz si è dimessa a maggio 2020) il presidente del Congresso Manuel Arturo Merino de Lama, che ha votato per la destituzione, assume la presidenza nominando un governo provvisorio.

La gente non ci sta: già mercoledì 10 cominciano le manifestazioni di piazza che raggiungono il loro culmine sabato 14. A Lima e nelle altre principali città del Perù è tutto un fiorire di cortei, di casseruole battute, di scontri tra polizia e dimostranti.

bilancio: due ragazzi morti, decine di feriti, una quarantina di scomparsi.

Lo scandalo è enorme: i media criticano la condotta delle forze di sicurezza, che ricordano l’epoca delle dittature militari, 13 dei 18 ministri in carica rassegnano il mandato e domenica 15 Merino rinuncia alla Presidenza. Il Congresso, vero motore di questo dramma, non è in grado di rimpiazzarlo cosicché si deve attendere il 17 perché il Paese rimasto acefalo ritrovi una guida.

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IL PRECEDENTE.

La formula utilizzata per destituire Vizcarra era stata utilizzata in precedenza solo un’altra volta: il 21 novembre 2000 il parlamento rimuove dalla presidenza Alberto Fujimori (1937) in fuga in Giappone per sottrarsi alla giustizia peruana.

Con quella decisione si pone fine al cupo decennio del “fujimorato”, contrassegnato da omicidi politici e sparizioni di dissenzienti condotti dal braccio destro del “Chino”, Wladimiro Montesinos, direttore del Servicio de Inteligencia Nacional (SIN) che si era macchiato d’una serie d’orrendi delitti, tra cui la sterilizzazione chirurgica forzata di donne indie delle Ande peruane, oltre a numerose ed efferate stragi condotte da veri e propri squadroni della morte.

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I DUELLANTI.

Ma questo è solo l’ultimo atto d’un insanabile conflitto tra istituzioni dello Stato che si compie sulla pelle di milioni di peruani che, tra l’altro, stanno pagando un conto salatissimo al coronavirus:

Eppure, malgrado la complessa situazione sanitaria, Congresso e Presidenza stanno conducendo da anni un duello senza esclusione di colpi.

Dopo la fine della dittatura Fujimori (1990-2000) alla presidenza si succedono quattro uomini, di essi, tre finiscono sotto inchiesta per corruzione e uno, Alan García Pérez si toglie la vita.

Nel 2016 Pedro Pablo Kuczynski viene eletto Capo dello Stato dopo un ballottaggio serrato che lo vede confrontarsi con la leader di Fuerza Popular, keiko Fujimori, figlia dell’ex tiranno.

Kuczynski è il candidato di tutti coloro che non vogliono il ritorno al potere d’un componente della scomoda dinastia nippo-peruana, ma non dispone in parlamento d’una maggioranza per far passare le sue proposte. anzi Fuerza Popular controlla la camera con 70 seggi su 130 e Keiko è ben decisa a bloccare le mosse d’un presidente che considera illegittimo.

PPK cerca in tutti i modi di salvarsi dal rischio dell’impeachment, arriva a perdonare l’ex dittatore per i suoi crimini (provvedimento successivamente revocato), ma il 23 marzo 2018 è costretto a dimettersi: al congresso è già stata presentata una mozione per la sua deposizione che ha buone probabilità di passare.

Gli succede martín Vizcarra che si presenta al pubblico con un progetto di lotta alla corruzione. Presto il conflitto tra legislativo ed esecutivo riesplode: il 30 settembre 2019 Vizcarra scioglie il Parlamento ed indìce elezioni speciali per il 26 gennaio 2020.

dalle urne esce un’assemblea molto frammentata, ma il Presidente è solo: malgrado il sostegno dell’opinione pubblica, nei giorni scorsi è rimosso dall’incarico.

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FRAGILITA’ ISTITUZIONALE.

Fra le cause di quest’instabilità vi è anche la fragilità dell’assetto istituzionale della repubblica del perù. Il Presidente, eletto per cinque anni a suffragio universale diretto, ha grandi poteri,come nelle repubbliche presidenziali: può proporre leggi al Parlamento, adottare ordini esecutivi sotto forma di decreti, nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri (primo ministro) e su indicazione di questi i ministri, ma il governo deve aver la fiducia del Congresso. Di conseguenza per poter governare per l’intero mandato il primo cittadino dovrebbe aver la maggioranza in Parlamento o riuscire a divider le opposizioni.

se ciò non si verifica, è esposto al rischio della destituzione: la costituzione del 1993 prevede che il legislativo possa deporre il Capo dello Stato con una maggioranza qualificata dei due terzi (87 voti su 130) ed è ovvio che tutti gli avversari del primo cittadino non vedan l’ora di rimuoverlo.

quando il conflitto tra presidenza e congresso, non nuovo nella storia nazionale, giunge al culmine spesso sono le forze armate ad intervenire per ristabilire l’ordine ed evitare che il Paese precipiti nell’anarchia.

Ora si vedrà se il nuovo Presidente riuscirà a gestire lo Stato fino al 28 luglio prossimo quando s’insedierà il nuovo leader che scaturirà dalle urne tra a aprile e giugno: intanto il 29 novembre si terranno le primarie per la designazione dei candidati presidenziali. ben 11 formazioni politiche si sono iscritte.

PIER LUIGI GIACOMONI

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