NUOVA CRISI VALUTARIA IN ARGENTINA
(10 Maggio 2018)
BUENOS AIRES. L’8 maggio scorso, il Presidente della Repubblica Argentina Mauricio Macri ha comunicato al Paese d’aver avviato conversazioni col Fondo Monetario Internazionale per ottenere un prestito di entità imprecisata che serva a fronteggiare la grave crisi valutaria che ha investito di nuovo il Paese.
Nel suo discorso televisivo ha ammesso «Durante i primi anni di governo abbiamo avuto un contesto favorevole, oggi non è più così… Sta salendo il petrolio, si svalutano le monete dei Paesi stranieri. Il problema che abbiamo è che siamo uno dei Paesi più dipendenti dal finanziamento estero al mondo.»
Tuttavia, alcuni osservatori fanno notare che il mercato argentino dei cambi è molto piccolo, per cui basta poco per provocare repentini movimenti nel tasso di cambio.
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Ondata di Panico. Venerdì scorso il Presidente aveva dichiarato che avrebbe messo in campo tutta la “potenza di fuoco” di cui poteva disporre per bloccare la speculazione: in pochi giorni la banca centrale ha speso 5 miliardi di dollari per bloccare la speculazione sul cambio ed evitare il tracollo.
L’intervento della banca centrale ha permesso di recuperare una parte del valore perduto: se venerdì 4 maggio la moneta argentina aveva toccato un livello di 23 Pesos per un Dollaro statunitense, martedì 8 si è attestata su un cambio di 21,75, rispetto al biglietto verde.
In pari tempo, la banca centrale ha più volte elevato il costo del denaro fino ad un livello del 40%, in modo da scongiurare ulteriori fughe di capitali e panico agli sportelli bancari.
Difatti, quando si verificano questi eventi, molti argentini, temendo che si polverizzi il valore dei propri risparmi in Pesos, li convertono in Dollari, moneta sicuramente più solida.
Tutti questi provvedimenti si son rivelati insufficienti perché la svalutazione è proseguita e le riserve della banca centrale si sono fortemente assottigliate.
Di conseguenza, Buenos Aires ha dovuto, come già ai tempi della giunta militare e della crisi del 2001-03 ricorrere all’FMI.
Si sostiene che il prestito, che potrebbe essere di circa 30 miliardi, potrebbe essere in realtà una linea di credito di cui l’argentina potrebbe far uso se necessario: analoghe misure sono state di recente definite con Colombia e Messico che hanno ricevuto prestiti da Washington con questa formula.
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LE RAGIONI DELLA CRISI.
All’origine di questa crisi vi sono diverse motivazioni.
1. Il crollo del prezzo mondiale dei prodotti argentini destinati all’esportazione, principalmente soia, cereali e carne bovina;
2. Una grave siccità che ha ridotto la produzione agricola di quest’ultima estate australe;
3. L’introduzione d’un’imposta del 5% sulle transazioni finanziarie che ha spinto una parte degl’investitori ha lasciare il Paese;
4. L’insoddisfazione per la politica seguita dalla Presidenza Macri.
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Mauricio Macri. Ex Presidente del Boca Junior, una delle squadre di calcio più famose d’Argentina, Macri, 59 anni,
è stato dal 2007 al 2011 Capo del Governo dell’area metropolitana di Buenos Aires e forte oppositore della dinastia Kirchner.
Eletto Presidente della Repubblica nel 2015 a capo d’una coalizione di centro-destra denominata Cambiemos, ha, all’inizio del suo mandato, liberalizzato il cambio, provocando una svalutazione del 50% del Peso rispetto al biglietto verde.
Poi ha tagliato i sussidi alle famiglie, determinando un aumento dei prezzi dei prodotti di largo consumo e dei servizi pubblici.
Secondo i consiglieri del Presidente era questo l’unico modo per stroncare l’inflazione e tener abada il deficit pubblico, cresciuto notevolmente nei dodici anni della gestione Kirchner.
Il Presidente sperava inoltre di firmare trattati di libero scambio con Stati Uniti, Unione europea ed altri Stati latinoamericani.
In questo modo – sosteneva – sarebbero costati meno i prodotti d’importazione di cui il Paese ha bisogno e si sarebbero invogliati gl’investitori internazionali a puntare di più sull’Argentina.
Questo sogno si è però infranto contro le politiche neo-protezionistiche messe in atto da diverse nazioni, Stati Uniti in testa, che hanno elevato dazi doganali proprio contro le merci offerte da Buenos Aires.
Ora gli argentini temono che l’arrivo del FMI costringa il governo ad attuare la vera austerità, quella che il Paese ha già conosciuto altre volte, perché quando il Fondo concede prestiti impone delle condizioni molto onerose. si teme allora un nuovo “Corralito”, cioè un blocco dei conti correnti e forti limitazioni ai prelievi bancari,
nuova inflazione e crescente disoccupazione: uno scenario già visto e ben impresso nella memoria di tutti. Se, dunque, fino a pochi giorni fa la rielezione di Macri pareva fuori discussione, ora la popolarità del Presidente è in picchiata e lo scrutinio del 2019 diventa veramente incerto.
PIER LUIGI GIACOMONI