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NON ESISTE LA RAZZA, MA L’HOMO SAPIENS
(1° Agosto 2017)

ROMA. Il fenomeno migratorio che ci sta investendo in pieno, dopo che per decenni eravamo noi ad emigrare in cerca
d’un’opportunità, sta facendo venire a galla tensioni e problemi, anche di natura lessicale, che nei decenni
passati ritenevamo di non avere.

Era diffusa, soprattutto negli anni Settanta, la convinzione che il male del razzismo non allignasse nella
mentalità degl’Italiani, così poco attaccati alla loro nazione.

In realtà, è bastato che una qualche milionata di migranti giungessero tra di noi per far emergere quel sostrato
razzistico che è presente, ahimè, in ogni uomo.
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Tensioni crescenti e parole a vanvera. Da un lato, si segnalano sempre più frequenti conflitti tra Italiani e
stranieri, dall’altro anche i politici si lasciano andare a delle affermazioni molto discutibili.

Le ultime sorprese, in questo senso, ci vengono da una dirigente nazionale del PD, tal Patrizia Prestipino, che nel
corso d’una trasmissione in una radio locale ha detto:

«Renzi in campagna elettorale ha detto che si sarebbe occupato anche di mamme, è stato coerente. In Italia nascono
sempre meno figli, La genitorialità viene spesso lasciata da sola. Non ci sono più mamme in Italia, vi rendete
conto che siamo il Paese più anziano d’Europa? Siamo un Paese che rischia tra qualche decennio di non avere più
ragazzi italiani. Se uno vuole continuare la nostra razza è chiaro che in Italia bisogna iniziare a dare un
sostegno concreto alle mamme e alle famiglie. Altrimenti si rischia l’estinzione tra un po’ in Italia».
(Fonte: Corriere della Sera 25.07.2017).
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La razza. Il concetto di “razza” riferito all’uomo ha cominciato ad affacciarsi nella pubblicistica nel XVII
secolo, dopo che gli Europei, in seguito alle scoperte geografiche, erano entrati in contatto con le popolazioni
native d’America.

In America Centrale e Meridionale, i coloni avevano provocato un vero e proprio genocidio sfruttando la manodopera
locale, oltre ogni ragionevole limite. In tutto l’emisfero erano morti come mosche milioni di Aztechi, Maya ed
Inca, di conseguenza si erano rimpiazzati i vuoti con gli schiavi prelevati a forza dall’Africa Occidentale. Queste
brutali operazioni di mutamento etnico avevano trovato dei loro sostenitori in alcuni autori che avevano inneggiato
alla superiorità dei bianchi rispetto a tutte le altre popolazioni.

Nell’Ottocento queste teorie divennero la base ideologica che giustificava la “missione civilizzatrice dell’uomo
bianco”. Ma gli esiti più tragici di queste correnti di pensiero si sono avuti nel Novecento con la Shoah e le
pulizie etniche degli anni Novanta in Iugoslavia e Ruanda, senza dimenticare l’Apartheid sudafricana e “la
questione del colore” negli Stati Uniti.
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Destra e sinistra. L’approccio di Prestipino però pare richiamare categorie del pensiero di destra piuttosto che
del modo d’affrontare queste problematiche da parte della sinistra.

Per la destra è chiaro che vi sono “razze superiori” ed “inferiori” e che gli Stati dovrebbero difendere
energicamente l’identità nazionale.

A sinistra invece si è sempre diffidato di ogni tipo di nazionalismo, di etnocentrismo, di superiorità “razziale”.

Quindi ci si aspetterebbe che il modo di ragionare d’una dirigente di sinistra non vellicasse gli istinti più bassi
e xenofobi d’una parte della popolazione.

Avrei apprezzato il ragionamento della signora Prestipino, se avesse detto più o meno che è venuto il momento di
aiutare la famiglia nell’ambito di un vasto rilancio del nostro sistema di welfare che in questi decenni ha subìto
consistenti tagli, considerato che ricadono sulle famiglie ed in ispecie sulle donne, tutte le questioni connesse
alla crescita dei figli, nonché quelle afferenti all’assistenza degli anziani e dei disabili.

La gente che abita questo Paese, indipendentemente dalla sua origine etnica, merita d’esser trattata allo stesso
modo, senza privilegi o discriminazioni: le razze non esistono, c’è solo la specie homo sapiens ed a quella
apparteniamo tutti.
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PS. Tra qualche mese celebreremo il cinquantesimo anniversario del primo trapianto di cuore compiuto dal chirurgo
Christian Barnard a Città del Capo in Sud Africa.

Il dottor Barnard impiantò nel petto d’un uomo bianco il cuore appartenuto ad un ragazzo nero morto per emorragia
cerebrale. Questo avvenimento d’importanza enorme, più di tante vane chiacchiere, dimostra che apparteniamo tutti,
indipendentemente dal colore della nostra pelle, dalla lingua parlata o dalla religione praticata, ad un’unica
specie, quella umana.

PIER LUIGI GIACOMONI

 

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